Elezioni regionali? Conte sopravanza Donazzan di una incollatura

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Con ogni probabilità sotto l’albero di Natale è stato depositato il pacchetto al cui interno sta scritto, forse una volta per tutte, chi sarà il candidato del centrodestra alla carica di governatore veneto alle prossime elezioni regionali. Il prescelto potrebbe essere l’attuale sindaco leghista di Treviso Mario Conte. Quest’ultimo, non senza difficoltà, avrebbe superato all’ultima curva alcuni pretendenti molto accreditati. Ma chi sono, o chi sono stati, i concorrenti in lizza? Il primo è l’attuale presidente della giunta regionale Luca Zaia. Leghista come Conte avrebbe cercato fino all’ultimo di ricandidarsi. Per poterlo fare però servirebbe una modifica alla norma nazionale che in parlamento non è gradita a Fratelli d’Italia che può essere considerato «l’azionista di maggioranza della maggioranza».

Oltre a Zaia («che in cuor suo continua a confidare coup de théâtre che lo rimetta in lizza») quello che fino ad alcune settimane fa era considerato il concorrente meglio piazzato, almeno per le sue entrature con la politica romana, è Luca De Carlo. Senatore, residente a Calalzo di Cadore nel Bellunese, De Carlo non solo è il coordinatore di Fdi per il Veneto, ma è pure il plenipotenziario della premier Giorgia Meloni per il Veneto. Ed è proprio questo legame politico speciale con la leader di Fdi che in passato aveva costituito uno dei fattori che in quel momento più deponevano a favore del senatore calaltino.

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Sempre in Fdi chi veniva accreditato di moltissime chance era (ed in parte lo è tuttora) la bassanese Elena Donazzan. Potentissimo assessore all’istruzione della Regione Veneto fino a pochi mesi fa, Donazzan (che però è invisa alla premier, per carattere e non solo) è una delle trionfatrici delle ultime elezioni europee: dopo le quali ha optato per un seggio all’europarlamento di Strasburgo. I motivi per cui Donazzan a lungo è stata vista come il più papabile tra i successori di Zaia sono diversi. Quello che più conta però è il suo rapporto tanto privilegiato quanto inossidabile con Comunione e liberazione e con il braccio economico di quest’ultima: ossia la Compagnia delle opere. Nessun politico veneto può contare su entrature «di cotanto spessore» presso una galassia che in terra veneta è tanto sfuggente quanto determinante. Ed è questa la ragione per cui in molti vedevano nella bassanese il soggetto più accreditato per successione di Zaia in seno al centrodestra. Da Verona invece non ha smesso di coltivare le sue ambizioni l’ex sindaco scaligero Flavio Tosi. Oggi senatore azzurro nonché segretario regionale di Fi, almeno stando ai suoi aficionados, il forzista non si sarebbe dato per vinto sebbene le azioni di Conte siano oggi ai massimi storici.

Ma in quale contesto sarebbe calata la decisione del centrodestra nazionale di convergere su Conte? La Lega, tramontata l’idea di una ennesima ricandidatura del doge Zaia, che dalla base veneta del partito non è mai stato particolarmente amato per vero «perché troppo concentrato sul suo inner circle», avrebbe deciso comunque di battere i pugni. Con i consensi in calo rispetto a Fdi difficilmente avrebbe potuto accettare «una usurpazione nel suo Veneto»: cosa che rischiava di essere vista dall’opinione pubblica nonché dallo zoccolo duro dell’elettorato come una resa pressoché incondizionata. Tanto che quando alcune settimane fa sui media nordestini l’attuale assessore al commercio della Regione Veneto (il padovano Roberto Marcato, il vero volto della Lega verace nonché uno dei principali artefici della manovra sotto il pelo dell’acqua) ha cominciato a parlare di una Lega veneta «pronta a far saltare il banco» se il prossimo candidato governatore non fosse stato del Carroccio, in molti hanno cominciato a sbirciare verso il centrosinistra. Dalle cui parti da mesi è in corso una interlocuzione con i fedelissimi di Zaia, anche nel mondo produttivo. Una interlocuzione che avrebbe prodotto un piano. Qualora il centrodestra avesse proposto una candidatura considerata troppo di destra, gli zaiani sarebbero stati pronti a correre fuori dal centrodestra. E, in una sorta di patto di desistenza convertibile, sarebbero stati pronti ad unirsi o a supportare, anche in modo asimmetrico, un candidato moderato di centrosinistra, specie se di espressione confindustriale. Questo scenario era già stato descritto per sommi capi in un servizio di Vicenzatoday.it del primo maggio.

In questo senso l’uscita di Marcato deve aver costituito «un aut aut» il quale a Roma ha impensierito non poco Fdi, che sarebbe giunta a più miti consigli. Ma come si sarebbe trovata la quadra quindi in un contesto in cui Fratelli d’Italia nel Veneto potrebbe fare comunque il pieno di voti in una regione storicamente votata al leghismo? La formula è semplice. Al Carroccio andrebbe la presidenza della giunta regionale. Fdi invece farebbe il pieno pressoché totale delle deleghe pesanti: a partire dalla Sanità.

Rimane da capire chi avrà l’onore o meglio l’onere di gestire l’assessorato ai Trasporti. I cui uffici debbono affrontare le incognite finanziarie e non solo legate al futuro della Superstrada pedemontana veneta – Spv: da anni ormai divenuta un concentrato di magagne per ammissione degli stessi fedelissimi di Zaia. Alcuni dei quali ci hanno pure rimesso l’amicizia o quasi quando questi ultimi hanno chiesto al governatore di mettere mano con molta più incisività rispetto ai problemi palesatesi a partire dal 2017: anno in cui la convenzione che regola i rapporti tra il concessionario privato Sis e il concedente Regione Veneto, è stata riscritta: secondo i detrattori dell’accordo in peius. Sarà un caso, oppure no, ma Conte peraltro quando tra 2014 e 2015 cominciarono a palesarsi i primi guai della Spv, non ancora sindaco, fu uno dei pochissimi leghisti di spicco (se non l’unico), nell’ambito di seminari ed iniziative pubbliche, ad avvicinare i comitati contrari all’opera, annotando scrupolosamente le loro ragioni. «Questo approccio più propenso al dialogo» nei corridoi romani che contano sarebbe stato preso in seria considerazione.

C’è però un altro fattore che «avrebbe deposto a favore di Conte», quello umano. È molto più conosciuto di De Carlo e avrebbe «quei tratti di equilibrio e bonarietà che non dispiacciono a molti veneti». La Donazzan di contro è certamente «molto conosciuta nel Nordest», ma rispetto a Conte, dicono i supporter di quest’ultimo, «deve scontare un tratto caratteriale che la rende una delle politiche venete più antipatiche del circuito, più ancora della democratica Alessandra Moretti». Che cosa effettivamente accadrà da oggi ai giorni a venire però è difficile da dire e le previsioni potrebbero tranquillamente venire stravolte, anche in ragione di fattori esterni alla Regione Veneto. Basti pensare che al Ministero degli interni ancora non si è deciso quando fissare la data delle elezioni regionali venete.



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