Natale in casa, il menù gourmet e low cost firmato dallo chef Alessio Signorino

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A capo della cucina di “Terra”, suggerisce un antipasto, un primo e un secondo da alta cucina, oltre che una dritta per il dessert. E racconta qualcosa di sé

di Manuela Vacca

Una cena della vigilia o un pranzo natalizio gourmet che non divori il portafoglio. Anzi, che abbia un food cost di 30-35 per un totale di quattro persone con prodotti stagionali. Lo ha ideato per i lettori di Sardinia Post uno degli chef più amati del momento, il talentuoso 37enne Alessio Signorino, alla guida del fine dining “Terra”, all’hotel Palazzo Tirso a Cagliari, aperto quasi due anni fa con una consulenza iniziale di Emanuele Scarello. Oggi naviga accompagnato da positivi riscontri con la sua valida brigata e una squadra completata da Michele Cuccu (sommelier responsabile del food&beverage), Andrea Catgiu (maître) e Matteo Premolini (barman).

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Il cibo per me? In una parola è famiglia – dice –. Infatti è il tempo che dedichi alle persone che ami e agli amici. È il sacrificio dei genitori per i bambini dopo la giornata lavorativa, quindi un atto di amore che sarà ricompensato da un sorriso dopo ogni boccone”, dice svelando le portate che ha ideato per chi vuole festeggiare a casa senza rinunciare al gusto.

ANTIPASTO. Si inizia con un’insalata di puntarelle con sardine arrosto in olio aromatizzato con agrumi e finocchietti e maionese alla nocciole. “La si prepara – spiega – con una base di maionese normale ma più morbida, senza incorporare tutto l’olio, con le nocciole tostate frullate dentro”.

PRIMA PORTATA. Quindi propone un risotto mantecato con crema di zucca e scorza di agrumi. “Ma si può variare usando la pompia o chiudere il risotto con una polvere di agrumi misti – suggerisce – che si prepara pelando le arance o l’agrume preferito con un pelapatate, eliminando con un coltello la parte bianca. Le scorze, a meno che non si abbiano già pronte fatte asciugare al sole, si mettono in forno a 60 gradi per quattro o cinque ore in modo che siano disidratate e che si possano polverizzare”.

Una dritta: “il risotto si può finire o con una tartare di gambero crudo (o decorticato e passato velocemente in padella) e semi di zucca tostati: inseguo sempre la circolarità nel piatto, cercando di utilizzare il 100 per cento del prodotto, e i semi restituiscono una complessità aromatica”, svela. E precisa che serve una crema di zucca morbida come base per poi cuocere il risotto. “È uno dei piatti che mettono d’accordo tutti, noi lo abbiamo in carta con gli scampi che però costano di più dei gamberi”, riferisce.

IL SECONDO. Procede con una scelta di tradizione: agnello e carciofi. “Questi vanno puliti e cotti in acqua, sale e aceto – dettaglia lo chef –. Quindi, dopo che sono cotti al punto, si asciugano bene. Il gambo si potrà fare a insalata con olio, sale, limone e pepe. Invece per il cuore si continua la cottura alla brace con olio aromatico (scorza di limone, menta e ginepro) insieme all’agnello in modo da concentrare i sapori e far perdere acqua”. Ma non è tutto: “Sempre nel carciofo, tra il cuore e l’insalatina di gambo, metterei una salsa. Quasi uno zabaione classico a ricordare l’agnello sardo all’uovo, giusto con un po’ di succo di limone per dare acidità”.

Questo il menù. Poi, un’altra pillola per il dolce, ispirandosi a quello disegnato per la cena della vigilia in ristorante, dove il panettone dei pasticceri è servito con un cremoso simil tiramisù e arricchito con un po’ di scorze di arancia e limone, per poi essere ultimato con agrumi ghiacciati. “Chi taglia il panettone a casa può trattarlo in maniera insolita, arrostendo la fetta e servendolo con un cremoso e mandorle tostate per dare croccantezza”, le sue indicazioni.

A Natale lo chef si riposerà. “Siamo molto contenti del nostro percorso. La risposta dei clienti è più che positiva e ci dà ragione su quanto fatto anche essere entrati nelle migliori guide di alta cucina. Ci manca solo la ciliegina sulla torta”, racconta Signorino riferendosi al desiderio di una stella Michelin.

E di stellati ne ha visti. Dopo la formazione al Forte Village è stato tra i fornelli premiati dalla guida francese e vocati alla sostenibilità del Wild Honey a Londra. Quindi da Cracco-Peck a Milano luccicante di due stelle e, nella stessa città, si sposta al Pont de ferr per imbattersi nella creatività dell’uruguayano Matias Perdomo (“una cucina molto divertente e inaspettata”, la definisce lui). Riesce a respirare anche l’aria del Geranium di Copenaghen. Apprezzato, sarebbe potuto restare dopo lo stage. Ma la vita lo ha riportato in patria a conoscere da vicino la filosofia culinaria di un altro compatriota eccellente, Roberto Petza. Quindi rifà le valigie per trovare una famiglia che lo forma ulteriormente per quattro anni, ossia l’Enoteca Pinchiorri a Firenze, dove stringe amicizia con il bravissimo collega romano Valerio Fermani, che si trasferirà a Cagliari come suo sous chef.

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Mangiare da Alessio Signorino è un’esperienza di appaganti sensazioni di sapidità e freschezza, di suggestioni di territorialità mediterranea (per metà è siciliano) e improvvisi incontri con l’Asia. Il ritrovare nei suoi piatti un’alga giapponese o il miso è segno di approccio sincero a quanto delizia lui per primo, non estro modaiolo che intende tradire i sapori locali. Alzarsi da tavola con il sorriso è l’unica ragione seria per tornare in ristorante. E vuole sorridere lui per primo, quando si alza.

Conclude rivolgendo un augurio alla sua città: “Vorrei che Cagliari, e in generale la Sardegna, continuasse a crescere più velocemente come mentalità e che il capoluogo diventi una meta annuale e non stagionale”.





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