Alluvioni, Miccoli ascoltato dal pm: “Bisogna partire dalla montagna”

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“Le risorse mi sembra ci siano: ma bisogna usarle bene e soprattutto bisogna lavorare sulla montagna”.

Davanti alle tre alluvioni che in un anno e mezzo hanno flagellato il territorio ravennate, quello del geologo ravennate Claudio Miccoli è indubbiamente un osservatorio privilegiato: da tecnico dirigente, “per 41 anni ho lavorato in Regione. E dal giugno 2015 al marzo 2021 sono stato responsabile dell’area Reno – Po di Volano”. Per intenderci, una zona così vasta da abbracciare tre province: “Bologna, Ferrara e due terzi di Ravenna: Romagna Faentina e la Bassa Romagna, compreso il coordinamento dei consorzi di bonifica”. È lecito dunque aspettarsi che nell’audizione avvenuta in procura, Miccoli possa avere fornito diversi spunti interessanti. Il pm Francesco Coco lo ha sentito come persona informata sui fatti nell’ambito del fascicolo aperto contro ignoti per disastro colposo.

Dottor Miccoli, conferma? “Sì, qualche giorno fa: anche se ciò che ho detto nei dettagli, è riservato”. In generale che ci può dire? “Che per diverse ore ho proposto una carrellata su cose che in parte avevo già detto sui giornali”. L’impressione? “Mi sembra che da parte del pm in particolare esista la volontà di chiarire sul Lamone. Del resto lui ha seguito direttamente quanto accaduto in quel versante”.

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Lei un paio di mesi fa aveva presentato un esposto in materia? “Sì: riguardava soprattutto la zona di Roncalceci: a mio avviso vi fu un sovra-alluvionamento per effetto di operazioni del consorzio di bonifica”. Ci ricorda quali? “Ci sono video di persone che aprono e chiudono paratoie: una manovra decisa da qualcuno e in grado di portare l’acqua da 30-40 centimetri a 2 metri e 70. Cioè si è passati dal bagnarsi i piedi ad annegarsi: chi lo ha ordinato, ha ordinato la distruzione di Ghibullo, Roncalceci, San Pietro in Trento. Resta in me la convinzione che in quella operazione vi siano state colpe importanti con nomi importanti”.

Stiamo parlando di maggio 2023. E dell’ultima alluvione, quella del settembre scorso, cosa ne pensa? “Non posso dire niente ma le cose sono davanti agli occhi di tutti: in parte è stato scritto sui giornali quello che penso: mi rifaccio a quelle parole”.

Secondo lei esiste un denominatore comune tra le tre alluvioni? “Le modifiche di come piove e quando piove, sono chiare da almeno 20 anni. Prima di settembre era stato detto che i tempi di ritorno di simili eventi, erano di 500 anni. Irene Priolo (alla fine della precedente giunta, governatore regionale facente funzione, ndr) una volta disse anche 1.000 anni. Giovedì dell’altra settimana in un incontro con la cittadinanza a Villanova organizzato dal comitato alluvionati, il meteorologo Pierluigi Randi ha detto che dopo settembre, secondo calcoli statistici, i tempi di ritorno sono scesi a 300 anni; e dopo ottobre, a 100”.

Con questo dato come cambiano le cose? “La legge italiana prevede che le opere siano calcolate per tempi di ritorno di 200 anni: non sarà insomma più sufficiente rimettere a posto le cose come prima, ammesso che ci si riesca. Bisognerà cioè fare molto altro”.

Da dove partirebbe? “In montagna ci sono migliaia di frane. Negli anni ’60 veniva seguita una politica di gestione montana: il che significava la realizzazione di migliaia di piccole briglie e di fossi. Tutto questo è scomparso: negli ultimi 40 anni è stato fatto zero”.

E cosa è successo? “Che le briglie si sono riempite rendendo inefficace il sistema idraulico: in pianura l’acqua viene giù come una cascata. Ho video di piogge dell’ultima settimana con l’acqua che attraversa le strade ortogonalmente da tutte le parti… Cioè ora, con lo stesso volume di acqua, l’effetto si è moltiplicato a causa delle velocità”.

Come se ne viene fuori? “Le risorse mi sembra ci siano ma bisogna lavorare sulla montagna”.

La Regione per lei ha commesso errori? “Mi sembra che sia stato un errore il disattendere la legge della difesa del suolo che istituì i bacini idrografici. L’impostazione fu fatta invece sulla base dei limiti amministrativi. Se insomma un bacino idrografico è diviso tra due province, può accadere che una faccia una cosa e l’altra, un’altra cosa. Ci vuole invece una gestione unica”.

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Andrea Colombari



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