Il fascino del mindset digitale: come il tecno-libertarismo ha ridefinito il progressismo

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Il fascino dei garage californiani e dei ribelli in t-shirt ha ipnotizzato il progressismo. Il mindset aziendale è divenuto stile di vita, convertendo creativi in progetti di mercato e lasciando indietro i più deboli, con la cultura woke a coprire le reali intenzioni del capitalismo digitale. E alla fine è la destra a sedersi sul trono dell’Impero, adattandosi al cambiamento con meno ipocrisia e più muscolarità.

Ottimismo digitale: come il tecno-libertarismo ha ridefinito il progressismo

La fu Sinistra e Libertà compianse, con tanto di capillare attacchinaggio, la genialità scomparsa di Steve Jobs. Addirittura Nichi Vendola fu costretto a qualche correzione di rotta imbarazzata; era pur sempre un capitalista. Ma poco si poteva di fronte al nuovo portamento progressista sedotto e ipnotizzato dai garage californiani, dove dei ribelli in t-shirt rimaneggiavano il sogno americano con fare pioneristico e si nobilitavano come leggendari oracoli dell’evoluzione.

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Iniziò a spopolare il mindset, che da tecnica manipolatoria di condizionamento aziendale diventava stile di vita civilizzato e tecnica discorsiva del buon senso comune. La mente doveva essere aperta nel raccogliere continue nuove sfide, in un’espansione competitiva irriducibile.

Si propagò un individualismo di massa ottimista, spesso anche sedotto dall’attivismo politico spogliato però dalla costrizione annichilente delle organizzazioni di massa, con cui sprigionare la scintilla creativa o la sensibilità artistica, adatte a convertire i più spigliati, i più disinvolti e i giovani intraprendenti in progetti di mercato. I ritardatari, i balbuzienti e i poveri in scarti umani.

L’ideologia del capitale umano coniugava alla perfezione la triade soggetto/impresa/tecnologia e fagocitava una visione psicotica della realtà incentrata su veri e propri anatemi: la dittatura della crescita esponenziale e a tutti i costi, la supremazia dell’automazione sull’intelletto, il disfacimento progressivo di tutto ciò che esiste, che è solido e che non muore prematuramente nell’obsolescenza programmata.

Un tecno-libertarismo pronto a prosperare, a conquistare le anime ma a una condizione sospensiva: l’allontanamento dei governi da Internet quale nuovo spazio sacro.

L’esercito delle start up ha incarnato alla perfezione il modello filosofico del mindset e l’entusiasmo collettivo ha raggiunto vette elettrizzanti durante la campagna per Obama. Il darwinismo tecnologico in quell’occasione diventò materia di studio per un futuro luminoso di giustizia e modernità garantiti dal verbo corroborante degli imprenditori digitali.

L’ossatura ultra-capitalista si ammantava di venature progressiste e generava la cultura woke: uno spirito aziendale in grado di insabbiare nel politicamente corretto i reali intendimenti del capitalismo digitale consistenti nel guidare i processi politici senza alcuna intermediazione politica. Quindi, sostanzialmente, stravincere la lotta di classe senza fare prigionieri.

Ma, ironia della sorte, è la destra che realizzerà il sogno della Silicon Valley di sedersi sul trono dell’Impero. Basterà togliere il velo d’ipocrisia aristocratico e aggiornare gli algoritmi con toni più popolari e paternalistici. Meno sentimentalismi per le minoranze e più spettacolarità grossolana.

I giovani vecchi californiani, un tempo dediti all’intimismo depurativo della meditazione democratica si sono già riadattati alla muscolarità boscaiola.

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Purtroppo lo si deve ribadire, sono i presupposti culturali del liberalismo progressista che aprono autostrade all’avanzata delle destre liberali e meno liberali. Il loro unico, vero nemico è e sarà solo il socialismo. E lì colpiranno sempre compatti.

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