Le PMI italiane tra private equity e venture capital: un futuro da riscrivere

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Angelica Ferri Personali: “Le piccole imprese escluse dai capitali strategici devono puntare su aggregazione e sinergie pubblico-private”. La commercialista modenese analizza le difficoltà delle PMI nell’accesso ai capitali per la crescita e propone soluzioni che coinvolgono imprenditori, business angels e istituzioni locali

Angelica Ferri Personali, nota commercialista modenese, fa una profonda riflessione su private equity e venture capital italiani: i cui capitali sono spesso inaccessibili per la maggior parte della piccola media impresa italiana, perché destinati a giri di affari consolidati e/o ad idee innovative.

E fa appello alle istituzioni.

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«Su di un mercato sempre più competitivo, è saggio pensare a forme di aggregazione per le PMI che potrebbero così divenire, insieme, più competitive, oltre che ad interventi istituzionali. Le Regioni, per esempio, potrebbero fare da apripista in mercati internazionali dove il Pil cresce». 

Il private equity predilige le aziende strutturate e dai fatturati importanti, il venture capitale sceglie le start up e i settori più innovativi. E le piccole e medie imprese italiane non quotate in Borsa, cioè la maggior parte, che possono vantare marginalità importanti pur a fronte di volumi contenuti quali vie possono percorrere per avere i capitali strategici alla crescita e all’esplorazione di nuovi mercati in un’epoca in cui velocità di cambiamento e competitività sono in costante aumento?

L’interrogativo, e qualche input per nuovi orizzonti, se lo pone la commercialista modenese Angelica Ferri Personali quotidianamente a contatto con le sfide che affrontano gli imprenditori per l’accesso al credito e alle risorse necessarie per continuare a fare impresa in un contesto nazionale e internazionale complesso. Già  sindaco di Unicredit Leasing per nove anni e docente delle scuole di formazione di Confindustria in ambiti finanziari e fiscali, Ferri Personali è partner dello Studio Alisei di Modena e ricopre incarichi prestigiosi in diverse aziende e in tutta Italia. «La vocazione del private equity e del venture capital taglia fuori la gran parte delle piccole e medie imprese italiane che non riescono così ad accedere al mercato dei capitali e che, per cercare opportunità di crescita, devono affidarsi a percorsi non strutturati. O addirittura vendere se non svendere cespiti aziendali», analizza. Si tratta di una condizione non occasionale, tanto che la commercialista non nasconde «il timore di un depauperamento del tessuto della piccola impresa italiana, che non ha canali dedicati e consolidati per accedere all’ossigeno necessario alla sua crescita e trasformazione».

Neppure i business angels in Italia hanno fatto sin qui molta strada se, come aggiorna Ferri Personali, attualmente sono attivi 17 gruppi (11 a Nordovest, 4 a Nordest e la restante quota nel Centro e Sud Italia), che tra il 2018 e il 2022 hanno realizzato finanziamenti per 45 milioni. «È già qualcosa – precisa la commercialista – e tuttavia l’ammontare delle cifre rispetto al lasso di tempo è modesto. Inoltre, i business angels si rivolgono soprattutto alle aziende più innovative e in via di affermazione».

Il fenomeno delle imprese che non di rado sono costrette a chiudere i battenti non per problemi strutturali ma perché non hanno i margini finanziari per crescere è, però, talmente reale che «stanno emergendo figure di imprenditori “illuminati” che, pur di non lasciar morire imprese che sono un concentrato di know how e di personale formato, le rilevano, diventando essi stessi attori di private equity», spiega Ferri Personali. Anche in questo caso, tuttavia, si tratta di azioni singole e non  di sistema.

Che fare? Premesso che l’inattività non è compatibile con le logiche dei mercati attuali,  Ferri Personali auspica «un ampliamento degli interessi dei business angels alle aziende attive su comparti maturi, perché anch’esse oggi necessariamente devono innovare e interpretare in modo inedito il loro settore. Inoltre – aggiunge – è auspicabile, e forse addirittura necessario, che gli imprenditori delle Pmi facciano squadra, e si misurino con forme di aggregazione che rendano le loro realtà capaci di affrontare un mercato sempre più selettivo». 

Un ruolo strategico, nella visione di Ferri Personali, possono giocarlo anche le istituzioni, a partire da quelle più prossime al territorio, come per esempio le Regioni. «Per reggere la concorrenza non basta innovare prodotti e processi, bisogna trovare nuovi mercati – afferma -. Un’operazione non semplice per aziende di piccole e medie dimensioni. Servono risorse ma anche strade aperte e supporti per consentire l’esplorazione delle nuove aree, dopo averle individuate. Per questo – prosegue – sarebbe auspicabile una sinergia strutturata pubblico-privato a più livelli, per reinvestire su missioni in nuovi Paesi esteri, anche lontani per cultura oltreché per geografia, dove il Pil sta crescendo». Per uscire, cioè, da una logica che sembra essersi affacciata dal 2020. «Il Covid ha giocoforza indotto a puntare sul mercato interno e più vicino a casa – considera FerriPersonali -. Le instabilità internazionali che sono seguite hanno ulteriormente favorito uno sguardo commerciale a breve raggio. È tempo di partire per nuove esplorazioni. E non da soli».



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