Pertosa: «Non solo Starlink: una rete di satelliti italiani può essere pronta in 5 anni»

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di
Giuliana Ferraino

La ceo di Sitael: ma ha più senso costruire una rete europea, l’Italia può partecipare con il suo network made in Italy, servono 700-800 milioni. Il governo può investire di più in Iris² per un ruolo di primo piano e un ritorno maggiore per le industrie nazionali

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«Possiamo costruire una costellazione di satelliti a bassa orbita con meno di un miliardo, ma probabilmente avere solo una costellazione italiana non ha molto senso», sostiene Chiara Pertosa, 44 anni, madre di due figli, dal 2022 amministratrice delegata di Sitael, azienda spaziale pugliese, con sede a Mola di Bari, parte del gruppo Angel.

Come valuta un potenziale accordo tra il governo italiano e la Starlink di Elon Musk, per un servizio di comunicazioni sicure per la difesa e le ambasciate?
«Nel breve termine affidarsi a un servizio già disponibile come quello offerto da Starlink è la soluzione più rapida. Ma come Europa dobbiamo puntare sull’indipendenza. Affidarsi esclusivamente a sistemi esteri può andare bene solo per un periodo limitato».




















































Perché in Italia nessuno, anche tra i privati, ha provato a «copiare» Elon Musk quando nel 2019 ha cominciato a lanciare i primi satelliti di Starlink?
«Non è un problema di tecnologia: in Italia siamo perfettamente in grado di realizzare satelliti e costellazioni, abbiamo competenze eccellenti. Il vero ostacolo sono i fondi. Creare una costellazione così importante in termini di numeri, richiede investimenti iniziali significativi. A livello europeo abbiamo impiegato 3 anni per lanciare il progetto Iris² ed è finanziato solo al 60%. Negli Stati Uniti, i sussidi e i contratti di lungo termine permettono di recuperare questi costi nel tempo. In Europa, inoltre, abbiamo un approccio molto più frammentato e regolamentato».

Quali sono i tempi e i costi per un progetto made in Italy?
«Almeno tre anni per lo sviluppo e altri due o tre per implementare il progetto. Ma non avrebbe senso, meglio puntare su una rete più amplia a livello europeo. E l’Italia potrebbe contribuire con 700-800 milioni, un investimento modesto se paragonato ad altre opere pubbliche».

È la burocrazia a frenare l’industria spaziale Ue?
«Non è burocrazia, è normativa tecnica. Tutti i nostri dispositivi, equipaggiamenti, satelliti devono rispettare la normativa Ecss, che garantisce un’affidabilità maggiore. Negli Usa non c’è e Starlink può abbattere i costi, ma con una qualità dei satelliti inferiore sulla carta. In Europa dobbiamo qualificare qualsiasi pezzo prima di farlo volare. Abbiamo specifiche precise sui materiali. I pannelli dei satelliti, ad esempio, devono essere multistrato, mentre si legge in rete che Musk usi acciaio verniciato. Non sappiamo se è vero, diciamo che gli americani si prendono più rischi e fanno più verifiche quando lanciano».

Bisognerebbe semplificare le regole Ue per essere più competitivi nello spazio?
«È una scelta. Un principio cardine dell’Agenzia spaziale europea è “zero debris”. Per avere meno detriti possibili nello spazio, servono regole più severe per costruire prodotti più affidabili. Se abbandoniamo le regole, possiamo abbassare i costi, ma rischiamo di lasciare nello spazio satelliti che si degradano più facilmente e quindi a rischio di malfunzionamenti. Gli americani lavorano più velocemente, prendendosi più rischi. Il nostro approccio è più prudente, ma garantisce affidabilità, ma rallenta i processi».

Lei da che parte sta?
«Le regole sono un investimento per il futuro dei nostri figli, ma dobbiamo trovare un equilibrio tra velocità e sostenibilità».

La cifra di 1,5 miliardi di cui si è parlato per il contratto di 5 anni del governo con Starlink è congrua?
«Non ne ho idea, dipenderà dal servizio offerto».

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Quanto costa un satellite di Musk rispetto a un satellite europeo?
«Gli ultimi satelliti di Musk si legge sempre in rete, pesano 1.200 chili e possono essere replicati in grandi numeri. Starlink non rivela i costi, ma su Internet girano cifre contenute. In Europa solo per lo sviluppo di un satellite servono decine di milioni».

Sareste disponibili a partecipare a un consorzio per una costellazione italiana?
«Certo, già collaboriamo con tutti, Leonardo incluso. La cooperazione è fondamentale per crescere. Servirà una confederazione tra imprese europee per creare una rete di satelliti continentale. Iris² è una rete pensata soprattutto per scopi governativi, potremo allargarla ai servizi commerciali. E il governo italiano potrebbe investire di più nel progetto, per avere un ruolo di primo piano con un ritorno maggiore per le industrie nazionali».

Quali sono i numeri di Sitael?

«Abbiamo in backlog la costruzione di 8 satelliti. Siamo un “new emerging prime europeo” e al momento possiamo realizzare satelliti fino a 600-700 chili, ma ci adattiamo facilmente alle richieste del mercato. Impieghiamo circa 260 persone: 80 a Pisa, dove abbiamo un sito produttivo di propulsori elettrici comprato da uno spinoff universitario, 60 tra Roma, Milano, Forlì e Torino e il resto a Mola di Bari. Produciamo equipaggiamenti elettronici anche per altre aziende».


12 gennaio 2025 ( modifica il 12 gennaio 2025 | 12:16)

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