Ex Ilva, è l’ora di scoprire le carte. Ma per i nuovi acquirenti i tempi non saranno brevi

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E ora che i termini per la presentazione delle offerte vincolanti si sono chiusi a mezzanotte, i commissari di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria si apprestano a scoprire le carte. Ovvero, ad aprire le buste per vedere chi ha offerto cosa e per quale attività e stabilimento messo in vendita. Rispetto alle manifestazioni di interesse giunte a settembre, i commissari puntano ad avere un quadro nitido non solo dei gruppi industriali in corsa ma, soprattutto, delle loro effettive intenzioni rispetto a piano industriale, investimenti, decarbonizzazione, prezzo di acquisto, occupazione, mantenimento nel tempo dell’occupazione e iniziative a favore delle comunità locali che ospitano l’ex Ilva. Elementi, questi, che nelle manifestazioni di interesse non erano richiesti.

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L’analisi delle offerte vincolanti non avverrà in pochi giorni. Richiederà il tempo necessario, quello che i commissari riterranno di doversi prendere, e sarà importante perché non solo sarà il riscontro sul campo degli interessi che sull’ex Ilva sono stati palesati nei mesi scorsi, ma permetterà anche di organizzare le fasi successive. Ovvero i rilanci e la negoziazione esclusiva. I primi potranno interessare tutti o alcuni offerenti. La seconda, invece, solo l’offerta che si riterrà migliore e che a quel punto, salvo imprevisti, potrà considerarsi ben piazzata per la terza privatizzazione dell’ex Ilva dopo quelle del 1995 (dall’Iri ai Riva) e del 2017 (dai commissari di Ilva in amministrazione straordinaria ad ArcelorMittal). Ma ci vorranno settimane prima di giungere a questa fase. Adesso è importante capire chi è davvero in gioco, a che cosa punta, cosa è disposto a dare e come intende darlo: tempi e modi. Non si tratta solo di assicurare, nel miglior modo possibile, la continuità di un’azienda, ma di porre soprattutto le basi per un suo effettivo rilancio dopo quasi 13 anni – saranno 13 a luglio – di crisi infinita e ben due amministrazioni straordinarie.

Probabilmente in estate-autunno si pensava ad un set ampio di potenziali acquirenti, mentre ora, in realtà, sembrano fare notizia più quelli che non ci sono rispetto a quelli che gareggiano per prendersi AdI. Non c’è infatti l’offerta di Nippon Steel, nome che era stato tirato in ballo dopo il forum di settembre a Cernobbio, gruppo che peraltro, negli ultimi giorni, è stato stoppato nell’acquisizione di US Steel nonostante avesse offerto parecchi miliardi di dollari, ben 14. E non ci sono gli ucraini di Metinvest, che pure erano stati dati in lizza nonostante siano impegnati su Piombino con Danieli per un investimento nel forno elettrico. Anzi, ieri è stato precisato che Metinvest non ha presentato per AdI alcuna offerta vincolante alla vigilia della scadenza. Tra l’altro Metinvest, apprende Quotidiano, da settembre ad oggi non è che si sia fatto vivo per AdI. E quando in estate rappresentanti del gruppo sono stati a Taranto, pare che fossero più interessati agli aspetti commerciali legati alle materie prime. Ancora: non c’è Arvedi, impegnato nel rilancio di Ast, rivelatosi molto oneroso. Mentre un altro siderurgico di rilievo come Marcegaglia è sì interessato, ma solo agli impianti di Racconigi (Cuneo), Salerno e ad uno in Francia di Socova, altra società del pianeta AdI messa in vendita. In verità, era già noto che Marcegaglia non fosse interessato a Taranto, tant’è che ha visitato solo gli stabilimenti del Nord, ma da un iniziale, possibile interesse per Novi Ligure e Racconigi, alla fine la scelta del gruppo di Mantova si è circoscritta.

E allora, tolti quelli che non ci sono, almeno al momento, e quelli che hanno altre mire, chi resta in corsa per tutta Acciaierie d’Italia? I nomi che già da un po’ vengono dati in pole position: Vulcan Steel dall’India e Baku Steel dall’Azerbajian. Gruppi che sono anche quelli che hanno maggiormente approfondito il dossier ex Ilva. Dalla loro, Vulcan e Baku hanno altri due punti di forza oltre ai contenuti che costituiranno la loro offerta vincolante. Il primo ha in Oman un’acciaieria da 5 milioni di tonnellate e usa il preridotto di ferro, quello che servirà anche a Taranto per alimentare i futuri forni elettrici. Il secondo, invece, può portare una nave di rigassificazione e quindi premunirsi in partenza, riducendone il costo di approvvigionamento, del gas che servirà al processo di preriduzione. È chiaro, però, che questo non basta. La partita si gioca sul piano industriale, sulla decarbonizzazione, sul piano ambientale e sul mantenimento dell’occupazione. La valutazione delle offerte correrà lungo questi binari.

Se i due gruppi citati appaiono in pole, da vedere infine cosa farà un altro soggetto. Si tratta del canadese Stelco, passato agli americani di Cleveland Cliffs (il ministro Adolfo Urso annunciò Stelco a luglio), o del fondo statunitense Bedrock, che ha comprato Stelco, l’ha rilanciata e rivenduta poi a Cleveland Cliffs. In ogni caso sarebbero comunque americani. Ma è da verificare se quest’altro gruppo presenterà davvero l’offerta vincolante.

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