Caro-bollette, è allarme per le imprese in Puglia. Il dossier della Cgia di Mestre: «Spenderanno 600 milioni in più»

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di
Cesare Bechis

È la regione con i rincari maggiori nel Sud. L’allarme degli imprenditori, il rischio di ripercussioni su prezzi e occupazione

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In Puglia la crescita dei costi legati all’energia elettrica e al gas potrebbe portare un aumento dei prezzi finali e avere un impatto negativo sull’occupazione. Il caro-bollette non colpisce soltanto i cittadini alle prese con le fluttuazioni in aumento dei costi dell’elettricità e del gas. Si abbatte anche sulle imprese. 

Nel 2025, il sistema imprenditoriale pugliese, secondo le stime effettuate dall’ufficio studi della Cgia di Mestre, sborserà 600 milioni in più rispetto all’anno precedente, pari a una percentuale del 18.4 per cento. È prima al Sud per l’incremento delle spese sui consumi. 




















































Tra i settori colpiti c’è quello alberghiero. Francesco Caizzi, presidente regionale Federalberghi, conferma che «il problema è molto preoccupante, i rialzi ci sono stati già a novembre e dicembre in concomitanza con una flessione dell’andamento turistico. Se la tendenza dovesse essere la stessa, nei prossimi mesi avremmo difficoltà. Il maggior costo pari a quasi al triplo di Francia e Spagna costringerà gli albergatori pugliesi ad aumentare i prezzi. Contraccolpi anche per la competitività sul mercato internazionale. Si spera che la speculazione in atto non raggiunga i valori del 2021-2022 perché sarebbe un disastro, con notevoli ripercussioni anche sull’occupazione stagionale».

Le imprese pugliesi nel 2024 hanno speso tre miliardi e 270 milioni per i consumi di gas e luce. Quest’anno i costi aumenteranno di 600 milioni, arrivando a 3 miliardi e 870 milioni. Al Sud la Campania avrà un impatto dell’18.7%. Così nelle altre regioni: Sicilia (18.6), Basilicata (18.8) Molise (19.1), più leggero sarà l’onere per la Calabria (18.2). In Italia, secondo la Cgia, le bollette potrebbero costare all’intero sistema imprenditoriale italiano ben 13,7 miliardi di euro in più rispetto al 2024 (19,2 %). 

Le stime della Cgia si basano su un’ipotesi del prezzo medio dell’energia elettrica nel 2025 di 150 euro per mwh e del gas a 50 euro per mwh. Analizzando la crescita dei costi di 13,7 miliardi nel 2025, scaturisce che quasi 9,8 miliardi (+17,6 per cento rispetto al 2024) riguardano l’energia elettrica e 3,9 miliardi (+24,7) il gas. Le imprese pugliesi dovranno sopportare costi aggiuntivi di 513 milioni per l’energia elettrica e di 87 milioni per il gas. I settori più colpiti sono metallurgia, commercio, alimentari, alberghi, bar, ristoranti, cinema e teatri, servizi vari compresi i trasporti.

«L’industria pugliese è preoccupata di questi aumenti – dice Sergio Fontana, presidente di Confindustria Puglia, – perché ancora c’è difficoltà di accesso al credito e gli oneri bancari sono elevati. L’aumento del costo dell’energia aumenta le difficoltà per il nostro sistema e, se pur non come due anni quando ci fu l’impennata, ci creerà problemi soprattutto in relazione alla competitività delle imprese. Basti pensare a Francia e Spagna che sopportano costi energetici inferiori ai nostri. Noi giochiamo una partita in un campionato in cui le regole non sono uguali per tutti. Abbiamo perciò bisogno di una politica energetica non regionale ma europea dove tutti possiamo produrre con le stesse capacità competitive». 

Anche il settore del commercio teme contraccolpi. «È inevitabile che questi aumenti abbiano un riflesso negativo sui consumi in generale – afferma Benny Campobasso, presidente di Confesercenti Puglia – Veniamo già da un autunno decisamente “freddo” dal punto di vista commerciale, con calo del 2 per cento rispetto al 2023. Permane quindi un quadro generale di stallo della spesa delle famiglie che – puntualizza – nonostante il rallentamento dell’inflazione rimangono prudenti e operano acquisti selettivi e ponderati. Rimane, dunque, la necessità di dare una scossa positiva alla domanda interna: bisogna continuare sulla strada della riforma fiscale per liberare risorse. In particolare, servirebbe una detassazione generalizzata degli aumenti salariali, che dopo due anni di alta inflazione – permetterebbe di ridurre il rischio di drenaggio fiscale, soprattutto per i lavoratori che hanno ottenuto un aumento delle retribuzioni tale da passare ad un’aliquota Irpef più pesante».

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12 gennaio 2025 ( modifica il 12 gennaio 2025 | 08:05)

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