Il valore della cultura religiosa e il patrimonio storico italiano

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Presentiamo la lettera di S.E. mons. Di Tolve, vescovo ausiliare di Roma e delegato per l’ambito dell’Educazione, pubblicata su Vita Pastorale di gennaio 2025,  sull’ora di religione.


Un discorso chiaro sulla contestata “ora di religione” a scuola

di monsignor Michele Di Tolve – vescovo ausiliare di Roma

 

Credo sia il caso di fare un discorso chiaro sull’”ora di religione” a scuola. Ma anche sui contenuti, la metodologia, la preparazione degli insegnanti e il rapporto con le altre discipline. E, non ultimo, sull’inserimento in ruolo degli insegnanti di religione. L’insegnamento della religione (IRC) dipende dal Concordato del 1929, che così recita all’articolo 36: «L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato». L’Accordo di revisione del Concordato del 1985 stabilisce, a mio avviso, una continuità e un orientamento nuovo, quando dice: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado».

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Più che evidente la continuità con il passato, ma è anche da evidenziare il nuovo assetto dell’IRC, che viene messo in relazione non con l’istruzione pubblica, ma con il patrimonio culturale del popolo italiano e sempre in rapporto con le finalità della scuola. Sono due le sottolineature da evidenziare: da una parte per chiarire le caratteristiche di un insegnamento che si inserisce nella formazione culturale dell’alunno affinché possa “decodificare” tutto il patrimonio culturale ed europeo, che per il 95% è composto da contenuti che si riferiscono al cristianesimo e alle religioni; dall’altra per distinguere l’IRC dalla catechesi. Ma valore culturale del cattolicesimo non significa insegnamento dimezzato, ma conoscenza precisa nella sua interezza, che comprende contenuti della fede, aspetti di vita, espressioni di culto e quant’altro è necessario per apprenderlo. Il tutto orientato alle finalità scolastiche che sono di conoscenza della cultura italiana, che non si può spiegare e conoscere in tutte le sue forme (letteratura, arte, musica…) senza il cattolicesimo.

«Tale insegnamento», diceva già il Concordato del ’29, «sarà dato a mezzo di maestri e professori, sacerdoti o religiosi, approvati dall’autorità ecclesiastica e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato di idoneità da rilasciarsi dall’Ordinario diocesano». Nel protocollo addizionale alla revisione del Concordato viene ribadito che «l’insegnamento della religione cattolica è impartito da insegnanti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica». E lo stesso si dice degli insegnanti delle scuole materne ed elementari. In una contestazione studentesca, qualche anno fa, si invitava a boicottare l’ora di religione perché i docenti «non soltanto saranno scelti dalla Curia e pagati dallo Stato, ma saranno assunti per legge». E sempre in quel pianeta così variegato del mondo giovanile è facile cogliere una certa ereditarietà e debito verso una cultura laicista e anticlericale, che fa dire ai giovani: «Si faccia la Chiesa le sue scuole e lì dia i suoi insegnamenti religiosi». Vorrei dire che non la Chiesa ma lo stesso Stato deve nelle scuole pubbliche avere il coraggio di trasmettere la genuina cultura del popolo italiano che respira cristianesimo e cattolicesimo in specie da tutti isuoi pori. Anche espressioni di dissenso con il cattolicesimo non si possono comprendere senza il confronto con quella matrice culturale che viene contestata. Ma ancor di più coloro che vorrebbero un insegnamento di storia delle religioni, ignorano che gli studenti non chiedono di sapere la storia, ma cercano il senso, il significato dentro ogni percorso storico, e questo non è possibile se non a partire da un’identità. A ognuno il suo compito: alla Chiesa quello di far crescere nella fede una comunità nazionale che oggi stenta a riconoscere nel cattolicesimo la sua identità; alla Scuola pubblica (statale e paritaria) l’impegno di non far perdere traccia di quelle radici. Nel concorso si richiede, come condizione, il decreto di idoneità dell’autorità ecclesiastica. Se lo facesse lo Stato allora non sarebbe più uno Stato laico, ma confessionale. E qui che l’atipicità di tale insegnamento ha la sua radice ed espressione.

A molti è sembrata un’ingerenza nelle cose della “res-pubblica”. Concludo col dire che è obbligo di giustizia dare un assetto giuridico all’IRC e ai relativi docenti, ma è certo un dovere ineludibile guardare a tale insegnamento con fiducia, affinché un allievo sappia rendere ragione della sua cultura e confrontarsi con altre culture e religioni, nel pieno rispetto di tutti. Il fatto che ci sia l’ora del “nulla” piuttosto che l’ora di attività alternativa, fa paura perché ancor più ragazzi sceglierebbero di partecipare all’IRC. Siamo in un momento in cui proprio la mancanza di senso della vita, porta i ragazzi a togliersi la vita non sopportandone il peso e la fatica. E ci sono persone che fanno ancora polemica sull’esistenza dell’IRC che, nonostante gli attacchi ripetuti, continua a essere scelta, anche se taluni dirigenti scolastici fanno di tutto per far si che i ragazzi non la frequentino. Una scuola che preferisce avere i ragazzi per strada e non nelle aule a cercare il senso della vita, attraverso la bellezza di tutta la cultura, anche quella nata dal cristianesimo e da altre religioni, non è a rischio di fallimento totale, sia culturale che educativo?

 



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