Tragedia a Massarosa: Morte di Katia Palagi, la Procura di Lucca Ha Aperto un’Inchiesta

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MASSAROSA. Caso Palagi, la Procura di Lucca indaga per truffa e istigazione al suicidio. È questa la novità relativa alla vicenda di Katia Palagi, la 56enne di Massarosa che il 12 novembre scorso si è suicidata, gettandosi dal viadotto autostradale di Bozzano, dopo essere stata vittima di una truffa legata agli investimenti online e alle criptovalute. Un raggiro che oltre a comportare la perdita di un’ingente somma di denaro – si parla dei risparmi accumulati nel corso della vita –, l’ha portata a subire minacce, rivolte a lei e ai suoi familiari, da parte di persone senza scrupoli che la ricattavano via telefono. Quel telefono a cui, anche dopo la morte della donna, hanno continuato ad arrivare i messaggi dei suoi aguzzini.

Le ipotesi di reato

Starà alla magistratura provare a dare un volto ai responsabili della morte di Katia. L’ufficio requirente, diretto dal procuratore capo Domenico Manzione, ha aperto un procedimento sul caso. Le ipotesi di reato sono truffa e istigazione al suicidio. Secondo gli inquirenti, i messaggi e le telefonate che raggiungevano Katia e provenivano dai suoi ignoti persecutori alcuni con accento straniero l’avrebbero spinta al gesto estremo. La donna e i suoi familiari avevano già presentato denuncia alla Guardia di finanza: una prima volta a settembre del 2022, quando era chiaro che i soldi investiti erano finiti in truffa; poi la sorella Marisa e il marito di Katia, Giacinto Canini, si erano presentati di nuovo a novembre 2024, dopo la tragedia, sostenendo che si era trattato di istigazione al suicidio.

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La sorella

«Finalmente»: è il commento di Marisa Palagi nell’apprendere che sulla storia atroce che ha coinvolto sua sorella è stato aperto un fascicolo giudiziario con un doppio capo di imputazione. La vicenda dei soldi investiti da Katia con tutti i migliori auspici di una vita più agiata e con minori problemi, l’impossibilità di riaverli, le pressioni che la donna riceveva dai suoi aguzzini perché continuasse a versare denaro, tutto ciò ha stretto in una morsa di paura le due sorelle e i rispettivi familiari per oltre due anni, fino a quando Katia, vistasi probabilmente perduta perché in forte difficoltà, ha deciso di compiere un gesto estremo.

Da parte sua, prima di questo momento, e da parte dei suoi familiari dopo il tragico epilogo, i tentativi di portare la vicenda all’attenzione delle autorità sono stati ripetuti, racconta Marisa. E mentre parla, il film di quegli anni e di quei mesi, di quei giorni in cui le telefonate dei truffatori squarciavano la quotidianità del lavoro e della vita familiare portando un vento di terrore, riemerge; un fluire copioso di parole, ma senza alcun tono di accusa, senza alcuna rabbia: solo la profonda speranza che nessuno debba più subire quello che ha subìto Katia. E che si facciano chiarezza e giustizia.

Le telefonate

«La mattina del 13 novembre scorso, il giorno dopo in cui, nel pomeriggio, Katia si era tolta la vita – ricorda la sorella Marisa – con mio marito mi recai presso il comando della guardia di finanza al quale mia sorella si era già rivolta per quello che le stava accadendo: sporgemmo denuncia per istigazione al suicidio. Il giorno precedente, sul telefono di mia sorella avevamo notato che erano arrivate nove telefonate, anche di diciotto, venti e quarantacinque minuti, sempre dallo stesso numero. Le telefonate in modo così ossessivo erano iniziate a fine ottobre. Non posso escludere che nelle ultime ore lei abbia ricevuto anche minacce».

«Le persone che contattavano mia sorella – prosegue il racconto di Marisa – si presentavano come avvocati, come loro collaboratori, invece erano solo truffatori. Le avevano chiesto fotocopie dei suoi documenti, sapevano tutto di lei, dove abitava, qual era il suo lavoro. Ma sapevano anche di noi: sia io che mia figlia abbiamo ricevuto messaggi da un sedicente avvocato».

Poi la tragedia. Il 12 novembre del 2024 Katia, come ha raccontato la sorella Marisa nello studio della trasmissione “Chi l’ha visto?” su Rai3, aveva preso un permesso dal lavoro, aveva detto che doveva sbrigare delle commissioni. Invece aveva deciso di farla finita; aveva lasciato un biglietto, nel quale chiedeva ai suoi familiari di rispondere alle telefonate che stavano arrivando da un preciso numero. «Il 15 novembre, dopo il funerale – prosegue il ricordo di Marisa – con mio cognato, il marito di Katia, siamo tornati al comando della guardia di finanza, per ripetere la denuncia di istigazione al suicidio. Peccato, penso che se quel telefono fosse stato esaminato subito, sarebbe stato più facile cercare di risolvere il caso. Quel telefono ce l’ho sempre io, continua ancora a squillare, mi sono permessa di rispondere ad alcune chiamate, le ho registrate».

L’appello

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Adesso Marisa rinnova il suo appello: «Fate qualcosa». Un appello, sottolinea, «per evitare che qualcuno faccia la fine di mia sorella, che nessuno purtroppo potrà restituirmi. Provava vergogna per essere stata truffata in quel modo. Una volta, a luglio del 2023, l’avevo accompagnata anche presso la polizia postale. Voleva presentare una nuova denuncia, ma si vergognava».

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