Il 2025 sarà l’anno delle startup innovative?

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Le startup innovative possono essere un’occasione di sviluppo per le aree interne e più deboli. L’intervento di Giuseppe Capuano, economista.

Da nostre stime entro il 2030 le startup innovative dovrebbero superare in Italia la soglia delle 20mila unità. Oggi sono 14.264 e la loro distribuzione regionale, pur essendo prevalentemente concentrata in Lombardia (27,6 per cento del totale) e nel Lazio (12,8 per cento del totale) che insieme rappresentano il 39,4 per cento del totale, sono particolarmente presenti anche nel Mezzogiorno (3.702 pari al 26 per cento del totale).

Ciò significa che più di un’impresa su quattro, infatti, opera al Sud, in particolare in Campania dove sono localizzate 1.413 startup innovative pari al 9,9 per cento del totale e in Sicilia dove operano 714 startup innovative pari al 5 per cento del totale. Dati superiori a quelli presenti per il Nord-Est, che ammontano comunque a 2.500 imprese in particolare localizzate nel Veneto (1.107 startup innovative pari al 6,8% del totale). In questa geografia delle startup innovative anche realtà regionali più decentrate rispetto alle dinamiche economiche europee e internazionali come la Calabria (256 startup innovative) e la Basilicata  (135 startup innovative) possono giocare un interessante ruolo che andrebbe ulteriormente potenziato con la creazione di una rete che potremmo definire dell’”innovazione imprenditoriale” formata da Università e centri di ricerca, Camere di commercio e Associazioni di impresa, supportata da Comuni e Regioni.

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Il potenziale impatto economico che simili politiche potrebbero avere sullo sviluppo locale in termini di creazione di ricchezza e occupazione e costituire un fattore di attrazione soprattutto per giovani ricercatori e neo-imprenditori è confermato anche dalle prime evidenze empiriche scaturite da uno studio ancora in itinere che personalmente sto curando per il Senato della Repubblica.

Da una prima analisi dei dati sembrerebbe che le economie esterne create da un ambiente imprenditoriale favorevole unitamente alla localizzazione di imprese e la presenza di Università e centri di ricerca, distretti produttivi high tech, etc., abbiano una influenza maggiore sulla nascita di startup innovative o sugli spin off universitari rispetto al livello di sviluppo di un territorio (sintetizzato dal valore del suo Pil pro-capite) le cui concause possono essere molteplici (dal particolare modello di sviluppo locale, alla dotazione infrastrutturale, alla sua propensione all’export, etc.) e non determinanti per la localizzazione di startup innovative.

A titolo esemplificativo del nostro ragionamento potrebbe essere il confronto tra la situazione economica presente in Campania e in Piemonte: il Piemonte ha un Pil pro-capite evidentemente più alto (34.400 euro) rispetto alla Campania (21.200 euro) che, però, ha localizzate circa 40mila imprese in più rispetto al Piemonte, ha importanti Università insediate sul territorio regionale (come ad esempio la Federico II, il Politecnico di Napoli, il campus dell’Università di Salerno, etc.) e centri di ricerca (come il CNR e la Città della Scienza a Napoli) e la presenza, tra gli altri, del distretto dell’aerospazio oltre alla localizzazione di importanti imprese di settori tecnologicamente avanzati come Leonardo e Alenia.

L’insieme di questi fattori localizzativi e la creazione di economie esterne potrebbe spiegare in parte e a parità di condizioni, perché la Campania sia diventata negli anni un hub privilegiato per l’insediamento di startup innovative nel Mezzogiorno. Una evidenza che potrebbe rappresentare una interessante indicazione per le policy dedicate allo sviluppo locale di altre regioni italiane ed in particolare del Sud.

Occorre, quindi, valorizzare queste imprese e creare le condizioni, insieme alle Università e centri di ricerca dei territori interessati, per la nascita di nuove startup innovative. Consentire loro di crescere e favorire la creazione di reti di impresa utilizzando soprattutto due strumenti: Legge Scaleup Act (L. 193/2024) e il Contratto di rete L. 33/2009).

Lo Scaleup a nostro avviso rivoluzionerà il panorama delle startup innovative italiane nei prossimi anni. La nuova legge, entrata in vigore il dicembre scorso, è un audace passo avanti per una crescita guidata dall’innovazione in Italia e integra lo Startup Act del 2012. La nuova legge prevede agevolazioni amministrative e fiscali per chi crea nuove imprese innovative e chi, come i fondi di venture capital, le finanzia. In particolare esso prevede:

  • un periodo di registrazione presso il Registro dedicato dalle Camere di commercio esteso: le startup e le scaleup hanno ora 9 anni di tempo (prima era 5 anni) per prosperare con un supporto mirato di tipo finanziario, fiscale e di semplificazione amministrativa;
  • vantaggi per gli investitori: i punti salienti includono una detrazione fiscale del 65% per gli investimenti iniziali ed esenzioni sulle plusvalenze reinvestite con l’obiettivo di favorire l’utilizzo del venture capital (segmento ancora poco sviluppato in Italia rispetto ad altri Paesi Ue) e l’ingresso dei venture capitalist nel capitale delle startup innovative;
  • impatto istituzionale: si prevede che le assegnazioni obbligatorie al capitale di rischio inietteranno 3 miliardi di euro nell’ecosistema.

Con il Contratto di rete, invece, si consente di mettere in rete le startup innovative, per definizione giovani e finanziariamente deboli, per farle crescere e renderle più forti a cospetto delle insidie del mercato nella convinzione che, parafrasando John Donne (poeta, religioso e saggista inglese), “nessuna impresa è un’isola” e come l’uomo, nessuna impresa può farcela da sola.

La localizzazione di startup innovative in un territorio può essere, quindi, un fattore di sviluppo locale in particolare per quelli più in difficoltà come le aree interne dove sono presenti soprattutto comuni di piccole dimensioni con meno di 5.000 abitanti a forte rischio di spopolamento.

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A tal proposito sono 358 i comuni italiani a «zero nascite » nel 2024 tutti localizzati nelle aree interne del Paese. Per rilanciare questi borghi con l’aiuto del PNRR e delle finanze Regionali/Ue si potrebbero creare degli hub per le startup innovative, metterle in rete con l’utilizzo del Contratto di rete in un conteso territoriale che potrebbe prevedere anche la creazione di aree a fiscalità dedicata che potremmo denominare Zone Economiche Montane (ZEM) sul modello delle ZES.

Il «nostro deserto» potrebbe essere la nostra Silicon Valley e una occasione di sviluppo, con costi localizzativi bassissimi, con la creazione di economie esterne di localizzazione e la preservazione dell’ambiente, nella convinzione che non possiamo “trasferirci” tutti a Milano con costi ambientali, sociali e economici da congestione urbana elevatissimi per l’intero sistema Paese.



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