TRENTO. Chi ha seguito, anche solo distrattamente, la cronaca locale degli ultimi mesi ha probabilmente letto tra le homepage dei giornali online e le prime pagine dei quotidiani il nome di una multinazionale americana con profonde radici italiane. Anzi, trentine. Si tratta della Dana, il cui futuro è sempre più incerto tra voci, scioperi, preoccupazioni e attese.
La multinazionale americana è leader mondiale (come tutti amano definirsi, a un certo livello) nel settore dell’automotive e – pur avendo varie e numerose divisioni – eccelle del campo della produzione di componenti per il mercato Off-Highway. I due stabilimenti trentini di Arco, quello più “storico”, e di Rovereto contano quasi 1.000 dipendenti e sono un vero e proprio fiore all’occhiello della Dana: sono due stabilimenti che rientrano nel ramo dell’azienda che si occupa dello sviluppo di sistemi di trasmissione e movimento per veicoli pesanti impiegati in settori come agricoltura, edilizia, silvicoltura, industria mineraria e movimentazione dei materiali.
Ma tra vendite, delocalizzazione e incognite, non mancano le nuvole nere all’orizzonte: un orizzonte verso cui proviamo ad avventurarci anche con le parole di uno dei “protagonisti” della vicenda, il segretario generale della Fiom del Trentino Michele Guarda.
OFF-HIGHWAY, ECCELLENZA IN VENDITA.
Torniamo a noi. Ecco, la Dana quel ramo “Off-Highway” di cui sopra ha deciso di venderlo: non perché non stia producendo, anzi al contrario, proprio perché rappresenta una realtà di crescente valore che sta contribuendo a mettere a posto i conti della multinazionale. Un “giocattolo” il cui fatturato nel 2023 secondo il report annuale di Dana si è aggirato intorno ai 3 miliardi di dollari.
D’altronde gli stabilimenti trentini lavorano a pieno regime, e a Rovereto vengono prodotti qualcosa come 500 assali al giorno in un contesto di alta flessibilità ed efficienza che hanno reso lo stabilimento un punto di riferimento a livello globale. Il 25 novembre 2024 è il giorno in cui appare un primo comunicato ufficiale sul sito della multinazionale, seguito a stretto giro – il giorno seguente – da una lettera inviata ai dipendenti che spiega le motivazioni alla base dell’operazione e rassicura tutti circa la solidità dei progetti futuri dell’azienda.
“Il tema è delicato e può avere risvolti sociali importanti”, commenta Michele Guarda parlando a Il Dolomiti. “Pur senza generare allarmismi, è chiaro che la messa in vendita non può che destare preoccupazione, peraltro condivisa oltre che dalla Provincia Autonoma di Trentino anche dal governo nazionale: il Ministero delle Imprese e del Made In Italy (Mimit) ha convocato rappresentanze sindacali e azienda per il prossimo 23 gennaio”.
Insomma, come in tutte le situazioni di cambio di proprietà di un’azienda, non resta che aspettare e vedere come andrà e quali saranno le mosse degli eventuali compratori. Potrebbe perfino trattarsi di un’opportunità, magari con rinnovati investimenti in Italia e in Trentino? Michele Guarda, più concreto nell’affrontare queste vicende, mette le mani avanti: “Vedremo, è difficile fare pronostici e anche abbastanza fine a sé stesso, oggi come oggi. Ma storicamente sappiamo che queste operazioni spesso hanno avuto impatti occupazionali significativi e dunque vanno seguite con la massima attenzione”.
“In Trentino ci sono circa 950 dipendenti tra Arco e Rovereto. I livelli di flessibilità raggiunti in questi stabilimenti sono altissimi: linee che possono essere attive 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Esiste una lunga tradizione di contrattazione sindacale, che ha permesso di mantenere alta la produttività: e come detto i bilanci aziendali confermano che la Dana è in una situazione eccellente. Tuttavia non possiamo sentirci al sicuro, in questa situazione di incertezza: è successo anche con la Whirlpool, che è stata premiata come miglior stabilimento europeo e poi chiusa dopo poche settimane… Insomma, le logiche delle multinazionali spesso prescindono dalla produttività o dalla redditività locale e seguono strade diverse”.
MESSICO E NUVOLE.
A proposito di “strade diverse”, a destare ulteriore preoccupazione c’è anche il piano di delocalizzazione annunciato dalla stessa Dana che prevede il trasferimento di parte della produzione dall’Italia al Messico entro il 2026. Anzi, da Rovereto al Messico.
“A settembre, durante un incontro con le Rsu il giorno prima di un incontro programmato per discutere del rinnovo del contratto aziendale – racconta Guarda -, Dana ha comunicato verbalmente l’apertura di uno stabilimento in Messico. Uno scenario che all’inizio sembrava non avere conseguenze sul resto degli stabilimenti italiani, ma che con il passare delle settimane ha visto crescere il suo possibile impatto, limitato a Rovereto ma non di certo di modesta entità. Si parla infatti di una possibile riduzione della produzione tra il 20% e il 40% a Rovereto, e di circa il 10% su Arco”.
“Insomma – riprende Guarda -, nella migliore delle ipotesi si parlerebbe come minimo di un centinaio di esuberi solo a Rovereto, ma considerando anche l’indotto, il numero rischia di mettere in difficoltà un ulteriore gran numero di aziende e quindi di lavoratori. Tra Busa, Vallagarina, Giudicarie e Valsugana sono tante le realtà che producono per la Dana, per non parlare delle aziende di servizi che impiegano personale nell’azienda. Tutte queste realtà subirebbero conseguenze importanti, e questo rende ovviamente la situazione ancora più preoccupante”.
E così è arrivata la pronta e decisa reazione dei dipendenti di Dana e le loro rappresentanze sindacali, che nelle ultime settimane hanno messo in campo varie iniziative di protesta tra scioperi e manifestazioni.
Proteste andate in scena per vari e giornate durante il mese di dicembre e che hanno portato, per il momento, all’incontro tra le parti andato in scena al Palazzo della Provincia di Trento lo scorso 20 dicembre, una decina di giorni dopo che l’assessore provinciale allo sviluppo economico, Achille Spinelli, aveva già incontrato i vertici della multinazionale. Durante il confronto con le rappresentanze sindacali e i lavoratori, Spinelli ha peraltro ribadito l’impegno della Provincia nel tutelare occupazione e continuità produttiva. “Gli stabilimenti di Arco e Rovereto rappresentano il 60% della produzione di Dana Italia”, ha dichiarato l’assessore. “In Trentino con Dana si è costruito moltissimo sul fronte della ricerca, dell’innovazione e della qualità della vita dei lavoratori e non possiamo disperdere questo patrimonio”.
Le preoccupazioni dei lavoratori peraltro non si limitano solo al piano di delocalizzazione: negli ultimi anni, l’azienda ha già attuato scelte che hanno progressivamente ridotto la centralità delle sedi trentine all’interno del gruppo. Tra il 2020 e il 2021 parte dei servizi amministrativi è stata trasferita in Lituania, e più recentemente – tra il 2023 e il 2024 – sono stati distribuiti alla controllante americana circa 200 milioni di dividendi, “prosciugando” le risorse per nuovi investimenti sul territorio nazionale italiano. Questi elementi, uniti alla notizia della messa in vendita della società, non hanno fatto che alimentare incertezza sul futuro e malumori.
E la crisi, come detto, non colpisce solo i lavoratori, ma anche l’intero tessuto industriale e sociale del territorio, che rischia di dover fare i conti con una perdita significativa. Sorprende solo fino a un certo punto quindi che il deputato veneto Enrico Cappelletti (Movimento 5 Stelle) abbia presentato non più tardi di qualche giorno fa, il 14 gennaio, un’interrogazione parlamentare al Ministro delle Imprese e del Made in Italy, sottolineando l’urgenza di un intervento a livello nazionale.
“È inaccettabile che una decisione di tale portata sia motivata principalmente dalla volontà di garantire la remunerazione degli azionisti, senza considerare l’impatto devastante sul tessuto sociale ed economico del territorio”, ha detto l’onorevole Cappelletti. “La Dana rappresenta un asset strategico per l’economia trentina e nazionale, e la sua presenza sul territorio è fondamentale per mantenere la sovranità industriale in un settore ad alto valore aggiunto come quello metalmeccanico”.
CONTRO LE MULTINAZIONALI, NON C’E’ POLITICA CHE TENGA (?).
Insomma, tutti vogliono provare a salvaguardare gli stabilimenti e l’occupazione, in Italia e in Trentino. Ma cosa può l’impegno della Provincia e la “buona volontà” delle istituzioni di fronte a scelte che vengono compiute Oltreoceano da enormi multinazionali che muovono milioni di milioni e giocano a proteggere i propri enormi interessi economici?
“Certo, la Dana è una multinazionale – riprende Michele Guarda -, e il Trentino è un piccolo territorio di montagna. Anche perché non dimentichiamoci il contesto geopolitico in cui siamo tutti inseriti oggi, un momento di marcia indietro della globalizzazione in cui si preferisce, perché conviene, produrre dove si vende. Per mettersi al riparo da tensioni geopolitiche, dazi e problemi di forniture. Ma non si può stare fermi ed aspettare, prendere atto della situazione e girarsi dall’altra parte. Anche in quest’ottica bisogna intendere la delocalizzazione, almeno parziale, verso il Messico e il continente americano“.
“Servirebbe una regia europea per affrontare questi processi: oggi invece prevalgono logiche di deindustrializzazione, e l’Europa si sta dimostrando fragile e troppo frastagliata di fronte alla competizione globale. Non possiamo permetterci di restare indietro. In Trentino abbiamo sempre dimostrato di essere produttivi, redditizi ed efficienti, ma questo non basta se mancano investimenti mirati e soprattutto se manca una politica industriale. Serve un impegno concreto per attrarre nuove produzioni e per rafforzare i legami tra aziende, mondo della ricerca e sviluppo tecnologico”.
“In Trentino – conclude il segretario della Fiom del Trentino – c’è stata, temo, una perdita di consapevolezza rispetto a cosa significhi ‘Autonomia‘. Proprio grazie ad essa per un lungo periodo siamo stati un modello attrattivo per le aziende: l’università saliva ai vertici di tutte le classifiche nazionali, avevamo investimenti di grandi gruppi come Microsoft e Fiat, c’era un attivismo politico e amministrativo che creava terreno fertile per l’arrivo di aziende e imprese. Dobbiamo tornare a quello spirito coraggioso, capace di sperimentare soluzioni innovative, pur sapendo che oggi il quadro internazionale è divenuto molto più complesso. Se mi guardo intorno ora, però, quella voglia di essere davanti a tutti, ahimè, non la vedo più“.
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