Riforma lavoro autonomo: omnicomprensività – Euroconference News

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Uno dei temi principali, su cui poggia la Riforma del reddito da lavoro autonomo, attuata dall’articolo 5, D.Lgs 192/2024, è certamente l’introduzione del principio di omnicomprensività dello stesso reddito da lavoro autonomo, per cui qualunque somma incassata (e pagata) nello svolgimento dell’attività professionale e/o artistica è ricondotta alla categoria reddituale del lavoro autonomo. Si passa, quindi, da una norma che indentificava in modo puntuale il reddito da lavoro autonomo qualificandolo (esclusivamente) come i compensi in denaro o in natura percepiti per aver svolto attività professionale, ad una norma molto più ampia, secondo cui tutte le somme a qualunque titolo percepite in relazione alla attività professionale diventano reddito da lavoro autonomo.

Non si tratta di una novità assoluta nell’ambito della imposizione diretta poiché, ad esempio, il reddito da lavoro dipendente (già da molti anni) presenta questa configurazione letterale; basti pensare all’articolo 51, Tuir, che afferma la riconducibilità al reddito da lavoro dipendente di tutte le somme percepite in relazione al rapporto di lavoro. Tuttavia, questa analogia non convince fino in fondo, poiché mentre il reddito da lavoro dipendente non ammette costi deducibili, il reddito da lavoro autonomo è dato da una differenza tra componenti positivi e componenti negativi; pertanto, se di analogia si deve parlare, meglio è volgere l’attenzione al reddito d’impresa, nel quale è pure previsto un principio di omnicomprensività (articolo 81, Tuir, secondo cui il reddito complessivo da qualunque fonte provenga è reddito d’impresa) che, però, è certamente meglio codificato. In modo particolare, una differenza che immediatamente emerge è che nel reddito d’impresa sono disciplinati vari componenti positivi e negativi che hanno una propria denominazione ed un proprio assetto di determinazione pur partecipando tutti al reddito d’impresa complessivo.

Questa analitica descrizione di componenti positivi e negativi manca, invece, nel reddito da lavoro autonomo (salvo la distinzione tra compensi e plusvalenze) e tale lacuna porta con sé una serie di problemi che dovranno essere risolti o in chiave normativa (interpretazione autentica) o in via almeno interpretativa da parte degli organi ufficiali.

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Di seguito vediamo alcune di queste problematiche che emergono, avendo sancito il principio di omnicomprensività del reddito da lavoro autonomo, senza una adeguata suddivisione dei vari componenti positivi o negativi.

 

La nozione di compensi

Tutte le somme incassate in relazione alla attività professionale saranno reddito da lavoro autonomo, ma certamente una cosa è parlare di compensi, altro è parlare di plusvalenze o sopravvenienze attive o interessi attivi, ecc.. Nel reddito d’impresa una specifica disposizione qualifica i ricavi (articolo 85, Tuir) ed è ovvio che così sia, basti pensare a tutti i riferimenti di altre norma al concetto di ricavi che sarebbero difficilmente applicabili, se non fosse certo cosa è ricavo e cosa non lo è. Una simile disposizione non esiste del reddito professionale; eppure, anche in tale ambito, vi è la necessità di isolare all’interno del reddito da lavoro autonomo ciò che è compenso da ciò che pure concorre a forma tale reddito, ma non può definirsi compenso. Pensiamo al tema del tetto previsto per determinare il reddito quale soggetto forfettario: l’articolo 1, L. 190/2014, fa riferimento non al reddito da lavoro autonomo, bensì ai compensi incassati che non devono superare la soglia di euro 85.000. Nel quadro RE del futuro confluiranno molti componenti positivi, ma solo i compensi in senso stretto rilevano ai fini del tetto succitato: ebbene, manca una definizione chiara di tale componente positivo (mentre essa è presente nell’articolo 85, Tuir, per il reddito d’impresa). Certo intuitivamente si può definire il compenso come la contropartita dovuta dal committente al professionista della sua prestazione in un rapporto sinallagmatico che vede da una parte l’obbligazione di pagamento e dall’altra quella di eseguire una prestazione intellettuale, ma molto meglio sarebbe se una simile definizione fosse inserita nella lettera della norma. Il problema esisteva anche in passato, ma certamente di fronte all’ampliamento della categoria reddituale del lavoro autonomo, il tema diventa più stringente.

Ma c’è un altro ambito nel quale serve una definizione di compenso; ambito che è proprio del lavoro autonomo: il sostituto d’imposta. In base all’articolo 25, D.P.R. 600/1973, la ritenuta d’acconto va operata per i compensi, comunque denominati, erogati nel periodo d’imposta. La ritenuta, pertanto, non va operata su tutto ciò che costituisce reddito da lavoro autonomo, ma solo sui compensi, la cui definizione negli articoli 54 e seguenti del Tuir non esiste. Certo si può escludere che la ritenuta vada operata su ciò per il percettore è una plusvalenza per aver ceduto, ad esempio, un computer, ma altri sono i problemi. Colui che paga una somma ad un altro professionista per aver acquistato il suo studio deve operare la ritenuta d’acconto? il reddito da cessione dello studio è certamente da lavoro autonomo, ma ora non è più citato nell’articolo 54, Tuir, poiché, come dice la Relazione Illustrativa, non c’è bisogno di dirlo, rientrando esso nella omnicomprensività, ma con quale appellativo lo stesso concorre a formare l’imponibile? come compenso (ed allora andrebbe applicata la ritenuta) o come plusvalenza (come sembrava di poter concludere alla luce della collocazione nel precedente comma 1 quater, del vecchio articolo 54, Tuir, senza applicazione di ritenuta)

Per tacere del tema della somma erogata per l’acquisto delle quote sociali che diventa, con il 2024, un reddito da lavoro autonomo, ma come compenso, il che comporterebbe l’obbligo di operare la ritenuta d’acconto o come altro tipo di componente positivo? Come si può constatare, il principio di omnicomprensività genera numerosi interrogativi in merito all’obbligo di operare la ritenuta, il che dovrebbe indurre l’Agenzia delle entrate a fornire la propria interpretazione.

 

Sopravvenienza attive

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Se viene acquistato un contratto di leasing ceduto da un professionista, si genererà, in capo a quest’ultimo, una sopravvenienza attiva pari al valore normale del bene oggetto del contratto, dedotti i canoni attualizzati che restano da pagare. Quindi, si genera in capo al professionista un reddito da lavoro autonomo, ma non trattandosi di compenso, dovrebbe essere esclusa la ritenuta d’acconto come obbligo dell’acquirente.

 

Interessi attivi di conto corrente

Nella situazione normativa precedente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 192/2024, gli interessi attivi da conto corrente non potevano certo dirsi componenti positivi afferenti alla categoria reddituale del lavoro autonomo, non avendo la natura di compensi. Peraltro, a norma dell’articolo 26, D.P.R. 600/1973, essi sono soggetti ad una ritenuta titolo di imposta, per cui il professionista individuale non ha mai sottoposto a tassazione nel proprio modello redditi tali proventi. Discorso diverso per gli studi associati, per i quali la ritenuta del 26% è operata a titolo di acconto, a norma dell’articolo 27, comma 4, lett. b), D.P.R. 600/1973. I redditi derivanti dagli interessi per gli studi associati costituivano un reddito da capitale certamente da non inserire nel quadro RE del modello redditi. Ora si ritiene che, il principio di omnicomprensività di tutto ciò che è incassato in relazione alla professionale diventi reddito da lavoro autonomo, comporti l’attrazione di tale provento del reddito da lavoro autonomo; quindi, gli interessi attivi per gli studi associati dovrebbero diventare un elemento da inserire nel quadro RE del modello Redditi 2025 per il periodo d’imposta 2024.  Anche per questa novità una conferma ufficiale da parte della Agenzia delle entrate sarebbe opportuna.   



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