Quale giustizia? • Libertà e Giustizia

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Decreti, provvedimenti, decisioni prese o annunciate: ogni giorno dal governo una novità. Qualcuno sospetta un redde rationem sulla Giustizia.

Il tavolo delle riforme ha tre gambe: una, quella dell’autonomia differenziata – piuttosto malferma dopo la sentenza di (parziale) illegittimità costituzionale – rischia di saltare qualora si andasse al referendum (e non è privo di significato il fatto che il Governo non si sia costituito, a difesa della sua legge, nel giudizio sull’ammissibilità: segno che non intende legare le proprie sorti alla cd legge Calderoli); l’altra (la madre di tutte le riforme: il cosiddetto premierato), al momento tenuta coperta, forse con l’intento, questa volta invece di legare – alla stregua di un’ordalia – referendum costituzionale ed elezioni politiche; la terza, quella cosiddetta della giustizia, si porta avanti: nella seduta di ieri, giovedì 16 gennaio, l’Assemblea della Camera, con 174 voti favorevoli, 92 contrari e 5 astenuti, ha infatti approvato in prima deliberazione il disegno di legge costituzionale che reca “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”.

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In realtà, sulla giustizia, questo Governo non si è risparmiato e si può ben dire che non passi giorno in cui non si abbia notizia di un nuovo ddl presentato, discusso, approvato, in un rincorrersi e affastellarsi di provvedimenti, che incidono sul diritto penale sostanziale (abrogando o limitando i reati dei colletti bianchi e introducendo nuove figure di reato, talora del tutto improbabili, per lo più miranti a reprimere il dissenso o la piccola criminalità) o su quello processuale (vedi regime delle intercettazioni) fino ad arrivare, appunto, ai piani alti della Costituzione: modificando l’art. 102 si prevedono due distinte carriere, separando la magistratura giudicante da quella requirente; si sostituiscono integralmente gli articoli 104 e 105 della Costituzione per istituire due Consigli Superiori, con i membri di ciascuno dei Consigli estratti a sorte (salvo quelli di diritto), per un terzo da un elenco di professori e avvocati con almeno 15 anni di esercizio compilato dal Parlamento in seduta comune e, per i restanti due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e tra i magistrati requirenti. Infine, la competenza sui procedimenti disciplinari, oggi esercitata dalla Sezione del Consiglio superiore della magistratura, viene attribuita a un’Alta Corte cui è attribuita in via esclusiva nei confronti dei magistrati ordinari, tanto giudicanti che requirenti, 

Qualcuno esulta, agitando lo scalpo dedicato all’eterno Presidente e se è vero che si tratta, in larga misura, di un intervento bandiera (il passaggio dall’una all’altra carriera è già oggi decisamente limitato e tutti sanno che l’attività della sezione disciplinare del CSM – per quantità di procedimenti e di sanzioni – non ha uguali in nessun settore della PA, tanto meno negli analoghi organi parlamentari) non pochi sono i rischi che questa riforma porta con sé: separare il PM dalla (cultura della) giurisdizione finisce per farne uno Javert autoreferenziale, un superpoliziotto la cui indipendenza potrebbe tuttavia essere facilmente negata per assoggettarlo al controllo dell’esecutivo. La presunta contiguità tra PM e giudici è d’altra parte un argomento che pecca per eccesso e per difetto: per eccesso, perché enfatizza le patologie, finendo per buttare, insieme all’acqua sporca, le garanzie che la Costituzione oggi offre; per difetto, perché su quell’indimostrato presupposto, bisognerebbe allora separare anche i giudici di primo grado da quelli di Appello e – ovviamente – anche da quelli della Cassazione. 

Quanto al sorteggio, come tutti sanno in voga nell’Atene delle origini e anche nella Repubblica di Venezia, non vi sarebbero – in via di principio – molte obiezioni: è un metodo di scelta, precisamente quello del giudice Bridoye che decideva le sue cause gettando i dadi: niente a che vedere con la fatica e la responsabilità del decidere.

A chi giova tutto questo? Non certo al cittadino e al sistema giustizia che avrebbero invece bisogno di riforme che incidano sui tempi del processo, sulla qualità della giustizia, sulla legittimazione professionale dei magistrati.

Qualcuno sospetta che lo scopo della riforma sia semplicemente punitivo: un redde rationem rispetto agli “attacchi” della magistratura nei confronti della politica ma, se così fosse, vale la pena richiamare l’insegnamento di Lord Bingham (Master of the Rolls, Lord Chief Justice e Senior Law Lord): «Alcuni rappresentanti della stampa, dotati del dono della sobrietà, hanno parlato di guerra aperta tra governo e potere giudiziario. Questa, secondo me, non è un’analisi precisa. Ma è vero che esiste un’inevitabile e, a mio parere, assolutamente giusta tensione tra i due. Esistono al mondo paesi in cui tutte le decisioni dei tribunali incontrano il favore del governo, ma non sono posti dove si desidererebbe vivere».



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