La voce grossa di Trump e Musk: messaggio all’Occidente

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Donald Trump ed Elon Musk sono partiti alla conquista del pianeta? Vogliono colonizzare il mondo? Qualcuno potrebbe chiederselo, dopo la conferenza stampa di Mar-a-Lago in cui Trump ha messo nel mirino un elenco di territori e Stati: canale di Panama, Groenlandia, Canada. E le ripetute ingerenze di Musk nella politica e nell’economia europea non sono rassicuranti. Ne ragioniamo con Riccardo Pennisi, analista geopolitico, vice-direttore di Aspenia e collaboratore di vari think tank, riviste del settore e università.

Allora: Trump sta solo mostrando i muscoli o dobbiamo prenderlo sul serio?
Sta mostrando i muscoli. E dobbiamo prenderlo sul serio. Trump e Musk sono ormai una coppia inscindibile, anche perché il magnate è effettivamente un membro del governo degli Stati Uniti. Sono entrambi abituati a trattare come uomini d’affari o come uomini politici da posizioni di forza. Sono abituati a sbattere i pugni sul tavolo. Una conferenza stampa di quel tipo e con quel tono serve proprio per dire al mondo: “Siamo arrivati. E certo non siamo venuti qui a scaldare la sedia, quindi preparatevi”. Ma è un messaggio rivolto più agli americani e agli europei, insomma agli occidentali, che al resto del mondo.

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Riccardo Pennisi

Perché?
Sia Trump che Musk vedono il mondo come una cupola in cui possono sedere le grandi potenze: Stati Uniti, Cina e Russia, che hanno il diritto di misurarsi l’una con l’altra. Tutti gli altri sono vari gradini più in basso. Questo tono – “vogliamo la Groenlandia, il Canada dovrebbe far parte degli Stati Uniti, vogliamo controllare il canale di Panama” – rivela un messaggio all’Occidente, soprattutto un messaggio in cui gli Stati Uniti vogliono dire: “Ok, ci stiamo pian piano ritirando dal resto del mondo, ma nella nostra sfera di influenza, l’Occidente, siamo noi a decidere”.

Ma le parole di Trump sul canale di Panama sono un messaggio alla Cina, no?
Non esattamente. Penso che siano anche quelle un messaggio alla propria sfera di influenza. Gli Stati Uniti non sono capaci di condizionare i propri alleati come un tempo. Non riescono a contenere Israele in Medio Oriente, per dire (questa intervista si è svolta prima della tregua tra Israele e Hamas, ndr). Un altro esempio: l’Arabia Saudita in questo momento si tiene le mani libere. È vero che è alleata degli Stati Uniti, ma il prezzo del petrolio mondiale lo stabilisce insieme alla Russia. Anche l’India, ormai alleata dell’Occidente, non certo della Cina, si tiene le mani libere e nei Brics mantiene una posizione di equilibrio tra Stati Uniti, Mosca e Pechino. Da questo punto di vista, gli Stati Uniti negli ultimi anni si sono resi conto di aver perso gran parte della propria influenza fuori dall’Occidente. Quindi questi messaggi – canale di Panama incluso – sono rivolti all’interno della sfera occidentale.

Eppure diversi analisti hanno paragonato l’aggressività di Trump, e la situazione geopolitica attuale di forte tensione e competizione tra gli Stati, alla transizione tra fine Ottocento e inizio Novecento, un’epoca di conflitti e spinte colonialiste. Non a caso si è parlato di neocolonialismo e, per gli Stati Uniti, di nuova dottrina Monroe…
È solo un modo per dimostrare la propria forza. In realtà gli Stati Uniti stanno attraversando da vent’anni un momento molto complesso di declino relativo a livello internazionale, anche se restano il Paese più forte del mondo. Ricordiamo le sconfitte in Iraq e in Afghanistan. Oppure la situazione in Ucraina, dove si sta preparando una pace che somiglia più a una resa. Comunque la si voglia pensare, si sta dando carta bianca a Putin per scrivere il finale della guerra con Kiev. C’è poi una situazione interna complessa, con dati sociali e demografici molto negativi: la natalità sta diminuendo, anche la salute media degli americani e la speranza di vita stanno diminuendo. È una situazione da un lato internazionale e dall’altro nazionale molto delicata, e mostrare forza serve a nascondere una debolezza di fondo.

Insomma nulla a che vedere con gli Usa arrembanti di un tempo?
No. Ai tempi della dottrina Monroe, gli Stati Uniti erano in un momento di grandissima crescita economica e industriale e potevano permettersi di ingaggiare guerre economiche con la certezza di vincerle, o comunque di ottenere risultati nel commercio internazionale e nell’espansione delle loro rotte marittime. In questo momento, invece, gli Stati Uniti sono molto forti su due pilastri: quello meno materiale di tutti, ossia il digitale, l’intelligenza artificiale e lo spazio, e quello più concreto e terreno di tutti, cioè l’energia. Ormai hanno raggiunto l’indipendenza energetica e sono esportatori di gas e petrolio.

È un risultato importante
Certo. È una grande risorsa che gli Stati Uniti non avevano fino a 10 anni fa, con la possibilità di condizionare il prezzo e fare politica internazionale attraverso la fornitura di energia. Però sono molto deboli in tutto quello che c’è in mezzo.

Cosa c’è “in mezzo”?
C’è che l’industria americana è al minimo storico. Credo che dall’Ottocento non sia mai stata in condizioni tanto negative. Anche l’agricoltura arranca. Un Paese come la Russia, con le sue forniture di cibo e la sua politica agricola, riesce a fare parecchia diplomazia in Africa e Asia, e a condizionare il prezzo degli alimenti. Questo condiziona l’inflazione e decide le campagne elettorali, non solo negli Stati Uniti, ma in tante parti del mondo. Il prezzo del grano può essere usato come leva diplomatica in molti casi. Gli Stati Uniti sono in una situazione in cui non riescono più a produrre quello di cui hanno bisogno. Hanno una bilancia commerciale al minimo storico e sono costretti a comprare quello che consumano da tutti i Paesi del mondo.

Gli Usa comprano anche dall’Italia?
Sì. Anche l’Italia ha una bilancia commerciale attiva nei confronti degli Stati Uniti, ossia gli Stati Uniti comprano dall’Italia molte più cose di quante l’Italia compri dagli Stati Uniti.

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E dalla Cina…
Da questo punto di vista, gli Usa sanno bene che non possono permettersi un vero conflitto con la Cina. Perché la potenza industriale americana è stata sostituita da quella cinese prima, e poi dal resto dell’Asia. Se una ipotetica guerra commerciale prende i contorni di un conflitto su vasta scala, gli Stati Uniti rischiano di non avere più niente, soprattutto di dover chiudere tutte le loro produzioni, perché i componenti vengono tutti dalla Cina.

Come ci si è accorti durante la pandemia…
E come ci si è accorti anche quando gli Stati Uniti non sono riusciti a offrire armi all’Ucraina, perché non riescono più a produrle.

Ma, allora, le guerre commerciali minacciate da Trump che operazione sono?
Non sono un’operazione di egemonia, ma un modo per nascondere le falle della struttura produttiva americana. Ovviamente è un compito non proprio da protagonista, per Trump, ma un po’ da “sconfitto”. È chiaro che uno dei motivi per cui lancia tutti questi fuochi d’artificio è nascondere una situazione parecchio complicata.

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MAR ARTICO MARE OCEANO ICEBERG GHIACCIO GHIACCIAI GENERATE AI IA
MAR ARTICO (Bruno Carino, IMAGOECONOMICA)

Cosa c’è dietro le dichiarazioni di Trump sulla Groenlandia?
La Groenlandia e le rotte polari possono servire come mezzo per controllare meglio l’Oceano Atlantico. Nell’Atlantico agiscono la marina Russa e le rotte commerciali cinesi, che ormai non passano solo dall’Africa e dal canale di Suez o circumnavigando l’Africa, sempre dirette in Europa, che comunque rimane il mercato più grande del mondo per le merci cinesi con 700 milioni di abitanti. I ghiacci si stanno sciogliendo, ed è sempre più facile per le rotte commerciali cinesi immaginare un passaggio a nord della Russia e scendere in Europa dal nord, verso il porto di Rotterdam.

È una conseguenza del cambiamento climatico…
Esatto. Questo passaggio consentirebbe di guadagnare tempo: una settimana, dieci giorni, due settimane. Secondo i calcoli, lo scioglimento dei ghiacci consente ai Paesi rivieraschi dell’Artico di sfruttare le terre prima ghiacciate almeno 10 mesi l’anno in maniera più intensiva dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse, soprattutto del gas. Ma c’è anche una questione di controllo

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Controllo militare?
Basi militari, ma anche stazioni di intelligence e controllo satellitare. Un tipo di influenza che gli Stati Uniti, per la propria posizione, non possono esercitare direttamente. Quindi, al di là del fatto che possano pensare di annettere la Groenlandia, essere centrali in quel tipo di posizione significa essere centrali in un quadrante decisivo per la geopolitica del XXI secolo.

Centrali in che modo?
Per bloccare l’espansionismo militare della Russia e commerciale della Cina. Basta guardare una mappa: la Groenlandia è una piattaforma strategica per condizionare anche dal punto di vista militare la Nato. È una specie di mega portaerei tra il Nord America e l’Europa. Potrebbe diventare strategicamente preziosa.

Ma la Groenlandia è europea, è danese…
E infatti per Trump minacciare di annetterla significa anche dire all’Unione Europea che non conta nulla davanti agli Stati Uniti.

Ecco. Veniamo all’Europa. Abbiamo capito che gli Usa sono più deboli. Ma l’Europa cosa deve aspettarsi dal Trump 2? Il Trump 1 ci regalò la Brexit
L’Europa, in quanto idea di cooperazione comune tra Stati, ma anche in quanto centro politico e culturale basato sul pluralismo dei poteri, è nel mirino di Trump e Musk. Quindi deve aspettarsi di essere messa sotto attacco, come effettivamente sta già succedendo. Trump e Musk non nascondono di voler rovesciare il governo laburista inglese o di sperare che vinca l’estrema destra in Germania. È ovviamente un messaggio contro l’Europa e contro il significato storico dell’Europa.

L’Europa è in grado di difendersi?
L’Europa dovrebbe essere capace di reagire, ma non mi sembra che si stia rendendo conto di cosa c’è in gioco. L’obiettivo di Trump e Musk è di metterla sotto controllo e indebolirla ancora di più. Gli Stati Uniti si stanno ritirando dal resto del mondo, non hanno più la capacità di incassare rendite imperiali. Ma possono sostituire quelle rendite obbligando l’Europa a pagare dazi per le merci esportate negli Stati Uniti, o a spendere di più militarmente. L’Europa potrebbe essere usata dagli Stati Uniti come cassaforte.

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ELON MUSK AD TESLA, DIPARTIMENTO PER L'EFFICIENZA DEL GOVERNO USA
ELON MUSK AD TESLA, DIPARTIMENTO PER L’EFFICIENZA DEL GOVERNO USA (IMAGOECONOMICA)

Qual è il ruolo di Elon Musk?
Musk è un membro del governo degli Stati Uniti. Quindi, quando parla di rovesciare il governo del Regno Unito, quando intervista i politici di estrema destra tedeschi, quando difende Giorgia Meloni, è il governo degli Stati Uniti che parla, oltre all’uomo più ricco del mondo, oltre a un uomo di fiducia di Donald Trump, oltre al capo del social media X, il più politicizzato di tutti i social media.

Gioca su molti tavoli…
Sì, ma, ripeto, è anche il governo degli Stati Uniti che sta parlando. Poi Musk ha il proprio interesse particolare, che è comunque vendere i propri servizi a un numero crescente di governi nel mondo. È il monopolista della politica spaziale. Obiettivamente, è riuscito ad accantonare il ruolo della Nasa. La politica spaziale degli Stati Uniti è praticamente fatta da Elon Musk. Un’azienda privata. Cosa ben diversa da un’azienda pubblica come la Nasa. Poi c’è un’operazione politica che va di pari passo con l’operazione culturale…

Quale operazione?
Non è che Elon Musk sostenga personaggi politici a caso. Sostiene personaggi politici che sono fedeli e, da un certo punto di vista, complementari alla sua operazione. Anche Elon Musk, nelle sue interferenze, si occupa dell’Occidente. Parla di Milei, parla di Argentina, di Italia, di Germania, di Europa, di Regno Unito. Non ha mai parlato di Putin, non ha mai parlato di Xi Jinping. Loro vanno benissimo. Da spazzare via è tutta una serie di politici che lui culturalmente identifica come di sinistra o liberali, ma che possiamo identificare con una classe politica tradizionale alla quale lui vuole sostituirsi.

XI JINPING PRESIDENTE REPUBBLICA POPOLARE CINA, VLADIMIR PUTIN PRESIDENTE RUSSIA Grigory Sysoev / Photohost agency brics-russia2024.ru
XI JINPING PRESIDENTE REPUBBLICA POPOLARE CINA, VLADIMIR PUTIN PRESIDENTE RUSSIA Grigory Sysoev / Photohost agency brics-russia2024.ru
XI JINPING PRESIDENTE REPUBBLICA POPOLARE CINA, VLADIMIR PUTIN PRESIDENTE RUSSIA (Grigory Sysoev, Photohost agency brics-russia2024)

Con quale obiettivo?
Il programma di Donald Trump (e di Musk) per gli Stati Uniti è: “Governo io e lo Stato non serve”, ossia chiuderemo i ministeri e cacceremo il 75% dei dipendenti pubblici. L’operazione è questa: distruggere lo Stato per sostituirlo con un settore privato efficiente, un po’ come sta facendo Milei in Argentina, Nel breve periodo, fare a pezzi lo Stato e venderlo porterà dei soldi. Dopodiché, non avremo più le scuole, gli ospedali pubblici o le pensioni e pagheremo caro nel medio e nel lungo periodo. Questa è la loro operazione. L’attivismo di Elon Musk serve a consentire che in altri Paesi si introduca questo modello. Soprattutto in Europa, dove c’è più resistenza. L’Europa è ancora costruita su un modello diverso, non tanto di Stato sociale, ma un modello dove lo Stato mantiene il diritto di regolare il mercato. Questo è ciò che Elon Musk non vuole più: nessuno che regoli, contenga, riequilibri e distribuisca. Questo per Musk è il male assoluto.

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E l’attivismo di Musk è inarrestabile…
Bisognerebbe studiarlo bene. Sta oscurando persino quello di Trump. Musk è capace di parlare a decine di milioni di persone ogni giorno attraverso il suo social media, e quindi di creare un’ondata di opinioni molto forti. Come abbiamo visto nel Regno Unito, quando molti dei disordini di origine razziale o anti-immigrati furono alimentati proprio da Musk. Ma alla base di tutto c’è una campagna di assalto alla sfera pubblica, sia economica che culturale. Non dimentichiamolo mai.



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