come cambiano i rapporti con il Nordafrica dopo Assad

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La principale preoccupazione dei paesi nordafricani è impedire che il vento islamista siriano possa incrinare la loro stabilità interna

L’avvento al potere di Ahmad al-Sharaa impone soprattutto a Egitto e Algeria di ricalibrare i rapporti con Damasco. Occhi puntati sulla Libia, dove Mosca accentra ora la sua proiezione nel Mediterraneo

La fine del regime di Bashar al-Assad in Siria e l’avvento al potere di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e del suo leader Ahmad al-Sharaa, impone ai paesi nordafricani la ricerca di un nuovo equilibrio nei rapporti diplomatici con Damasco.

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Sono soprattutto Egitto e Algeria a dover ricalibrare i rapporti con il paese. Mentre in Libia a tenere banco sono soprattutto le manovre di Mosca, chiamata a riposizionarsi nel Mediterraneo dopo il crollo fulmineo della dittatura assadista che insieme all’Iran e a Hezbollah aveva contribuito a tenere in piedi per anni.

Egitto

Degli uomini al potere in Nordafrica, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi è stato quello che più apertamente si era schierato a sostegno di Assad. Al-Sisi ha provato a fare perno sulla resistenza del regime di Damasco per scongiurare un eccessivo allargamento della sfera di influenza della Turchia nell’area Mena, principale sponsor dei Fratelli Musulmani che l’attuale presidente egiziano aveva scalzato dal potere in Egitto con il golpe del luglio 2013.

Tre indizi sono andati in questa direzione negli ultimi anni: la presenza in Siria, segnalata nel 2016, di un centinaio di consiglieri militari egiziani a supporto dell’esercito regolare siriano; un incontro tra i ministri degli Esteri dei due paesi nell’aprile del 2023 per stabilizzare le relazioni diplomatiche; l’incontro a Riad tra al-Sisi e Assad nel novembre dello stesso anno.

L’8 dicembre scorso, con la caduta di Assad, sull’asse Il Cairo-Damasco è però calato improvvisamente il silenzio. Il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty ha atteso tre settimane prima di sentire il suo nuovo omologo siriano Asaad al-Shaibani.

Il 4 gennaio l’Egitto ha fatto atterrare all’aeroporto di Damasco un aereo con a bordo aiuti umanitari, a dimostrazione dell’intenzione di voler interloquire con il nuovo governo islamista. Ma in Egitto il tonfo di Assad ha continuato a echeggiare.

Nell’ultimo mese, secondo l’organizzazione per i diritti umani Egyptian Initiative for Personal Rights, trenta cittadini siriani sono stati arrestati in Egitto per aver inneggiato alla caduta del dittatore siriano. Le autorità egiziane hanno inoltre bloccato la concessione di visti per i siriani, compresi quelli residenti in paesi europei, negli Stati Uniti e in Canada.

Per l’Egitto si pone d’altronde una questione di sicurezza interna non irrilevante, considerato che sono circa 1,5 milioni i rifugiati siriani registrati nel paese dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni.

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A far aumentare la tensione sono poi stati altri due episodi. Pochi giorni dopo il suo ingresso a Damasco, Ahmad al-Sharaa è stato immortalato in una foto accanto a Mahmoud Fathi, membro della Fratellanza Musulmana condannato a morte in contumacia per l’assassinio dell’ex procuratore pubblico egiziano Hisham Barakat.

Mentre il 28 dicembre in Libano è stato arrestato il poeta turco-egiziano Abdul Rahman al-Qaradawi, ricercato dalle autorità dell’Egitto e degli Emirati Arabi Uniti e contro la cui estradizione si è subito esposta Amnesty International.

L’uomo era di ritorno da Damasco dove, stando a quanto riferisce la ong, aveva girato un video nella moschea degli Omayyadi in cui criticava le autorità saudite, egiziane ed emiratine.

Nonostante i timori che quanto sia avvenuto in Siria possa intaccare i suoi equilibri interni, l’Egitto sa di non poter evitare un confronto con il governo di Ahmad al-Sharaa, soprattutto a fronte della rapidità con cui le nazioni del Golfo, così come la Giordania, hanno avviato i rapporti con la nuova amministrazione in Siria.

Il fatto che un partner irrinunciabile per Il Cairo come Riad abbia subito aperto al dialogo con HTS impone ad al-Sisi la scelta del pragmatismo. In palio c’è la ricostruzione della Siria, con almeno 300 miliardi di dollari di investimenti da parte della comunità internazionale su cui l’Egitto vorrà dire la propria.

Se poi HTS dovesse essere depennata dagli Stati Uniti dalla lista delle organizzazioni terroristiche, e al nuovo governo dovesse essere concesso un congelamento delle sanzioni, avere a che fare con l’esecutivo islamista sarebbe l’unica opzione sul tavolo anche per Il Cairo.

Un test che si presenterà già nel breve termine, dirà se per l’Egitto questa strada è perseguibile senza particolari traumi.

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Il Cairo intimerà ad HTS di non dare rifugio ai dissidenti egiziani e chiederà l’estradizione di quelli che già si trovano in Siria e che sono stati condannati in contumacia. Dalle risposte del governo islamista si capirà che piega assumeranno i rapporti tra l’Egitto e la Siria del dopo Assad.

Algeria, Tunisia e Marocco

Anche l’Algeria, seppur in modo meno evidente rispetto all’Egitto, ha tentato negli ultimi anni di agevolare il reintegro nella comunità internazionale della Siria di Assad.

Il governo algerino ha insistito in particolar modo nell’aprile del 2023 chiedendo agli Stati del Golfo il rientro del paese nella Lega Araba dopo dodici anni di esclusione, cosa che poi è di fatto avvenuta.

Anche se più che un vero e proprio asse tra Algeri e Damasco, negli ultimi anni a tenere collegati i due paesi sono stati soprattutto i rapporti solidi con Mosca e il rifiuto comune di normalizzare le relazioni con Israele.

Nel segno della rottura sono invece stati i rapporti tra la Siria e la Tunisia del post primavere arabe. Nel 2015 sono state chiuse le rispettive rappresentanze diplomatiche nei due paesi, con la Tunisia che ha aperto all’ingresso di un numero sempre maggiore di rifugiati siriani.

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Una graduale normalizzazione dei rapporti è avvenuta con il presidente Kais Saied che nel maggio 2023 ha stretto la mano ad Assad in un vertice dei capi di Stato dei paesi arabi a Gedda.

Per ciò che concerne il Marocco, al netto delle uscite a sostegno dei ribelli siriani da parte di esponenti del governo marocchino – tra cui quelle dell’ex primo ministro Saad Eddine El Othmani – e del tradizionale sostegno di Damasco dell’autodeterminazione del popolo saharawi, i rapporti tra i due paesi sono sempre stati condotti in sordina.

In generale, così come per l’Egitto anche per questi tre paesi la preoccupazione principale da quando Assad è caduto è impedire che il vento islamista che a inizio dicembre scorso ha spazzato via in pochi giorni oltre vent’anni di governo assadista, possa incrinare anche la loro stabilità interna.

Altro elemento da non sottovalutare è il possibile ritorno dei foreign fighters andati a combattere in Siria dal 2011 al soldo dei gruppi jihadisti contro il regime di Damasco.

Libia

In Libia i riflettori sono puntati sul modo in cui la Russia sta già accentrando in Cirenaica, dove sostiene il generale Khalifa Haftar, la sua proiezione nel Mediterraneo.

Gli avamposti militari che Mosca si è guadagnata negli ultimi anni in Siria difendendo il regime di Assad – una base navale nel porto di Tartus, una base aerea a Khmeimim nel nord del paese vicino alla città portuale Latakia e una base per elicotteri a Qamishli nella parte nord-est – non sembrano essere messi in discussione dal nuovo governo siriano, almeno per il momento.

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Il Cremlino però non può permettersi contraccolpi nel Mediterraneo e nei vari teatri che lo vedono impegnato in Africa – in Mali, Niger, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana e Sudan – motivo per cui già mesi prima della caduta di Assad avevo spostato nuove pedine proprio in Libia.

Tra febbraio e aprile 2024 attrezzature militari erano state fatte arrivare al porto di Tobruk. Poi, con la caduta di Assad, si è registrata un’accelerazione, confermata il 18 dicembre dal Wall Street Journal che ha scritto del trasferimento di radar e sistemi di difesa russi dalla Siria alla Libia, tra cui batterie antiaeree S-300 e S-400.

Altri siti hanno confermato il transito di aerei cargo dell’aeronautica militare russa dalla base siriana di Khmeimim a quella libica di al-Khadim vicino a Bengasi nell’ultima settimana di dicembre. Armi e militari sarebbero arrivati in Libia anche dalla Bielorussia. Ottenuti gli sbocchi ai “mari caldi” tanto agognati dai tempi dell’impero zarista, Mosca non ha ora alcuna intenzione di lasciarseli sottrarre.





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