‘Sentenza shock’, senza nemmeno leggerla

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L’anomalia della cronaca giudiziaria e del processo mediatico (a proposito della sentenza della Corte di Assise di Modena che per un doppio femminicidio non ha comminato l’ergastolo). Pubblichiamo il documento dell’Osservatorio Informazione Giudiziaria, media e processo penale 

L’art. 575 cod.pen., che punisce l’omicidio volontario con la reclusione non inferiore ad anni 21, vorrebbe essere cambiato dal diritto vivente con la obbligatoria condanna alla pena dell’ergastolo. Condannare a 30 anni di reclusione (un gradino sotto il massimo della pena), agli occhi dell’opinione pubblica, diventa uno scandalo e i giudici che osano fare un bilanciamento di circostanze riconoscendo un’attenuante al “mostro” di turno finiscono sul banco degli imputati. “Sentenza shock” è la nuova definizione metagiuridica del mancato ergastolo e del riconoscimento di un’attenuante; “shockante” è stata quindi definita la recentissima motivazione della Corte di assise di Modena per una frase in cui la sentenza motiva il bilanciamento delle circostanze, dicendo che un fattore che ha indotto l’imputato a commettere l’omicidio dopo una vita normale è stato il contesto familiare altamente conflittuale che è stato costretto a subire.

Eppure, la Corte ha fatto solo il suo dovere, ha valutato il contesto in cui è maturato il gesto gravissimo dell’imputato – una prolungata ed esasperante conflittualità familiare – e ha ritenuto di riconoscerlo come elemento valido per il bilanciamento fra le aggravanti contestate e le circostanze attenuanti generiche.

In che modo? Lo stato angoscioso nel quale l’imputato sarebbe stato costretto a vivere per anni è stato minuziosamente ricostruito in una sentenza di ben 213 pagine di motivazione, che però nessuno dei commentatori della prima ora si è premurato di riportare nella cronaca dei fatti, ognuno limitandosi a pescare questa o quella espressione che poteva suscitare scandalo, estrapolandola da un ben più articolato contesto.

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Non possiamo allora non domandarci a quale funzione di trasparenza e di pubblicità della notizia risponda nella sostanza una informazione giudiziaria così parziale, incompleta e selettiva. Certamente nessuna funzione riconducibile al principio sancito dall’art.21 della Cost. sulla libertà di stampa, la quale, per risultare libera, deve essere quantomeno completa e fedele ai fatti emersi nel processo.

La Corte può avere sbagliato – certo – nel riconoscere all’imputato le circostanze attenuanti generiche, ma è ancora più scorretto, di fronte al diritto dei cittadini di conoscere la verità emersa dal processo, estrapolarne solo un frammento per attribuire all’intera sentenza il significato di “giustificare” un duplice femminicidio.

Esprimiamo inoltre un secondo punto critico con questa domanda: come potrà la Corte di assise d’appello (composta in maggioranza da giudici popolari) restare immune dal condizionamento esterno dell’opinione pubblica che ha reclamato oggi a gran voce l’ergastolo senza attenuanti per l’imputato?

La Corte dovrà attentamente rivalutare il valore da attribuire al contesto in cui sono maturati i delitti e potrà anche giungere alla conclusione che questo fattore non merita lo sconto di pena dall’ergastolo a 30 anni, ma dovrà farlo senza che gli inevitabili condizionamenti esterni possano influire in maniera decisiva sulla scelta finale.

Questo sarà tuttavia molto difficile perché il martello del processo mediatico ritornerà a battere il chiodo al momento opportuno e in modo pressante. Lo farà (lo sta già facendo) con un ricatto morale fortissimo e scorretto: se questa volta non punirete con il massimo della pena e senza concedere attenuanti un femminicidio, vuol dire che in fondo lo giustificate, come hanno fatto i giudici di primo grado.

Ma è la legge e non il giudice che prevede che la pena possa variare da 21 anni di reclusione all’ergastolo proprio sulla base del bilanciamento delle circostanze.

A fondamento di questa regola c’è un principio di civiltà giuridica per il quale non smetteremo mai di batterci: la pena deve essere “proporzionata”, non esemplare né vendicativa.

Da ultimo, la nostra preoccupazione è che, soprattutto negli ultimi anni, l’opinione pubblica voglia condizionare il processo a seconda che interessi questo e quel fenomeno criminale alla ribalta, fino a trasformarlo da luogo istituzionale di accertamento dei fatti a mero simulacro di una verità già scritta in nome della crociata contro il nemico.

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Ed è un paradosso constatare da parte nostra che, proprio nei giorni in cui in Parlamento si discute della separazione delle carriere tra magistrati per raggiungere finalmente la terzietà del giudice, lo stesso giudice venga sempre più spesso condizionato nella sua indipendenza da una forza esterna che ha la pretesa di farsi portavoce della collettività.

Roma, 15 gennaio 2024

L’Osservatorio Informazione Giudiziaria, Media e Processo Penale 



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