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Quando si parla dell’evoluzione degli sport di montagna e, più in generale, delle discipline outdoor, l’attenzione si focalizza spesso su innovazioni tecnologiche, nuovi materiali e una sensibilità sempre maggiore verso la sostenibilità ambientale.
Meno esplorata è invece l’evoluzione tecnica e spettacolare che stanno vivendo alcune discipline, un cambiamento profondo che le sta rendendo sempre più popolari e accessibili a un pubblico in continua crescita.
Il mondo degli sport invernali è diviso in due… Da un lato, troviamo discipline che sfruttano la Natura come fonte di ispirazione e creatività, come lo sci freestyle e il freeride, ai quali si aggiungono discipline sempre più di tendenza come lo snowkite. Dall’altro, si confermano amatissimi sport che vedono nella montagna una sfida da affrontare, come lo scialpinismo, con gli sci o la split board, in cui la fatica diventa parte integrante del successo e dell’esperienza.
Queste due filosofie, che potrebbero sembrare opposte, incarnano invece le anime complementari degli sport invernali di oggi e indicano la direzione futura: un connubio di libertà, tecnica e un profondo legame con la montagna. Ne abbiamo parlato con un grande campione che ha fatto della disciplina freestyle la sua filosofia di vita, anche oltre lo sport.
La creatività del freestyle, intervista a Markus Eder
Markus Eder, sciatore freestyle altoatesino, sta riscrivendo i confini della sua disciplina nei luoghi dove la montagna esprime la sua natura più pura e selvaggia. “Per me la montagna, e lo sci in particolare, non si può ridurre a una sola disciplina. La pista, le rotte non traccia-te, la risalita dei pendii con la propria forza, la creatività dello snow park: tutto questo rappresenta il mio modo di vivere la montagna. Se dovessi usare una sola parola, direi “freestyle”, inteso come la voglia di esprimere la propria personalità nei modi più diversi”.
Non servirebbe aggiungere molto altro alle prime parole di Markus Eder, rappresentante di un nuovo concetto di sci “libero”, che portale evoluzioni nate negli snow park lì dove la montagna invernale esprime la sua natura più autentica: la neve fresca. Un’espressione della montagna che Markus, insieme ad alcuni dei migliori atleti della disciplina, sta facendo scoprire al grande pubblico con progetti che hanno ispirato documentari come The Ultimate Run – pluripremiato, con oltre 17 milioni di visualizzazioni su YouTube – e il più recente Circle of Madness, dove ha sposato il progetto del celebre snowboarder francese Victor de Le Rue per affrontare una delle sfide più alte del mondo freeride: l’Alaska. Ecco cosa ci ha raccontato…
Come ti approcci a questa nuova visione dello sci freestyle?
“È la mia visione del freestyle che parte dalle discese sui ghiacciai e arriva fino agli skatepark cittadini. Si tratta di un modo di esprimere se stessi che trova nella montagna un luogo dove dare libero sfogo alla creatività di un gesto.E credo sia questo anche il segreto del successo dei documentari che raccontano ciò che facciamo, che ormai sono parte integrante del nostro mondo e della crescente popolarità delle gare di questa disciplina. Anche la mia passione è nata dai film che guardavo da giovane lasciandomi ispirare dalle acrobazie e dai luoghi straordinari”.
Come sta cambiando lo sci freestyle?
“L’evoluzione della disciplina è incredibile e i nuovi trick che gli atleti stanno inventando raggiungono livelli sempre più impressionanti. Le acrobazie diventano ogni anno più tecniche e ambiziose. Se penso agli X-Games (la competizione più importante nel freestyle) di 15 anni fa, alcune evoluzioni sembravano il limite massimo. Oggi abbiamo superato di gran lunga ciò che si pensava possibile allora, e l’asticella si alza a ogni competizione. Un progresso che ha diverse radici: dalla preparazione fisica sempre più avanzata, ai materiali più performanti e leggeri, fino a una sempre più forte contaminazione creativa tra gli atleti”.
Qual è il passaggio che permette di portare queste evoluzioni nella neve fresca?
“Anche io sono cresciuto nello snow park, e quando ho deciso di dedicarmi al freeride ho sentito fosse il momento di portare ciò che avevo imparato in park nella neve fresca. La mia prima spinta è stata cercare qualcosa di nuovo, perché la vera motivazione nel nostro sport è affacciarsi all’inesplorato e mettersi alla prova. Nella neve fresca è tutto più difficile, poiché ci sono meno punti di riferimento. Qui entra in gioco la tecnica, l’allenamento continuo, ma serve anche un’esperienza quasi istintiva dell’ambiente montano. Conoscere le distanze, i propri limiti e capire le pendenze sono aspetti fondamentali per affrontare la neve fresca”.
In cosa consiste la tua preparazione?
“Rispetto agli altri è un po’ particolare. Dopo i primi anni nello sci alpino, passando al freestyle ho scelto di non avere un allenatore che mi imponesse programmi specifici. Credo che il nostro sport, per natura, tenda a rompere gli schemi tradizionali e a stimolare la creatività. Mi alleno quindi attraverso altre mie passioni: l’arrampicata, che
mi aiuta con forza, tensione muscolare e coordinazione; lo skateboard, essenziale per equilibrio e coordinazione; la bici e le escursioni in montagna, per la resistenza. Durante l’estate, aggiungo allenamenti specifici sui tappeti elastici e con gli airbag. Naturalmente, quando devo recuperare da un infortunio, mi affido a professionisti che mi guidino nel modo giusto”.
Con The Ultimate Run hai svelato l’essenza del freestyle a un pubblico molto più ampio. Cosa piace di questo sport?
“Per quanto mi riguarda, il freestyle ha trasformato in realtà i miei sogni. È stata la mia scuola, una scuola che mi ha permesso di conoscere il mondo e di incontrare tante persone diverse, e questo lo rende incredibilmente affascinante. Si tratta della realizzazione di qualcosa che ho sempre avuto in testa. Le emozioni che provo in aria durante un’evoluzione sono così istintive che è difficile raccontarle o trasmetterle”.
Circle of Madness è il tuo ultimo progetto. Di cosa tratta e cosa ti ha portato a realizzarlo?
“Nasce dal mio rapporto con Victor deLe Rue, un atleta che mi ha sempre ispirato, anche prima di conoscerlo. Nel 2019 abbiamo partecipato insieme al Freeride World Tour, sostenendoci a vicenda, tanto che siamo riusciti a vincere entrambi. Da lì è nato il desiderio di fare qualcosa insieme e quando Victor mi ha parlato del progetto dell’Alaska, un luogo che rappresenta il massimo traguardo a cui ambire nel freeride, è stato un richiamo naturale. Ma ci tengo a sottolineare che non si è trattata di un’impresa nata per superare dei limiti, piuttosto di una sfida sportiva di due atleti di alto livello pronti ad affrontare un luogo difficile come il territorio nord americano spinti dalla forte volontà di diventare un punto di riferimento per gli sciatori e gli snowboarder. Tutto, dalla crew per le riprese agli spostamenti, fino alla scelta dei momenti in cui uscire in neve fresca, è stato studiato per permetterci di esprimere al meglio la nostra creatività».
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