Bari: Deserti – Mostra Arte contemporanea, Fotografia, Video art in Puglia

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Muratcentoventidue Artecontemporanea riprende il suo percorso espositivo con “Deserti“, una mostra collettiva che vede la partecipazione di sei artiste di varia nazionalità che hanno scelto di ambientare le loro opere nei deserti del nostro pianeta. Il deserto non è un elemento soltanto naturale, è, al contempo, un luogo diverso che ha da sempre esercitato un grande fascino.

La profondità metafisica di uno spazio fuori dal tempo, irriducibile alla misura dell’uomo, minimale e muto, percorso unicamente dall’inarrestabile fluire del vento ha ispirato opere d’arte e architetture straordinarie. Surreali e spesso avvolti in un certo misticismo, questi paesaggi inospitali ma magnetici hanno da tempo fornito agli artisti lo spazio e il luogo per le loro opere.

In mostra le fotografie e le opere video di Shirin Abedinirad, Elisabetta Di Sopra, Julia Charlotte Richter, Eleonora Roaro, Raeda Saadeh, Sira-Zoé Schmid.

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Shirin Abedinirad è un’artista iraniana il cui lavoro esplora le nozioni di identità, di unione con la natura e l’essenza sconfinata dell’essere attraverso vari mezzi, tra cui video, performance, land art e installazioni.

Nata a Tabriz, in Iran, nel 1986, Shirin ha iniziato il suo percorso artistico con la pittura prima di laurearsi in graphic design e moda. Mentre ricercava contaminazioni tra moda e arte concettuale, è rimasta affascinata dalla performance e ha iniziato a mettere in scena interventi pubblici che affrontavano questioni di genere e sessualità con uno sguardo partecipe al dramma sociale in Iran. leggi il resto dell’articolo»

La pratica di Shirin ha subito una svolta dopo un’esperienza nel deserto nel 2013 che l’ha portata a creare opere di Land Art e installazioni che evocano il mondo naturale. Utilizzando una disposizione minimalista di materiali elementari come l’acqua, gli specchi e la luce, l’artista crea spazi liminari che fungono da portali per superare la separazione tra uomo e Natura. Attualmente Shirin divide il suo tempo tra gli Stati Uniti e progetti all’estero, continuando la sua esplorazione concettuale dell’essenza dell’individuo e della relazione con la natura attraverso vari linguaggi creativi.

L’artista propone il video “Gliss” in cui affronta uno tra i più grandi problemi dell’abitare nel deserto: la mancanza di acqua; a prima vista lo specchio circolare, parzialmente coperto nell’oro della sabbia, sembra un piccolo stagno. Solo in un secondo momento realizziamo che il cielo azzurro si riflette sul terreno. Alterando la nostra percezione della natura e offrendoci una visione falsata l’artista sfida la mente umana e gli elementi naturali. Conosciuta a livello nazionale e internazionale Elisabetta Di Sopra vive e lavora a Venezia. Laureata all’Accademia di Belle Arti di Venezia, la sua ricerca artistica si snoda tra opere video, installazioni e grafica affrontando temi legati alla sfera affettiva, alle relazioni familiari e alle pratiche della cura con un’attenzione particolare alla dimensione del dolore e della fragilità che caratterizzano la nostra condizione esistenziale. Focalizzandosi sull’impiego del video per fronteggiare tematiche connesse alla condizione femminile e al ruolo della donna nella società contemporanea, utilizza una narrazione contraddistinta da azioni semplici ed incisive che mettono in luce le dinamiche psicologiche sottese alla vita quotidiana, alle relazioni familiari, al corpo femminile e ai ruoli sociali. Il corpo, che parla attraverso gesti minimali, è alla base del suo lavoro, diventando metafora del nostro essere al mondo. Numerose sono le sue partecipazioni a mostre personali e collettive sia in Italia che all’estero.

In Senza tracce (2023) – l’ultimo video ,prodotto e realizzato durante un viaggio nel deserto di Wadi Rum – l’artista, dopo aver camminato sulle dune, ha avvertito l’esigenza di cancellare le impronte lasciate in quel luogo: una scelta in netto contrasto con la spasmodica sovraesposizione che contraddistingue il nostro tempo, dove ciò che conta è lasciare un segno in questo mondo.

Raeda Saadeh è nata in Palestina a Umm al-Fahm nel 1977 e ha studiato alla Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme, dove oggi vive e lavora. Fotografa di fama internazionale, le sue opere vengono esposte in tutto il mondo. I suoi mezzi di espressione sono oltre alla fotografia, l’installazione, il video e le performance. Il lavoro di Saadeh usa il corpo come strumento per esplorare identità, genere e spazio, nonché la relazione tra luogo e il sé. Le sue performance, i suoi video e le sue opere fotografiche sono incentrate sui confini come fenomeno culturale, topografico e fisico. Nel suo lavoro, l’artista assume spesso diverse personalità, che possono essere interpretate come dichiarazioni femministe radicali e come commenti concettuali su questioni sociali e religiose. Nella sua messa in scena di figure mitiche e personaggi delle fiabe, Raeda Saadeh decontestualizza i paesaggi idealizzati di Israele, esplorando la situazione reale delle aree occupate e l’attraversamento di confini sociali e soprattutto di genere, standardizzati. Ricorrente nel suo lavoro è una donna che vive sotto occupazione, sia fisica che psicologica come nella performance video a due canali Vacuum che mostra l’artista che passa l’aspirapolvere sulle colline aride della Palestina. Questo atto assurdo ma semplice non solo getta un’ombra critica sui ruoli di genere, ma sposta anche l’atto di passare l’aspirapolvere e pulire, che è tradizionalmente attribuito alle donne, dalla sfera privata a uno spazio politicamente carico. L’atto di aspirare il deserto è un compito impossibile e impraticabile, che simboleggia gli sforzi quotidiani dei palestinesi che affrontano le sfide, con un cambiamento reale che sembra fuori portata. Questo ricorda il mito di Sisifo, che spinge un masso in cima a una collina per poi farlo rotolare giù. L’opera ritrae la determinazione a portare a termine i compiti nonostante la loro assurdità, incarnando lo spirito di resilienza e perseveranza che i palestinesi mantengono nonostante le continue difficoltà.

Julia Charlotte Richter (1982, Gießen, De) è una videoartista. Ha studiato Belle Arti a Kassel (De), Portsmouth (UK) e Braunschweig (De). I suoi film parlano sempre di persone. Esplora il significato del presente in diverse fasi di età e consapevolezza, mostrando come i livelli – l’esistenza, il comportamento, i desideri e le ambizioni – si mescolano. Mostra come i giovani rifiutino l’età adulta perché percepiscono il mondo degli adulti come una minaccia. Al contrario, i ricordi penetrano nella vita quotidiana satura o iperattiva di quest’ultimi: il ricordo di ciò che si era una volta, di ciò che si credeva o si crede di essere sulla scala del successo.

Point Blank” cita una scena del film “The Misfits” (1961) che è ora riproposta e ulteriormente contestualizzata. Nella scena originale, la protagonista Roslyn (Marilyn Monroe), da poco divorziata, si ribella a tre cowboy esausti e, nel mezzo del deserto, affronta gli uomini con tutti i loro limiti e i loro sogni perduti. In “Point Blank”, vediamo una giovane donna che vaga in paesaggi desertici surreali, un viaggio nella lontananza del mondo e nella propria vita interiore. A ogni passo nel deserto, la ragazza scende nelle proprie profondità alla ricerca di un luogo che sembri adatto alle sue emozioni e alle sue parole. A differenza di Roslyn, la giovane donna ora si rivolge a interlocutori assenti: “Bugiardi”, “Assassini” e “Uomini morti”, urla e si gira furiosamente. Le parole, che si diffondono come proiettili nell’aria, ricadono su di lei. A parte una debole eco, non c’è risonanza in questo luogo che raffigura le ossessioni di una società distorta e patriarcale ed è diventato uno sfondo drammatico che riflette le ansie della nostra società all’interno della storia collettiva del cinema. Laddove Roslyn è stata in grado di suscitare uno stupore terrorizzato nei tre uomini, il personaggio nel video rimane solitario e inascoltato, il deserto come unico testimone del suo manifesto, della sua rabbia e della sua forza.

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Eleonora Roaro (Varese, 1989) è un’artista visiva e ricercatrice con sede a Milano. Ha studiato Fotografia (BA – IED, Milano), Arti Visive e Studi Curatoriali (MA – NABA, Milano) e Contemporary Art Practice (MA – Plymouth University, Plymouth).

La sua pratica artistica riguarda le immagini in movimento, con un particolare focus sulla storia e l’archeologia del cinema e gli archivi. Utilizzando media come video, fotografia, performance, intelligenza artificiale e realtà virtuale, rivisita e rimedia vecchi dispositivi e iconografie per comprendere l’influenza che le tecnologie e le immagini hanno sulla nostra percezione e l’ immaginario culturale; pertanto, il display e la durata – in particolare il concetto di loop – sono elementi chiave della sua pratica. La sua ricerca attuale, basata su archivi e fonti orali, indaga il rapporto tra architettura, spettatorialità e spazio urbano riguardo alle sale cinematografiche del Novecento.

La Spiral Jetty (1970) di Robert Smithson, uno dei lavori più emblematici della Land Art, si trova nella penisola Rozel Point nel lato nord-est del Great Salt Lake nello Utah. Questo luogo, caratterizzato da sfumature rosate, contiene depositi di petrolio che si è cercato di estrarre per decenni, invano.

L’installazione è rimasta sott’acqua per trent’anni, finché nel 2002, la siccità l’ha resa nuovamente visibile. Nella video-performance “Vanishing Point” la camera è posizionata accanto all’ultima pietra della Spiral Jetty. L’artista Eleonora Roaro, da quel punto, cammina verso il lago finché non scompare sott’acqua, così come è stato per trent’anni per la Spiral Jetty. La distanza percorsa è una forma antropometrica di misurazione che rivela il processo di desertificazione, cambiamento climatico ed entropia attualmente in corso. Il titolo si riferisce a un capitolo di “America”, scritto da Jean Baudrillard nel 1986, dedicato ai deserti americani, tra cui descrive anche Salt Lake City e il Great Salt Lake. “Il dispiegarsi del deserto è infinitamente vicino all’eternità della pellicola”, afferma nel descrivere l’atmosfera astratta e irreale di questi luoghi solitari e vuoti.

Sira-Zoé Schmid è un’artista austriaca che ha sviluppato la sua ricerca dedicandosi prevalentemente alla fotografia, al testo, l’installazione e la performance. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Vienna nella classe “Belle Arti e Fotografia” con Matthias Herrmann e Martin Guttmann, laureandosi nel 2013. Vive e lavora a Vienna e Salisburgo.

Ha ottenuto numerose borse di studio, partecipato a progetti di residenza ed il suo lavoro è stato esposto in diverse istituzioni e gallerie internazionali. Sviluppando la sua ricerca nel campo della fotografia in senso ampio, Sira-Zoé Schmid inizia un percorso che ne esplora le molteplici potenzialità. L’analisi di tutti i media e delle questioni socioculturali che ci circondano si riflettono nel suo lavoro. I deserti sono stati gli ambienti inospitali in continua evoluzione delle sue performance video.

Nel 2017 Schmid ha iniziato la sua serie di performance video “Desert Flower” nel deserto americano del Mojave. Una donna, l’artista, che indossa un abito scuro e un piccolo parasole blu e volta le spalle allo spettatore, percorre un sentiero solitario nel deserto fino a scomparire all’orizzonte.

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Durante la residenza artistica a Lanzarote e Gran Canaria del 2022, Schmid ha proseguito la sua serie di performance Desert Flower con una seconda parte. In ” Desert Flower I ” il primo video della serie, che propone in questa mostra, con un linguaggio visivo chiaro e poetico, ci mostra una donna in un paesaggio surreale di austera bellezza, uno spazio ideale in cui compiere un percorso introspettivo nel proprio mondo interiore.





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