Crisi Lafert, chiude uno stabilimento: «Non vediamo ripresa quest’anno»

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di
Gianni Favero

Dopo mesi di Cig, c’è lo stop in Romagna: non toccati i siti veneti. Fatturato 2024 giù del 25%

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Il gruppo dei motori elettrici Lafert chiude lo stabilimento di Fusignano (Ravenna), trasferisce la produzione al quartier generale di San Donà di Piave (Venezia) e calcola di chiudere i conti del 2024 con ricavi giù del 25%, poco sopra i 170 milioni contro i 225 registrati nel 2023. Dopo l’incontro di lunedì con i sindacati, a breve partirà il confronto per individuare la miglior soluzione per i 60 dipendenti dello stabilimento romagnolo, da un paio d’anni toccati dalla cassa integrazione. Mentre è per ora certo che non vi saranno interventi sullo stabilimento di Bologna e, rispetto al Veneto, sui 750 lavoratori di San Donà e della vicina Noventa di Piave.

I sei siti

Lafert opera con sei siti produttivi e commerciali. Oltre ai quattro in Italia vi sono quelli in Slovenia e Cina, con sei filiali commerciali in Europa, Nord America e Asia. La cessazione dello stabilimento di Fusignano è prevista, al momento, per il prossimo 31 marzo. Ai dipendenti il manager assicura «la piena disponibilità del gruppo a dialogare con le parti sociali per favorire la rioccupazione del personale in altre aziende della zona, con tutti gli strumenti a disposizione».




















































«Mai ipotizzato di chiudere»

La scelta arriva dopo una lunga e dura crisi, che ha toccato duramente anche un’azienda di alto livello come Lafert. E che mostra il passaggio difficile che sta attraversando parte della manifattura, ad iniziare dalla meccanica. «La decisione – spiega Cesare Savini, amministratore delegato di Lafert, società passata nel 2018 ai giapponesi di Sumitomo – va nella direzione di saturare la capacità produttiva di San Donà, toccata da un calo di volumi che registriamo ormai da un anno e mezzo. Il fenomeno è determinato da una flessione di ordini, in particolare per i motori elettrici per applicazioni industriali, per cui non prevediamo una ripresa nel corso del 2025». Oggi anche in Veneto sono applicate misure di cassa ordinaria. «Nel 2024 siamo partiti con un solo giorno a settimana – spiega Loris Gaiotto, di Fiom Cgil Venezia – e a novembre e dicembre a San Donà siamo arrivati anche a tre giorni, mentre a Noventa ad un giorno e mezzo. In più sono stati azzerati tutti i lavoratori somministrati, cosa mai accaduta neanche nella crisi del 2008. E nemmeno in Cina, neanche nei momenti peggiori, si è mai ipotizzato di chiudere».

Occhio verso l’economia americana

C’è un punto di domanda anche sulle lavorazioni che si annunciano in arrivo da Fusignano, cioè motori asincroni monofase e trifase la cui bassa personalizzazione li espone di per sé ad una forte concorrenza. La loro attribuzione alle linee veneziane, in teoria, dovrebbe quantomeno condurre ad un’attenuazione dell’ammortizzatore sociale. Ciò che è ragionevolmente possibile attendersi dai prossimi mesi, si può comprendere, non è un percorso facile. «Per il 60% della nostra produzione – riprende Savini – ci rivolgiamo ai mercati di lingua tedesca e all’Italia, aree in forte sofferenza da un anno e mezzo. La Germania tecnicamente è in recessione, l’Italia non brilla e le turbolenze politiche in Francia non aiutano. Riteniamo sia l’economia americana quella che ha più possibilità di far da traino nel 2025; ma occorre capire gli effetti degli eventuali dazi annunciati da Donald Trump. Difficilmente potrà assumere decisioni tanto incisive verso mezzo mondo. Possiamo immaginare lo farà rispetto alla Cina, ma che verso l’Europa sarà più cauto».

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