Accesso agli atti dopo risoluzione appalto 

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L’operatore estromesso dall’esecuzione del contratto di appalto per intervenuta risoluzione dello stesso e che ne contesti la legittimità ha diritto ad accedere alle dichiarazioni di insussistenza di conflitti di interesse rese dal RUP, dai membri della commissione giudicatrice e dall’impresa aggiudicataria nell’ambito della successiva procedura avviata per l’individuazione del nuovo contraente, ma non anche agli atti di tale procedura

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 10 gennaio 2015, n. 49

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Indice

Il fatto

La controversia oggetto della pronuncia in esame trae origine dall’intervenuta risoluzione per grave inadempimento ex art. 108, d.lgs. n. 50/2016 (applicabileratione temporis) di un contratto d’appalto di lavori e dalla successiva procedura negoziata indetta dall’Amministrazione per l’individuazione del nuovo contraente.

Nello specifico, l’operatore economico originario aggiudicatario contestava avanti al giudice ordinario l’intervenuta risoluzione contrattuale e, con istanza di accesso presentata alla Stazione appaltante, chiedeva ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241/1990 l’ostensione degli atti della nuova procedura al dichiarato fine di svolgere nel suindicato giudizio civile “una compiuta difesa su tutti gli aspetti controversi”.

Segnatamente, venivano richieste la visione e l’estrazione di copia della seguente documentazione: 

a) provvedimento di aggiudicazione disposto a seguito della nuova procedura negoziata;
b) documentazione amministrativa, tecnica ed economica presentata dall’aggiudicataria;
c) controlli effettuati sull’aggiudicataria;
d) richieste di proroghe effettuate da quest’ultima;
e)dichiarazioni di insussistenza di conflitti di interessi rese dal RUP, dai componenti della commissione giudicatrice, nonché dalla impresa affidataria dei lavori;
f) copia del contratto di appalto, ove stipulato.

Nel riscontrare l’istanza ostensiva, l’Amministrazione riteneva di poterla accogliere limitatamente al solo provvedimento indicato sub a), con cui era stato disposto l’affidamento dei lavori alla nuova ditta aggiudicataria, a seguito della risoluzione del primo contratto.

Tale provvedimento di diniego veniva impugnato davanti al TAR dall’operatore istante.

Il ricorrente evidenziava, in particolare, il proprio interesse ad acquisire la documentazione oggetto della domanda di accesso perché funzionale alla sua difesa nel giudizio attivato in sede civile.

La documentazione richiesta avrebbe, infatti, consentito di dimostrare che la risoluzione contrattuale era stata disposta per garantire – senza procedere allo scorrimento della graduatoria originaria – l’affidamento a un nuovo operatore economico che, di fatto, si trovava in una situazione di conflitto di interesse con la stazione appaltante, ragion per cui il nuovo aggiudicatario non avrebbe potuto rendere nell’ambito della nuova procedura le dichiarazioni relative all’insussistenza di situazioni di conflitto di interesse con la stessa amministrazione.

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Il ricorrente precisava, infine, che la richiesta di accesso avrebbe potuto essere riqualificata “anche quale accesso civico generalizzato o semplice”, per cui avrebbe avuto interesse all’acquisizione della documentazione in questione anche al fine di esperire un controllo sulla corretta gestione delle procedure di aggiudicazione degli appalti da parte dell’Amministrazione.

La decisione del TAR

Il Collegio, investito della questione, ha innanzitutto dichiarato inammissibile il ricorso nella parte in cui aveva ad oggetto la richiesta di accesso al documento sub a), essendo il provvedimento di aggiudicazione della nuova procedura negoziata già nella disponibilità del ricorrente.

Lo stesso Collegio ha quindi ritenuto che il provvedimento di diniego opposto dall’Amministrazione fosse legittimo con riferimento alla richiesta di accesso ai documenti indicati sub lettere b), c), d), f).

Svolta una necessaria premessa sui presupposti che, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b) della l n. 241/1990, legittimano l’accesso, il TAR ha evidenziato come il ricorrente prospettasse l’esigenza di conoscere gli atti suindicati per formulare una adeguata difesa nell’ambito del giudizio instaurato avanti al giudice ordinario e far valere l’illegittimità della risoluzione contrattuale disposta in suo danno dalla stazione appaltante.
Ad avviso del TAR, tuttavia, siffatta prospettazione non sarebbe sufficiente a dimostrare in maniera chiara il necessario nesso di strumentalità fra accessibilità dei documenti amministrativi oggetto dell’istanza ostensiva ed esigenze di tutela del richiedente, strumentalità che, secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria, “si traduce in un onere aggravato sul piano probatorio, nel senso che grava sulla parte interessata l’onere di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario (o, addirittura, strettamente indispensabile se concerne dati sensibili o giudiziari) per la cura o la difesa dei propri interessi” (cfr. Adunanza Plenaria n. 19/2020).
Più in particolare, secondo i Giudici meneghini, il contenzioso promosso in sede civile troverebbe causa esclusivamente nell’esecuzione del contratto sottoscritto tra l’operatore ricorrente e la stazione appaltante e, dunque, in vicende che attengono all’adempimento delle obbligazioni negoziali discendenti da tale titolo e che non sono incise dal successivo affidamento dell’appalto a un nuovo operatore economico.

Trattasi in definitiva di contestazioni non solo oggettivamente estranee al nuovo affidamento sul piano del contenuto, ma anche temporalmente antecedenti alla successiva procedura esperita per l’individuazione del nuovo affidatario.

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Difetterebbe in definitiva la concreta allegazione delle ragioni per cui la conoscenza di atti relativi a una gara cui il ricorrente è rimasto del tutto estraneo (i.e., la documentazione tecnica, amministrativa ed economica presentata dall’aggiudicatario, i controlli effettuati, eventuali richieste di proroga e copia dell’eventuale contratto di appalto) sarebbe strumentale, nei termini chiariti dalla giurisprudenza, alla difesa del ricorrente nell’ambito del giudizio promosso per opporsi alla risoluzione contrattuale a proprio danno.  
Ciò posto, il TAR ha inoltre escluso che, nella fattispecie, fossero configurabili i presupposti per l’operatività dell’istituto dell’accesso civico (generalizzato o semplice), come anche preteso dal ricorrente.

Tale conclusione discendeva dall’esame della stessa istanza di accesso agli atti presentata dal ricorrente, che risultava infatti formulata esclusivamente ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241/1990.

Ed invero, alla luce dei principi enunciati dalla nota decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10/2020 – ha ricordato il TAR -, laddove l’istanza di accesso sia motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della legge n. 241/1990, o comunque risulti riconducibile a tale paradigma normativo, la pubblica amministrazione, una volta accertata l’insussistenza di un interesse differenziato in capo al richiedente che legittimi l’ostensione in base alle disposizioni della predetta legge, “non può esaminare la richiesta di accesso civico generalizzato, a meno che non sia accertato che l’interessato abbia inteso richiedere, al di là del mero riferimento alla l. n. 241 del 1990, anche l’accesso civico generalizzato e non abbia inteso limitare il proprio interesse ostensivo al solo accesso documentale, uti singulus”.
Allo stesso modo, così come è preclusa al privato la possibilità di convertire l’istanza da un modello all’altro in sede di riesame o di ricorso giurisdizionale,“al giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, è precluso di accertare la sussistenza del diritto del richiedente secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato” (cfr. Adunanza Plenaria, n.10/2020; cfr., su questa Rivista, E. Papponetti, “La disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d.lgs. n. 97 del 2016 trova applicazione nel settore dei contratti pubblici, nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016 e ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni c.d. relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2 del d.lgs. n. 33 del 2013” https://www.appaltiecontratti.it/accesso- -ed-appalti/).

Tanto chiarito, il Collegio ha invece giudicato fondata la domanda di accesso ai documenti indicati sub lett. e), ovvero alle “dichiarazioni di insussistenza di conflitti di interessi rese dal RUP, Componenti della Commissione nonché dalla impresa affidataria dei lavori”.

In questo caso, difatti, la documentazione richiesta dal ricorrente non riguarderebbe i contenuti di merito della domanda presentata in sede di procedura negoziata dal nuovo aggiudicatario, né comporterebbe la rivelazione di elementi relativi all’offerta in concreto presentata o alle caratteristiche del concorrente (non configurandosi dunque ragioni di tutela del controinteressato che potrebbero ostacolarne l’ostensione).
Non potrebbe, pertanto, escludersi a priori l’interesse del ricorrente all’acquisizione di tali informazioni per ragioni lato sensu difensive, a prescindere dalla fondatezza o meno delle stesse, su cui il Collegio non è chiamato a pronunciarsi.
 

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