Oliviero Toscani, la sua storia a Vogue e L’Uomo Vogue. Tutti gli scatti di moda più belli
«Il mio primo servizio per Vogue Italia lo feci con una modella con un uovo in testa e delle galline in mano. Il direttore, Franco Sartori, mi odiò da subito: non capiva perché mai si dovesse ritrarre una donna con un uovo in testa e delle galline in mano. Nel 1969 Lucchini creò L’Uomo Vogue, che inizialmente era allegato a Vogue Italia. Su quella rivista sono riuscito a sperimentare alla grande. Non solo pollame ma soprattutto gente qualunque, gente della cultura, un sacco di gente tranne modelli di professione che spesso hanno delle facce che è come se non le avessi viste, che è come se non ce le avessero nemmeno, le facce. Io non cerco modelli, cerco personaggi. Nel 1971 pubblicammo, su mia insistenza, un numero sugli afroamericani a New York. Erano diventati loro i veri trend-setter, quelli da imitare, quelli di cui copiare gusti stilistici e musicali. Parlo di Marvin Gaye, per esempio, e degli artisti lanciati dall’etichetta discografica Motown. La copertina raffigurava la testa di un nero vista da dietro, in verde e in nero. I colori della Black Panther». Così Oliviero Toscani racconta i suoi esordi a Vogue nel libro “Ne ho fatte di tutti i colori” (edito da La nave di Teseo+). Una vita professionale in controtendenza la sua, divisa a metà tra la fotografia e la sua azienda agricola, nella campagna toscana a Casale Marittimo, dove ha vissuto tra cavalli e campi dorati dal 1972 insieme alla moglie Kirsti Moseng, ex modella norvegese e dove è morto lunedì 13 febbraio dopo che la l’amiloidosi lo aveva divorato negli ultimi due anni.
A 14 anni la prima foto pubblicata, quella di Rachele Mussolini. Poi l’avventura della moda a New York
Nato durante la seconda Guerra Mondiale, cresciuto a Milano, in una casa di ringhiera vicino a Porta Garibaldi, figlio di un dissidente tollerato dal regime perché reporter del Corriere della Sera e regista per l’Istituto Luce, Toscani pubblicò la sua prima foto a 14 anni proprio sul quotidiano dove lavorava il padre; un ritratto di Rachele Mussolini sofferente durante la tumulazione del Duce a Predappio. Da quel giorno la sua passione per i volti, non perfetti ma sinceri, non si esaurisce più. Nel suo obiettivo restano un punto fisso, ritratti che sono il fil-rouge di una carriera tortuosa, ribelle ma anche colorata e libera: «non produco icone, fotografo l’umanità», diceva. Studia fotografia a Zurigo alla Kunstgewerbeschule, dove si respira il flair del Bauhaus, ma già sul finire degli anni Sessanta è a Milano sui set fotografici del fashion system. Inizia alla Rizzoli dove gli chiedono di scattare degli impermeabili da donna e subito capisce che la moda, e non il reportage, è la nuova dimensione della fotografia, quella che più si avvicina all’arte ed esprime creatività e sperimentazione. Ma nell’Italia degli anni Sessanta questo settore deve ancora affermarsi così nel 1967 mette insieme il suo portfolio e vola a New York. Diana Vreeland, storica direttrice di Vogue America, gli dice: «le tue immagini brillano, hanno il sole dentro». Resta lì e inizia a frequentare la Factory, stringe amicizia con Andy Warhol. Spesso lo usa come modello per le sue foto, tra cui una pubblicità di Iceberg e nel famoso scatto alla Carnegie Hall, nello studio di Editta Sherman. «Una volta gli dissi: “I have to do a picture for Polaroid”. “Oh yes”. E facemmo la famosa campagna della XL70. “Let’s go together shopping. I have to dress you as a middle class American.” “Oh yes”. Andammo da Brook’s Brothers per “L’Uomo Vogue” e scegliemmo per Andy Warhol dei vestiti da impiegatuccio americano, per sfottere il perbenismo piccolo-borghese». Quando Warhol viene poi per la prima volta in Italia si stupisce per l’accoglienza: «Everybody knows me here, dev’essere per le foto che mi ha fatto Oliviero su ‘L’Uomo Vogue’» commenta. Toscani in quegli anni è su tutti i magazine internazionali che contano, a Londra lavora per l’iconica rivista Queen, sulle cui pagine appaiono critiche musicali firmate da John Lennon e dove lavora anche Helmut Newton, e poi per British Vogue, dove immortala minigonne, modelle grissino e stringe amicizia fraterna con il fotografo David Bailey.
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