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Non bisogna farsi ingannare: dietro alle dichiarazioni roboanti di Donald Trump si muove un piano strategico di conflitti imperiali che dovrebbe far svegliare dal torpore anche coloro che finora si sono baloccati con i dettagli di costume.
Il Golfo del Messico forse verrà ridenominato Golfo dell’America (come se gli USA fossero la totalità del continente americano) o forse manterrà il suo nome, e magari Panama continuerà a esistere come uno stato nominalmente quasi indipendente; ma le sole affermazioni del nuovo presidente bastano a riasserire la dottrina Monroe e far pesare l’egemonia USA sull’intero continente.
È improbabile che il Canada venga annesso come cinquantesimo stato ed è altrettanto improbabile che gli USA invadano la Danimarca per conquistare la Groenlandia come nel gioco “Risiko”; ma è senz’altro vero che la visione strategica degli USA prevede il controllo della calotta polare artica, delle sue risorse idriche ed energetiche, e delle future, possibili rotte di navigazione tra l’Asia orientale e l’Atlantico del nord passando attraverso il Mar glaciale artico.
Nella guerra tra imperi, l’impero americano e l’impero russo si contendono il controllo della calotta polare e i pezzi intermedi contano, così come a “Risiko”, quali rampe di lancio e aree di passaggio.
Non bisogna farsi ingannare neanche dagli annunci di Mark Zuckerberg: in ballo non ci sono i dettagli tecnici della regolamentazione del controllo di informazioni sulle sue piattaforme (che, a ogni modo, è sempre avvenuto in maniera selettiva e discutibile), ma una vera e propria opzione di campo nel conflitto imperiale che si profila per il futuro prossimo.
I prossimi campi di conflitto saranno le aree polari e le zone prossime all’Equatore, da cui, come ha spiegato Tim Marshall, si deve partire per il controllo dell’orbita geostazionaria, dalla quale a sua volta dipendono i satelliti e le reti di comunicazione che usiamo ogni giorno, tutto il giorno.
La guerra nello spazio non è fantascienza, ma la prossima realtà, e le economie di scala e le condizioni tecnologiche restringono la gara a soli tre attori: gli USA, la Russia e la Cina.
Elon Musk, che forse è meno pazzoide di ciò che vuol far apparire o forse lo è veramente, partecipa a questa gara spaziale attraverso il controllo delle reti di comunicazioni e molto più attraverso il monopolio dei vettori che servono a collegare la Terra con l’orbita geostazionaria.
Mark Zuckerberg non si è improvvisamente scoperto “fascista”, ma ha più semplicemente preso atto che gli conviene stare dentro con le mani e con i piedi nel progetto imperiale degli USA, che poi non è altro che il proseguimento nel ventunesimo secolo della dottrina del “destino manifesto” e dell’idea di “eccezionalismo americano” degli ultimi due secoli.
In tutto questo non c’è in realtà granché di sorprendente: gli imperi si comportano in modo imperiale, gli oligarchi del tardo capitalismo si comportano in modalità oligarchica, e Donald Trump non fa altro che dire in maniera sguaiata e sgradevole ciò che fino a ieri era alluso, detto dietro le quinte o fatto intendere, lasciando una qualche parvenza di eguaglianza tra soggetti.
È un mondo di guerre tra imperi, dove gli imperi appaiono retti da bande di singoli individui che perseguono i loro interessi personali.
E l’Europa? Lo spettacolo è abbastanza mesto: ventisette Paesi con economie boccheggianti, in attesa del prossimo turno elettorale in cui vincerà l’ennesimo partito ultranazionalista (a parole; ma in realtà spesso pronto a svendere il patrimonio nazionale per il primo piatto di lenticchie che passa per strada). Certo si potrebbe riflettere sulle tante cause che negli ultimi vent’anni hanno insabbiato il progetto di integrazione europea, trasformandolo in un’imposizione di politiche di austerità finanziaria e smantellando il potere di regolamentazione da parte degli Stati che permetteva di intervenire su monopoli e oligopoli privati.
Con la visita lampo alla dimora privata del nuovo presidente USA a Mar-a-Lago, Giorgia Meloni ha tentato di accreditarsi come alleata speciale di Donald Trump. L’evoluzione del turbolento scenario mediterraneo e mediorientale nei prossimi mesi, o forse già nelle prossime settimane, ci dirà se tutto questo si traduce in una rinnovata influenza italiano nella politica internazionale, o se invece l’Italia si limiterà a essere un’enorme punta di lancia del dispositivo militare USA nel Mediterraneo.
Francesco Mazzucotelli
Docente di Storia della Turchia e del Vicino Oriente all’Università di Pavia
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