I moti locali fermani che portarono al Vaticano II

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Tempo fa, in questa sede, si era parlato dei moti cattolici locali che avevano portato alla progettazione e costruzione del nuovo Seminario di Fermo. Questi sono i medesimi che a livello locale e nazionale, partendo dalla prematura chiusura del Concilio Vaticano I, porteranno al Concilio Vaticano II. A partire dagli ultimissimi anni dell’Ottocento in seno alla chiesa si iniziò a sentire il bisogno e il desiderio di un nuovo Concilio. Si consideri, infatti, che il Concilio Vaticano I fu interrotto nel 1870 a causa della presa di Roma, e dunque risultò inconcludente[1]. Un primo buon proposito da parte di un pontefice di riprendere il Concilio interrotto forzosamente nel 1870 venne da Pio XI con l’enciclica Ubi Arcano Dei Consilio del 1922. A tal proposito, il Pontefice aveva inviato a cardinali e vescovi una lettera chiedendo il loro parere sulla ripresa dell’assise. L’iniziativa, tuttavia, sfumò a causa della vastità del dibattito e della questione romana ancora aperta[2]. L’enciclica papale enunciava il programma del nuovo pontefice, riassunto nel suo motto «pax Christi in regno Christi». Essa si scagliava contro la tendenza a ridurre la fede a mera questione privata. Pio XI nell’enciclica spronava i cattolici ad adoperarsi per creare una società totalmente cristiana. Questo programma fu completato dalle encicliche Quas Primas (1925), con la quale istituì la festa di Cristo Re, e Miserentissimus Redemptor (1928), dedicata al culto del Sacro Cuore. L’enciclica rappresentava anche la risposta cattolica al primo conflitto mondiale e alla necessità di costituire una Società delle Nazioni. La pace universale era però ancora molto lontana. Le tensioni internazionali, infatti, secondo Pio XI, erano causate dal quel processo di laicizzazione delle società che sembrava non arrestarsi. Unica soluzione, per una pacifica convivenza tra le nazioni, sarebbe stata una nuova loro sottomissione alle direttive ecclesiastiche. Contestuale a tale idea è la presa di distanza da parte di papa Pio XI, dopo il possibilismo di Benedetto XV, nei confronti della Società delle Nazioni[3].

Durante tutto il periodo fascista, essendoci problemi di carattere maggiore da affrontare, il dibattito sul Concilio non riemerse, ma appena il Secondo conflitto mondiale si concluse, esso si andò riproponendo. Con il nuovo pontefice, Pio XII, i lavori per il concilio ripresero mediante una commissione che doveva riorganizzare il Concilio, il 15 marzo 1948. Nel febbraio del 1949 Pio XII istituì la commissione speciale preparatoria, nominando Francesco Borgongini Duca come presidente e il gesuita Pierre Charles come segretario. La commissione concluse che una mera ripresa del Vaticano I non sarebbe stata in grado di affrontare i numerosi nuovi problemi, sorti nella Chiesa dal 1870 ad allora, e la convocazione di un nuovo concilio avrebbe comportato notevoli difficoltà in merito alla sua organizzazione e impostazione. Sentito il parere della commissione, il 4 gennaio 1951 papa Pacelli dispose l’abbandono del progetto[4]. L’esigenza, però, di un Concilio rimaneva forte e sempre più necessaria.

Tali istanze sono ben percepibili anche all’interno del clero locale, ma soprattutto a chiedere un cambiamento è il mondo laico. Risulta, perciò, interessante notare come i giornali locali, La Voce delle Marche in primis, ma anche tanti quotidiani marchigiani vicino al mondo comunista abbiano promosso tali istanze di cambiamento proprio a ridosso dell’inizio dei lavori conciliari. Alcuni degli interventi più significativi sono quelli su La Voce delle Marche che vanno dal 25 marzo al 6 maggio. Partiamo da quello del 25 marzo. “Dal 26 marzo al 3 aprile la V Sessione della Commissione Centrale del Concilio”. L’intervento si incentra sulle coscienze e ci si chiede se queste siano realmente predisposte ad accogliere il Concilio. Sono riportate anche le parole di Athenagora, patriarca ortodosso di Costantinopoli, il quale afferma che uno degli obiettivi del Concilio deve essere obbligatoriamente la fine dello scisma tra Cattolici e Ortodossi.

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Anche l’intervento del 1° aprile riporta notizie relative ai lavori della V Commissione Centrale del Concilio. Nell’articolo si prendono in considerazione i cinque punti fondamentali affrontati dalla Commissione: Primo posto alla preghiera liturgica; una più intensa partecipazione dei fedeli; la Liturgia non è un cerimoniale; la giusta linea delle riforme; i meriti del Movimento liturgico. È poi riportato l’intervento presso l’Università Cattolica di Milano tenutosi in quei giorni del Card. Montini, futuro Paolo VI: «Il Concilio farà emergere l’aspetto sociale, organizzativo, gerarchico, episcopale e pontificio della Chiesa e sarà l’apologia in atto della dottrina che su di essa già noi conosciamo».

Sulla centralità della liturgia si torna anche il 5 aprile, ciò lo si evince anche dai titoli degli articoli, “Perché la Messa torni scuola e sorgente di vita Cristiana” e “La S. Messa era la scuola e l’artefice della vita Cristiana”. Ci si interroga sull’efficacia dell’attuale Messa e come si possa rendere più coinvolgente. Si ipotizza anche una revisione della Messa.

In un intervento del 15 aprile si parla del mantenimento e rafforzamento dell’impegno missionario nel mondo. Viene sottolineata l’importanza di aumentare il numero dei missionari che all’epoca erano solo 35000.

Un nuovo riferimento conciliare si ha in prima pagina nel numero del 29 aprile, “Il Papa gioisce per il Concilio vicino e trepida per la pace minacciata”. Nell’articolo sono riportate le parti salienti del discorso del Pontefice. In un altro articolo, sempre all’interno del medesimo numero, ci si interroga sui preparativi per il Concilio e quale sia lo stato dei lavori a cinque mesi dall’inizio.

Nel numero del 6 maggio in prima pagina viene nuovamente dato risalto al Concilio, “Con Maria, un maggio di preparazione al Concilio”. Il centro pagina è però dominato da un titolone rosso “Nessun cattolico faccia il gioco dei comunisti”. Nell’articolo si raccomanda ai cattolici di «non porgere tranquillamente in soffitta i doveri e gli obblighi sociali». In questo memento, più che in altri, è opportuno che i cattolici stiano uniti per contrapporsi alle critiche dei comunisti. «E chiaramente i comunisti fanno assegnamento su di questi, affinché impediscano lo sviluppo dell’azione della D.C. e la pongono finalmente in crisi. È palese che in questo momento si prepara il confronto, forse decisivo, tra cattolici e comunisti, e non è cosa di poco conto». Il confronto è molto sentito dai cattolici, poiché nei mesi pre-conciliari sono stati ripetutamente attaccati dai comunisti, soprattutto sul piano sociale.

[1] A. Riccardi, Il Papa all’origine del Concilio, in Concilio Vaticano II. Ricerche e documenti. 4, 2004, pp. 25-40.

[2] G. De Rosa, Giorgio Cracco, Il papato e l’Europa, Siena, Rubbettino Editore, 2001, p. 237,

[3] D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 47-48.

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[4] A. Riccardi, Preparare il Concilio: Papa e Curia alla vigilia del Vaticano II, in Le Deuxième Concile du Vatican (1959-1965), Collection de l’École Française de Rome, n. 113, Roma, 1989, pp. 181-184.



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