La statua di Giacomo Mancini a Cosenza spacca i socialisti e la famiglia del sindaco. Cronaca di una polemica inutile

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Il fascismo durante il regime a Cosenza, secondo l’autoritarismo che ne caratterizzava la politica, decise di trasferire la statua di Bernardino Telesio edificata in occasione del centenario del 1914 da piazza Prefettura in quella del Carmine. Non c’erano questioni ideologiche nel provvedimento ma solo il dato fattuale che le adunate in camicia nera nella piazza all’epoca più rappresentativa della città venissero ostacolate dal monumento che ne impediva una maggiore imponenza nella riproducibilità fotografica. Ci vorrà il 1968 per rivedere la statua di Telesio tornare nella piazza dove ancora oggi si trova. Sono i segni simbolici che riconnettono il passato al presente.
Oggi, a Cosenza e non solo, si discute molto della clamorosa decisione del sindaco socialista Franz Caruso di spostare la statua di un concittadino molto amato qual è stato Giacomo Mancini. Il monumento eretto dalla Fondazione Mancini e acquistato con la sottoscrizione di molti cittadini è stato posto davanti al municipio all’inizio del corso principale. Il figlio Pietro e il nipote Giacomo l’avrebbero voluta al centro della piazza posta a lato dell’Elmo di Paladino, ma il sindaco chiese e concordò di erigerla nel luogo dove si trova a beneficio dei tanti cosentini che scattano affettuosi selfie accanto al sindaco più amato del Novecento bruzio. Nelle clausole dell’accordo è scritto che l’amministrazione comunale può decidere di spostare il monumento per motivi particolari quali potrebbero essere un intervento di protezione civile o un cambio del piano del traffico con l’eliminazione dell’isola pedonale per esempio. Ebbene, niente di tutto questo è accaduto per motivare l’atto unilaterale del sindaco Caruso che lo scorso 2 gennaio, fresco reduce del successo del concerto di Capodanno, protocolla una Pec per la Fondazione Mancini in cui spiega che per richieste di commercianti e residenti della zona e per la collocazione di nuove statue donate dalla famiglia Bilotti al Museo all’aperto la statua di Giacomo Mancini deve essere spostata. La pec spedita il 9 gennaio comunica alla Fondazione di “voler suggerire altra allocazione, entro dieci giorni” e che in caso “di mancato riscontro alla presente, si procederà alla restituzione della statua” scolpita dallo scultore Domenico Sepe. Quando la pec viene notificata e diffusa dagli eredi di Mancini crea il putiferio sui social da parte dei molti cosentini che per Giacomo Mancini conservano riconoscenza che in alcuni casi diventa venerazione al netto delle appartenenze.
Il sindaco Caruso si affretta a smentire dicendo che non vuole sfrattare la statua e si arrampica sugli specchi aggiungendo di aver accolto anche le richieste di commercianti e residenti del posto.  Eppure Caruso quando la statua fu inaugurata a vent’anni della scomparsa del leader socialista partecipò alla manifestazione con tanto di foto ricordo. La collocazione di una statua o di un’epigrafe una volta decisa e concordata non può essere contestata da commercianti e residente. Per quale motivo poi? Perché la statua sorge nella piazzetta dedicata a Giuseppe Carratelli, che tra l’altro fu anche brevemente vicesindaco di Mancini. O peggio, per le richieste di un mecenate che a questo punto avrebbe il potere di decidere lui il disegno della città?

Caruso nella sua iniziativa in queste ore ha trovato una preziosa alleata nella figlia del politico Giosi che in opposizione a fratello e nipote con cui è in polemica in un post su Facebook ha scritto: «Ora, se pur tardivamente condivido la decisione di spostare il manufatto. Mi auguro che la nuova collocazione consentirà una visibilità adeguata in altezza, onde evitare attrazione per cani», raccogliendo il consenso di una ridotta autorevole adesione di like di personalità cittadine, le quali plaudono alla questione delle dimensione del monumento che già aveva fatto discutere nel momento dell’inaugurazione e che ormai sembrava passata agli archivi. Ma torniamo alla querelle.
Caruso quando accordò la presenza della statua decise lui come sindaco in accordo con la Fondazione Mancini. Era quello il momento di opporre eventuali prelazioni da parte della famiglia Bilotti. La statua ormai è riconosciuta e accettata dai cosentini nel sito dove è stata posta. Caruso probabilmente non ha valutato che il monumento in quel luogo è ormai considerato al posto giusto da molti suoi cittadini, e per chi ha intenzioni politiche di correre in una complessa corsa per presidente della Regione non mi sembra un atto che produca consenso e voto tra i molti cosentini che non la vogliono spostare. Perché questa inutile vicenda? Non si comprende. I morti vanno ricordati vivi, e Giacomo Mancini è vivo (è anche il mio modesto parere) davanti a Palazzo dei Bruzi dove per dieci anni ha trascorso giorni e notti pensando solo al Comune e ai cosentini. 
La bizzarra ed evitabile vicenda fa sorgere una connessione ad un pensiero di Pietro Nenni, padre del socialismo italiano, che fu vicino a Giacomo Mancini e che ha influenze anche su Franz Caruso. Recita: “Due socialisti tre fazioni”. In questo caso si aggiunge anche una famiglia divisa e contrapposta.

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Serafino Congi

È un racconto dell’orrore quello dell’impiegato Serafino Congi, morto a 48 anni dopo aver atteso per ore di essere soccorso per un infarto a San Giovanni in Fiore. Il maltempo ha impedito l’impiego dell’elisoccorso mentre l’ambulanza non è potuto intervenire per mancanza di un medico disponibile. Migliaia di persone sono scese in piazza silenziosamente per esprimere la loro indignazione. L’episodio mi ha ricordato i miei viaggi in Centrafrica quando registravo che un soccorso medico nella savana verso un ospedale era affidato alla sorte di fermare un’auto in transito in quel momento per poter raggiungere un lontano ospedale. Non è solo questione di Calabria purtroppo, ma nella nostra regione il problema è grave in ogni dimensione come ci testimonia la provocatoria ordinanza del sindaco di Belcastro che vieta ai suoi cittadini di ammalarsi perché privo di medici e che ha almeno ha sollevato attenzione sul diritto alla Salute nelle aeree interne e di montagna.

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Un impiegato e un detenuto si sono uccisi nel giro di 24 ore nella casa circondariale di Paola. Nelle carceri calabresi 3000 detenuti sono ospitati in strutture che ne dovrebbero contenere 2700. L’associazione Antigone ha denunciato di aver trovato nelle carceri di Cosenza e Rossano detenuti con disagio psichico svestiti e in celle senza materasso come quella di Cecilia Sala. La Regione deve nominare il nuovo Garante dei diritti dei detenuti dopo le dimissioni di Luca Muglia. È questa una figura indispensabile per fronteggiare l’emergenza. Fate presto a scegliere la persona adatta.

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Il 7 gennaio sono trascorsi tre lustri della rivolta di Rosarno quando i braccianti neri reagirono con rabbia alle fucilate nei loro confronti. Da un documento di Emergency apprendiamo che di recente un bracciante sarebbe stato aggredito e investito tra le strade di Rosarno e San Ferdinando. Nella tendopoli della Piana di Gioia Tauro più di 500 persone vivono ancora in condizioni igienico sanitarie che ricordano quelle delle megalopoli africane da dove sono fuggiti. Ricordo male io o nel corso di questi 15 anni più presidenti di Regione avevano promesso solennemente: «Mai più». (redazione@corrierecal.it)

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