C’è bisogno dei satelliti di SpaceX: le sparate di Musk mi sembrano dettagli a confronto

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di Leonardo Botta

Viviamo in tempi particolari: tempi in cui le periferie si stanno inesorabilmente spopolando, a vantaggio delle già invero congestionate metropoli; e nei quali il telelavoro (o smart working, fate voi) sta prendendo considerevolmente piede, spinto dalla necessaria, diffusa e tutto sommato positiva sperimentazione sul campo nel periodo Covid, nonché da esigenze di contenimento dei costi aziendali in un mercato continuamente iper-competitivo.

Questi due fenomeni mi fanno pensare che l’ulteriore potenziamento del secondo (il telelavoro) possa agevolare un’inversione di tendenza del primo. Insomma, può darsi (almeno lo immagino) che un impiego massiccio dello smart working possa incentivare le persone a fissare la residenza nei piccoli centri o, perché no, anche in zone rurali che certo, in un mondo attanagliato dalle tossine dello stress quotidiano, possano rivelarsi delle oasi di benessere. Tutto ciò a una condizione: che chi scegliesse di dimorare e lavorare da remoto in tali aree, usufruisca dei vantaggi della connettività ultraveloce, al pari di chi opera nelle city britanniche, a Wall Street o nella Silicon Valley.

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Perciò ritengo che il sistema di connessione dati in banda larga italiano, europeo, mondiale non possa prescindere dal progetto Starlink/SpaceX. Le alternative, di fatto, non esistono: l’omologa costellazione satellitare europea, Iris, pare non sia assolutamente in grado, al momento, di competere con la tecnologia di Elon Musk: una tecnologia che impiega satelliti a bassa quota, i quali consentono di superare i problemi di latenza (e quindi lentezza) di altre infrastrutture aeree.

Quindi, se vogliamo che ogni punto del globo terracqueo sia potenzialmente agganciato alla rete e a quell’infosfera globale già citata dal ministro Giuli, magari con velocità sensibilmente maggiori a quelle garantite dai vecchi modem “cingolati” 56k, anche laddove non c’è possibilità o la convenienza di condurre la fibra ottica FTTH (e nemmeno i cavi in rame), dobbiamo a mio avviso accordare le concessioni al geniale imprenditore sudafricano-statunitense; e dobbiamo farlo cercando, questo sì, di strappare condizioni economiche ragionevoli, adeguate (si spera) garanzie di tutela dei dati e della privacy e confidando (sic!) nella sobrietà intellettuale di Musk, che ogni tanto pure sembra vacilli parecchio. E la circostanza che il magnate già patron di Tesla oggi sia tazza e cucchiaio con Trump, Meloni, Salvini e con buona parte del mondo politico conservatore (purtroppo, anche con qualche formazione di matrice xenofobo-reazionaria) credo sia legittima oltre che del tutto marginale: se noi europei non sappiamo fare meglio (al momento è così), i satelliti di SpaceX ci servono, pur con tutti i rischi che un canale di comunicazione così delicato nelle mani di un uomo così controverso comporta.

In ogni caso, quando il buon Elon era molto vicino alle amministrazioni progressiste (a cominciare da quella americana a guida Obama) con lui non facevamo tanto gli schizzinosi. È vero, allora non stava entrando dalla porta principale negli apparati istituzionali e nel governo statunitense; non chiedeva, a colpi di fake news mitragliate dal suo social network X, di arrestare il primo ministro inglese; non auspicava la cacciata dei magistrati italiani. Ma tutti questi, datemi pure del folle, ora mi paiono dettagli di fronte all’esigenza di utilizzare i suoi bene-maledetti satelliti.

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