Alcuni uffici delle Entrate siciliani, in difficoltà a causa della carenza di personale, trascurano le istanze dei contribuenti, dimenticandosi dell’autotutela. … In attesa delle “sentenze a sorpresa!”.
Francofonte, 12 gennaio 2025. Per gli uffici dell’agenzia delle Entrate, la fine di ogni anno costituisce sempre una corsa affannosa contro il tempo, per il cosiddetto raggiungimento degli obiettivi in tema di controlli, verifiche e accertamenti. Il “guaio” è che gli uffici siciliani sono in grande difficoltà per carenza di personale e il rischio è che, in alcuni casi, per la mancanza di tempo, emettano atti sbagliati, con cifre spropositate e impossibili da pagare. Peraltro, il primario raggiungimento degli obiettivi non consente loro di prestare la giusta attenzione alle istanze in autotutela presentate dai contribuenti. L’autotutela in materia tributaria è lo strumento che impiega il cittadino per farsi ascoltare quando ritiene di avere subìto un’ingiustizia. Alcuni uffici, però, non hanno il tempo per rispondere o esaminare le istanze in autotutela, che, quindi, restano “lettera morta”.
Non si tratta solo di mancanza tempo, ma anche di mancanza di personale, perché i pochi funzionari in attività non possono certo moltiplicarsi, non essendo materialmente possibile sostituire i circa mille dipendenti degli uffici siciliani, che negli ultimi anni sono andati in pensione o sono stati trasferiti. Il paradosso è che, non avendo il tempo per rispondere alle istanze in autotutela, si moltiplicano sia le richieste sbagliate degli uffici, sia le istanze dei contribuenti ingiustamente perseguitati. Ecco, di seguito, un esempio di una società di persone che, dopo avere presentato più volte la richiesta di annullamento in autotutela per una cartella di pagamento sbagliata, invece di ricevere l’annullamento dell’ufficio, ha ricevuto altre due cartelle, con le stesse richieste di pagamento, questa volta notificate ai due soci della società di persone.
E meno male che i soci sono solo due, perché se, ad esempio, fossero dieci, avrebbero ricevuto altre dieci cartelle di pagamento. Ecco i fatti.
La cartella sbagliata notificata alla società. Con una cartella di pagamento, notificata il 13 marzo 2024, un ufficio siciliano dell’agenzia delle Entrate, chiede a una società di persone il pagamento di Iva 2020, per 7.719,00 euro, sanzioni 2.315,70 euro, interessi 884,06 euro, in totale 10.918,76 euro. La società presenta tempestivamente un’istanza di annullamento in autotutela che, però, non sospende i termini per il ricorso. Tuttavia, essendo la richiesta dell’ufficio palesemente sbagliata, la società non presenta il ricorso, fidando in un tempestivo annullamento della cartella. Nell’istanza, inviata all’ufficio il 22 marzo 2024, fa presente che:
- la richiesta di pagamento deriva da una precedente comunicazione, cosiddetto avviso bonario, per incongruenze del modello Iva 2021, per il 2020, presentato dalla società, con richiesta di Iva per 7.719,00 euro, sanzioni 231,57 euro, interessi 664,75 euro, in totale 8.615,32 euro;
- la differenza Iva di 7.719,00 euro, più sanzioni e interessi, per complessivi 9.307,76 euro, è stata già regolarizzata dalla società, eseguendo i versamenti dovuti;
- la società aveva già presentato una richiesta di annullamento, ma, evidentemente, l’ufficio non l’ha presa in considerazione.
Le altre cartelle notificate ai soci
Al silenzio dell’ufficio, ha fatto poi seguito la notifica della stessa cartella, con gli stessi importi, consegnata ai due soci il 12 dicembre 2024, in qualità di coobbligati illimitatamente responsabili. Insomma, invece di ricevere l’annullamento, il 12 dicembre 2024, la stessa cartella, con gli stessi importi di 10.918,76 euro, è stata notificata ai due soci. Ora le cartelle sono tre: una per la società e due per i soci.
A questo punto, il 19 dicembre 2024, i due soci hanno presentato l’ennesima istanza di annullamento in autotutela della cartella sbagliata, sperando che, magari entro il mese di gennaio 2025, l’ufficio trovi il tempo per fissare un incontro e mettere la parola “fine” a una vicenda che sta creando enormi disagi alla società e ai due soci, vittime incolpevoli del silenzio dell’ufficio.
Cartella da annullare, per evitare un inutile contenzioso. Il rischio è che, se l’ufficio rimane in silenzio, i due soci, entro 60 giorni dalla notifica della cartella, eseguita il 12 dicembre 2024, saranno costretti a presentare ricorso e così “aprire” un inutile contenzioso. Come si è detto, l’autotutela in materia tributaria è lo strumento che impiega il cittadino per farsi ascoltare quando ritiene di avere subìto un’ingiustizia. Per una giusta autotutela, gli uffici devono anche ricordarsi della regola non scritta, ma sempre valida del “buon senso”. Basta con i formalismi inutili. Quello che non si capisce è perché alcuni uffici, anche quando sono in presenza di accertamenti illegittimi e infondati, o richieste di somme non dovute, non si ricordino dell’autotutela, che consente di annullare gli atti sbagliati.
Al riguardo, si ricorda che, in presenza di un errore dell’amministrazione, non è vero che lo sgravio è facoltativo, in quanto l’agenzia delle Entrate, come tutta la pubblica amministrazione, <<deve conformarsi alle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione>>.
L’autotutela, in caso di errore dell’ufficio, non è un optional, ma è obbligatoriae non vi è spazio <<alla mera discrezionalità poiché essa verrebbe necessariamente a sconfinare nell’arbitrio, in palese contrasto con l’imparzialità, correttezza e buona amministrazione che sempre debbono informare l’attività dei funzionari pubblici>>.
E’ grave che alcuni uffici, come gli zombi, ogni tanto “resuscitano” richieste di pagamento non dovute, mettendo in difficoltà il contribuente che le riceve, con l’ulteriore aggravante che, aperta la lite, il contenzioso arriverà fino alla Cassazione, con il rischio che il Fisco non incasserà nulla e potrà essere condannato al pagamento delle spese di giudizio. La verità è che nel momento in cui “parte” un accertamento o una richiesta di pagamento, anche se in modo errato, è quasi inevitabile che il relativo contenzioso dovrà superare i tre gradi di giudizio, primo, secondo grado e Cassazione.
Non è giusto, ma gli uffici che amano la lite sperano in una delle cosiddette sentenze a “sorpresa” da parte dei giudici tributari, che possa giustificare il loro operato.
Inoltre, chi paga è sempre e soltanto il contribuente, non certo il singolo funzionario che emette l’accertamento sbagliato o chiede pagamenti non dovuti, aprendo inutili contenziosi. Gli unici a guadagnarci in questa grande confusione fiscale, la peggiore degli ultimi venti anni, sono i difensori dei contribuenti. Per gli errori dei funzionari, paga l’agenzia delle Entrate, cioè la collettività.
Il Fisco è “amico” a parole, ma nei fatti è “nemico”. Con la confusione fiscale di questi tempi, ormai arrivata a livelli insostenibili e intollerabili, alcuni uffici, per raggiungere gli obiettivi in tema di accertamento, controlli, verifiche ed altro, approfittano di qualsiasi errore del contribuente, anche se in contrasto con le promesse più volte fatte dai vertici dell’agenzia delle Entrate che parlano di un Fisco amico e leale. Belle parole, ma nei fatti non è così. Ci vuole più lealtà e collaborazione, solo così si potrà sperare in un Fisco amico e contribuenti in buona fede, con l’obiettivo di eliminare la grande confusione fiscale che sta soffocando tutti, uffici dell’agenzia delle Entrate compresi. Come sempre, a beneficiarne sono i veri evasori. E poi si continua a parlare di “lotta all’evasione”, che, al pari dell’autotutela, appartiene al passato. In questa grande confusione fiscale, succede che, alle richieste dei cittadini, spesso gli uffici restano in silenzio. Silenzio che, per i contribuenti, è peggio di una risposta negativa.
Passare da uno stato di paura a uno di certezza del diritto e fiducia. La gente è stanca di sentire annunciare continue “semplificazioni” che, alla prova dei fatti, sono nuove complicazioni. I contribuenti, anzi i “Cittadini” meritano più rispetto ed un sistema fiscale che generi certezze, non paure, ansie e panico, come quello degli ultimi anni. Anche l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, nell’illustrare le linee guida davanti alla Commissione Finanze del Senato, il 17 luglio 2018, cioè quasi sette anni fa, ha affermato che è <<doveroso passare da uno stato di paura nei confronti dell’amministrazione finanziaria a uno stato di certezza del diritto e fiducia>>. I principi guida devono essere quelli di buona fede e reciproca collaborazione, ricordandosi che l’autotutela esiste, non è una specie di optional e l’ufficio emittente non può decidere a suo piacimento se correggere o no i propri errori. E’ noto che, applicando doverosamente l’istituto dell’autotutela, l’ufficio emittente deve, appena possibile, annullare l’atto illegittimo.
L’autotutela, in caso di errore dell’ufficio, non è un optional, ma è obbligatoriae non vi è spazio alla mera discrezionalità poiché essa verrebbe necessariamente a sconfinare nell’arbitrio, in palese contrasto con l’imparzialità, correttezza e buona amministrazione che sempre debbono informare l’attività dei funzionari pubblici.
Tutti i cittadini meritano rispetto! Gli uffici, quando sbagliano e colpiscono ingiustamente un cittadino onesto, devono ricordarsi delle norme sull’autotutela, che consentono di annullare gli atti sbagliati. Insomma, l’atto illegittimo deve essere annullato senza discrezionalità e in tempi brevi. In alcuni casi, come dimostra il caso in esame, le istanze in autotutela presentate dai contribuenti, a causa della cronica carenza di personale negli uffici siciliani dell’agenzia delle Entrate, restano “lettera morta” con la conseguenza di aumentare il contenzioso. E anche perché, gli uffici non hanno tempo per ascoltare i cittadini, in quanto sono troppo impegnati al raggiungimento degli obiettivi di controlli, accertamenti, verifiche, contenzioso e statistiche varie, dimenticandosi, però, che tra questi obiettivi è escluso quello di fare fallire i contribuenti o disturbare le persone perbene.
Contenziosi con incassi ridicoli per il Fisco. La conseguenza è che, in questo modo, si aprono contenziosi infiniti con il Fisco, con una sola certezza, che l’erario incasserà poco o nulla. Interesse degli uffici delle “Entrate”, nel rispetto della loro denominazione, è di incassare le imposte, non certo quello di aprire contenziosi inutili e defatiganti, che procurano più spese che incassi. Al riguardo, in un articolo, dal titolo “Accertamenti fiscali a perdere”, pubblicato su Italia Oggi del 27 giugno 2017, si legge che <<il 48% delle imposte accertate dalle Entrate negli ultimi 5 anni non è stato né pagato né impugnato dai contribuenti. Incassati 370 milioni su 93 miliardi contestati>>.
Insomma, la metà dei contribuenti lascia “perdere” gli accertamenti, non presentando ricorso, e su 93 miliardi di euro di contestazione, lo Stato incassa meno dello 0,4 per cento. Per rendere meglio l’idea, è come se, ad esempio, su 500mila euro di presunte evasioni accertate dal Fisco, pari a circa un miliardo delle vecchie lire, l’erario incassa meno di 2mila euro, cioè meno di 4milioni delle vecchie lire! Con l’aggravante che, dopo il 2017, la situazione è ulteriormente peggiorata.
E’ evidente che i contribuenti che lasciano “perdere” gli accertamenti sono spesso quelli che non possiedono nulla o che hanno poche disponibilità finanziarie in confronto alle richieste degli uffici, in alcuni casi esagerate e fuori dal mondo reale.
Mimma Cocciufa – Tonino Morina – Esperti fiscali del Sole 24 – Ore
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link