Gianbattista Guarnerio, da Brescia a Bari per ricevere un cuore nuovo: «Al Nord mi dicevano che i trapianti si fanno ai più giovani»

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di
Giuseppe Di Bisceglie

Il settantenne bergamasco è stato operato con successo al Policlinico dall’equipe del professor Bottio.«Ma a suggerirmi di andare in Puglia è stato il professor Metra dell’ospedale civile di Brescia»

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Dal 30 dicembre 2024, la vita di Gianbattista Guarnerio, 70 anni bergamasco residente a Brescia, è cambiata radicalmente. Un trapianto di cuore gli ha restituito il futuro proprio quando sembrava tutto perduto. Dal Nord al Sud, da Brescia a Bari, ha intrapreso un viaggio carico di speranza verso il Policlinico di Bari, oggi il primo centro in Italia per trapianti cardiaci, con ben 73 interventi eseguiti nell’anno. Lì, sotto le mani esperte dell’équipe del professor Tomaso Bottio, ha trovato non solo una seconda vita, ma anche un’umanità che non si aspettava. Nella sua storia non c’è soltanto il racconto di un cuore che ha ripreso a battere ma il superamento di un pregiudizio che ha letteralmente salvato una vita che sembrava perduta.

Prima di tutto, come si sente?




















































«Ho solo la voce un po’ bassa, ma sto benissimo. Mi sento rinnovato, rinato. È un’emozione enorme, sia per me che per la mia famiglia. Non posso che essere grato».

Ci racconti un po’ della sua storia. Come è arrivato a Bari per il trapianto?

«Sono nato a Bergamo e vivo in provincia di Brescia. Soffrivo da anni di una cardiopatia infartuale, che a un certo punto era diventata insostenibile: non riuscivo più a fare nemmeno le attività quotidiane senza affaticarmi. Quando mi sono reso conto che il tempo stava per scadere, mi sono convinto a prendere una decisione. Mi sono rivolto ai centri di eccellenza in Lombardia, a Bergamo e Milano, per capire se un trapianto fosse possibile. Purtroppo, mi è stato detto che, vista la mia età, i cuori disponibili venivano giustamente destinati a pazienti più giovani».

E quali alternative le avevano proposto?
«Mi hanno suggerito il Vad, un dispositivo di supporto meccanico al cuore. Non sapevo nemmeno che esistesse. Ma quando ho capito di cosa si trattasse, ho deciso di non accettarlo: mi avrebbe garantito due o tre anni di vita, che per me non sarebbero stati vita. Inoltre, dopo ulteriori esami, mi hanno comunicato che non ero nemmeno idoneo per quella procedura. Mi sentivo senza speranza».

Come è arrivata quindi la decisione di rivolgersi a Bari?

«È stato il professor Metra dell’Ospedale Civile di Brescia a parlarmene. Mi disse: “Guardi, a Bari c’è un centro che potrebbe essere una strada da percorrere”. Ammetto che la prima reazione è stata di scetticismo. Io, bergamasco, a Bari per un trapianto? Sembrava assurdo. Ma il professor Metra è una figura di altissimo livello e mi fidavo del suo parere. Inoltre, facendo verifiche, ho scoperto che il Policlinico di Bari era diventato un centro d’eccellenza grazie al professor Bottio e alla sua squadra. Allora ho deciso: andrò a Bari».

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Ha avuto qualche esitazione nel prendere questa decisione?

«Certo, ma poi ho pensato: Bari è la città di San Nicola. Ho detto a me stesso che forse c’era qualcosa di speciale. La provvidenza ha spianato la strada: tutto è stato incredibilmente semplice. Quando ho contattato il professor Bottio, mi ha risposto immediatamente. Mi ha detto di fare alcuni esami preliminari e poi di presentarmi a Bari quando fossi pronto. Mi ha colpito la disponibilità e la velocità con cui hanno organizzato tutto».

Com’è andato il ricovero e l’intervento?

«Mi sono ricoverato all’inizio di dicembre, e il 30 dicembre mi hanno trapiantato il cuore. L’intervento è stato complesso e lungo, durato 11 ore, perché oltre al trapianto hanno dovuto rimuovere anche il pacemaker e gestire altre complicazioni. Sono stato l’ultimo paziente trapiantato di cuore del 2024 al Policlinico di Bari. E adesso, a dieci giorni dall’operazione, cammino già in autonomia».

Come si sente oggi, fisicamente?

«Molto bene. I medici mi hanno detto che la forza di iniezione del mio cuore è al 60%, come quella di un ragazzo di 20 anni. È incredibile pensare a quanto fosse grave la mia situazione prima dell’intervento. Mi sento rinato».

Ha parlato della decisione di andare a Bari con la sua famiglia?

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«Sì, assolutamente. Mia moglie, con cui sono sposato da 47 anni, e i miei figli Paolo e Silvia sono stati fondamentali. Abbiamo sempre preso le decisioni insieme, e il loro supporto è stato indispensabile. Non tutti hanno questa fortuna: vedo persone che affrontano tutto da sole, e capisco quanto sia importante avere una famiglia unita».

Spesso ci sono pregiudizi sulle strutture sanitarie del Sud. Lei cosa ne pensa?

«È vero, ci sono tanti pregiudizi, ma sono infondati. Io al Policlinico di Bari ho trovato efficienza e, soprattutto, tanta umanità. Questa è stata una grande sorpresa. Sono vent’anni che giro per ospedali e non ho mai percepito un livello simile di attenzione e cura altrove. Spero che la mia esperienza possa far capire a tutti che ci sono eccellenze inaspettate».

Ha un messaggio finale che vorrebbe condividere?

«Voglio ringraziare la Provvidenza, il professor Bottio, e tutto il team del Policlinico di Bari. Mi sento pugliese anch’io, ormai. Dico a tutti: viva l’Italia! Possiamo superare ogni ostacolo se restiamo uniti».

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10 gennaio 2025 ( modifica il 10 gennaio 2025 | 17:20)

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