Corsa al Riarmo, Politici, Imprenditori, Banche: Quanto Costerà la Difesa in Italia

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Una torta sempre più grande che attira politica, imprenditoria e finanza. Dall‘Ucraina, giunta ormai quasi al terzo anno di invasione russa, al caos mediorientale, fino allo spettro di un vero e proprio conflitto mondiale, la guerra è rientrata a far parte del nostro vocabolario. E la corsa al riarmo fa registrare il più grande record di sempre. Secondo le ultime stime disponibili, nel 2023 il mondo ha speso in armi circa 2443 miliardi di dollari, più di 300 dollari per abitante. E il trend sembra ampiamente confermato anche per il 2024. Un business che parla anche italiano e che, nei prossimi anni, sarà molto probabilmente sostenuto dal nuovo corso del presidente americano eletto, Donald Trump. Da tempo il tycoon insiste perché gli alleati Nato alzino le spese per le difesa. Spese che, nostro Paese, sono già aumentate. 

Dove va Leonardo e chi sono i vertici del colosso della difesa italiana 

Secondo le prime stime dell’osservatorio Milex, la spesa militare italiana nel 2025 supererà i 31 miliardi di euro, un aumento del 7% rispetto al 2024 e addirittura del 60% se guardiamo al 2016. “Ma a crescere è stata soprattutto la spesa per le armi che è passata da 7,3 a 13 miliardi in cinque anni”, spiega a Today.it Francesco Vignarca della “Rete pace e disarmo”. E a beneficiarne sono soprattutto i grandi complessi industriali della difesa che vivono quasi esclusivamente di commesse statali.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

È il caso di Leonardo, azienda partecipata italiana (lo Stato detiene il 30% delle quote azionarie), erede della vecchia Finmeccanica. Con un fatturato che supera i 12,3 miliardi di euro è tra le dodici industrie della difesa più rilevanti al mondo. È attiva in più settori (dall’aeronautica all’elettronica per la difesa, solo per citarne alcuni) ed è guidata oggi da Roberto Cingolani.

Nominato dal Mef come amministratore delegato nel maggio del 2023, Cingolani è stato prima ministro dell’Ambiente per il governo di Mario Draghi e poi consulente dell’energia per il governo di Giorgia Meloni (foto sopra). Secondo il bilancio, reso pubblico da Leonardo, nel 2023 ha guadagnato più di un milione di euro in sette mesi. Il presidente è invece Stefano Pontecorvo, ex ambasciatore italiano in Pakistan, il suo compenso è di circa 250 mila euro l’anno. Nell’aprile del 2024 Pontecorvo (nella foto sotto, il primo a destra con il ministro della Difesa, Guido Crosetto, al centro) si fa fotografare con una maglia di Fratelli  d’Italia in una convention a Pescara e scatena le critiche dell’opposizione.

La politica non manca nelle due omonime fondazioni del gruppo. La Fondazione Leonardo Med-Or ha come presidente Marco Minniti, ex membro del Pci, più volte sottosegretario e ministro dell’Interno del governo di Paolo Gentiloni, mentre nel consiglio d’amministrazione figura il giornalista Pietrangelo Buttafuoco, da sempre vicino alla destra. Nella Fondazione Leonardo troviamo invece un’altra conoscenza della sinistra italiana: Luciano Violante, ex comunista ed ex presidente della Commissione antimafia e della Camera, nonché presidente di Multiversity, come abbiamo raccontato in un’altra inchiesta. 

Le principali aziende della difesa hanno fatto registrare, nel primo trimestre 2024, il più grande margine di profitto nel mercato azionario, attirando l’interesse dei grandi fondi. Leonardo è stata corteggiata dal fondo di investimento americano BlackRock, a cui lo scorso settembre il governo Meloni ha dato il via libera per salire a oltre il 3% delle quote azionarie. “Parliamo di gruppi che sono in grado di fare un’azione di pressione molto forte e direzionare potenzialmente anche le scelte, non sono certo piccoli azionisti”, sottolinea Giorgio Beretta, presidente di Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere). Una scelta inusuale per un governo “sovranista”.

Il nodo delle munizioni e i maggiori investimenti in armamenti 

Di certo in questo campo gli equilibri sono fondamentali. A ottobre 2024 Leonardo ha avviato una partnership strategica con la tedesca Rheinmetall (Rwm) per la costruzione di nuovi carri armati e veicoli per l’esercito italiano. Nel 2023 il governo Meloni aveva autorizzato nuovamente la Rwm Italia (la filiale italiana che produce munizionamento) a fornire bombe all’Arabia Saudita dopo lo stop del Parlamento nel corso del secondo governo di Giuseppe Conte. 

L’anno di snodo è però il 2022. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, anche l’industria bellica italiana partecipa alle commesse militari, mentre in Europa si disegna uno strumento come l’Epf (il fondo europeo per la pace) essenziale nel finanziare Kiev. Ma a servire sono soprattutto munizioni per quella che si trasforma subito in una guerra di trincea: “La guerra in Ucraina ha portato forti introiti alle aziende italiane di munizionamento che nel 2023 hanno registrato commesse record per oltre 890 milioni euro”, osserva Giorgio Beretta. 

Microcredito

per le aziende

 

Ma la torta è grande anche per gli armamenti più pesanti. Secondo una rielaborazione Milex, da dati del documento di programmazione pluriennale del ministero della Difesa e dai decreti di approvazione dei programmi militari votati dal Parlamento, tra i progetti più sostanziosi già avviati ci sono fondi per oltre 7 miliardi di euro per l’acquisto di 24 caccia Eurofighter, dall’omonimo consorzio di cui fanno parte anche Airbus, Bae Systems e Leonardo. Ma anche lo sviluppo di navi caccia torpediniere Ddx, per cui sono previsti finanziamenti di oltre 2 miliardi e mezzo di euro verso Fincantieri. Mentre oltre due miliardi di euro andranno per la realizzazione nuovi veicoli blindati da parte del consorzio Iveco Oto Melara.

Da Elkann a Fincantieri: quando la difesa diventa un affare 

Sì, perché a fare affari con le armi e la difesa ci sono anche aziende che non tutti si aspettano. La parte del gruppo Iveco, destinata alla creazione di veicoli per gli eserciti, fa registrare un fatturato in crescita del 60% dal 2021. Partecipa anche al consorzio Iveco Oto Melara, capofila dell’industria nazionale degli armamenti terrestri. Il gruppo che lo controlla è Exor, lo stesso di Stellantis e l’amministratore delegato è John Elkann (foto sotto). Exor ha investito nel 2021 anche in Rolls Royce, che fornisce motori agli aerei militari di tutto il mondo e che è attivamente coinvolta nella creazione di caccia di ultima generazione, insieme a Leonardo. 

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C’è poi l’altra grande partecipata: Fincantieri. Con un capitale detenuto per il 70% da Cassa depositi e prestiti e oltre 7 miliardi di euro di ricavi nel 2023, è un colosso della cantieristica navale. Negli ultimi anni ha aumentato però la quota di produzioni di navi da guerra: oggi costituiscono il 36% del fatturato totale. L’amministratore delegato è Pierroberto Folgiero, manager nominato dal governo Draghi. Nel 2023 ha percepito uno stipendio di oltre due milioni di euro (compreso di bonus e incentivi). Il presidente è Biagio Mazzotta, ragionere generale dello Stato dal 2019 al 2024. Sono gli anni in cui la bolla del superbonus esplode e molti criticano la sua gestione. Il governo Meloni lo sposta nel 2024 alla presidenza di Fincantieri dove dovrebbe percepire uno stipendio annuo di circa mezzo milione di euro (almeno secondo le stime del 2023 relative al suo predecessore): economicamente è una promozione. 

Ci sono poi antiche imprese familiari che sono ormai multinazionali, come la Beretta. Fondata nel 1526 oggi rifornisce l’esercito italiano e non solo. L’azienda è posseduta da una holding registrata in Lussemburgo ed è molto attiva nell’export. Nel 2018 crea una joint venture per produrre armi in Qatar. “È un accordo pensato soprattutto per vendere prodotti di larga diffusione nel mercato mediorientale come il fucili mitragliatori Arx-160 e Arx-20 e la pistola Beretta 9FS, superando le restrizioni della legge italiana”, osserva il presidente di Opal. Del resto l’export non è cosa semplice.

Così il governo Meloni chiama le banche alle armi 

Le esportazioni di armi delle aziende italiane sono regolate da una legge, la 185 del 1990 che fissa parametri stingenti. Per vendere all’estero è poi necessario un istituto di credito per le transazioni. Le banche infatti forniscono i conti correnti dove passano i bonifici bancari di queste operazioni, ma non solo. Offrono anche liquidità alle aziende della difesa e anticipi importanti per la produzione quando parliamo di commesse militari. Il business? “È dato dagli interessi sulle somme prestate o anticipate, ma può variare dal 3 al 10 percento e anche di più”, commenta Giorgio Beretta. Sulle operazioni bancarie in questo settore ogni anno la Presidenza del Consiglio pubblica una relazione che dà l’idea di quali siano le maggiori banche attive nel settore. Ma le pressioni per cancellare questa lista sono sempre più forti.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

“Si cerca da tempo di spingere le banche a entrare più attivamente nel business delle armi. Il ministro Crosetto ha anche ventilato l’ipotesi di far nascere una nuova banca ad hoc per le armi – spiega Beretta -. Il governo Meloni vuole poi togliere dalla relazione sulla legge 185 del 90 la lista di tutti gli istituti che svolgono queste operazioni, per cercare di contrastare l’azione di pressione e di controllo da parte di cittadini e associazioni”. 

E a spingere sulle banche c’è anche l’Aiad (la Federazione delle aziende per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza). Il suo presidente è Giuseppe Cossiga, figlio dell’ex presidente della Repubblica, ex deputato forzista oggi vicino alla destra meloniana. Del resto nell’Italia della crisi industriale il comparto delle armi è visto sempre più come una risorsa. E la finanza gioca un ruolo decisivo: “Ormai queste aziende sono molto appetibili per i grandi fondi azionari, stiamo assistendo allo stesso processo di finanziarizzazione che abbiamo visto per altri comparti”, sottolinea Francesco Vignarca. Con la piccola differenza che i committenti sono gli stati nazionali e a essere in gioco, oltre ai dividendi, ci sono anche gli equilibri politici internazionali. E con la parola “disarmo” che è tornata a essere, dopo anni, un tabù. 

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