Mafia a Brancaccio, dopo il processo azzerato arrivano 15 condanne in appello

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Non solo pizzo e droga, con l’inchiesta “Maredolce”, che risale ormai al luglio del 2017, era venuta fuori la grande capacità imprenditoriale dei boss di Brancaccio, che si sarebbero lanciati in un affare – apparentemente pulito – su scala nazionale e con incassi milionari legato alla vendita di pallet ed imballaggi industriali. Un’operazione possibile grazie a una serie di prestanome e di società cartiere, come aveva ricostruito la guardia di finanza. Dopo un complesso iter giudiziario – che portò anche alla scarcerazione di diversi imputati – adesso la Corte d’Appello, con due distinte sentenze, ha deciso di infliggere 15 condanne, concedendo a quasi tutti dei piccoli sconti di pena e di dichiarare la prescrizione per una sedicesima imputata.

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Dall’inchiesta erano nati due processi e per entrambi si tratta in realtà di un appello bis, ma per motivi diversi. Il primo era stato azzerato a maggio del 2021 proprio in secondo grado ed era stato necessario ripartire dall’udienza preliminare. Nel nuovo procedimento, a luglio del 2022, erano state inflitte 7 condanne dal gup Rosario Di Gioia, tra cui anche quella a Giovanni Lucchese, detto “Johnny” – nipote di uno dei killer più sanguinari di Cosa nostra, Giuseppe Lucchese alias “Lucchiseddu”, recentemente iscritto nel registro degli indagati per l’omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella, nonché figlio di Nino, boss condannato all’ergastolo – che a un certo aveva deciso di pentirsi e poi aveva cambiato idea.

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Il secondo processo proviene invece dalla Cassazione, che aveva annullato con rinvio 9 condanne, tra cui quella inflitta a Pietro Tagliavia, figlio dell’ergastolano Francesco, tra gli autori delle stragi di via D’Amelio e di Firenze, e ritenuto a capo della cosca di Brancaccio. Per i giudici occorreva verificare se effettivamente l’associazione mafiosa fosse anche armata. E adesso, nell’appello bis, si è stabilito che non lo era.

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Nello specifico, la Corte d’Appello ha inflitto proprio a Lucchese 7 anni (è difeso dall’avvocato Rita Maccagnano, aveva avuto 9 anni e 4 mesi in primo grado e addirittura 17 anni nel processo poi annullato), 5 anni e 4 mesi a Claudio D’Amore (è difeso dagli avvocati Antonio Turrisi e Guido Galipò, aveva avuto 9 anni in primo grado, 17 nel processo annullato), 8 anni a Giuseppe Caserta (ne aveva avuti 10 e anche lui 17 nell’altro procedimento) 12 anni e 9 mesi a Vincenzo Vella (è difeso dall’avvocato Tommaso De Lisi, aveva avuto 16 anni in continuazione con altre condanne in primo grado), 4 anni e 8 mesi a Cosimo Geloso (erano stati 16) e ha confermato un anno per Maurizio Stassi. Per Tiziana Li Causi, che era stata condannata anche lei a un anno, è invece stata dichiarata la prescrizione.

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Con la seconda sentenza, invece, i giudici hanno rivisto al ribasso le pene per tutti: 9 anni e 4 mesi per Tagliavia (già condannato a 14 anni, è difeso dagli avvocati Turrisi e avvocato Angelo Barone), 6 anni per Giuseppe Lo Porto (ne aveva avuti 8), fratello di Giovanni, l’operatore umanitario rapito da Al Qaeda nel 2012, in Pakistan, e ucciso tre anni dopo nel corso di un’operazione antiterrorismo, 8 anni 10 mesi e 20 giorni a Francesco Paolo Clemente, 10 anni a Santo Carlo Di Giuseppe, 8 anni a Giuseppe Michelangelo Di Fatta (tutti e tre ne avevano avuti 12 ciascuno), 15 anni a Giacomo Teresi (ne aveva avuti 18 in continuazione con una precedente condanna per mafia), a Giovanni Vinci 9 anni e 4 mesi al posto di 10 anni, 7 anni e 4 mesi a Giovanni Mangano (è difeso dall’avvocato Edi Gioè, aveva avuto 8 anni in precedenza) e ad Antonino Marino 7 anni 3 mesi e 10 giorni al posto di 7 anni 11 mesi e 10 giorni. Clemente, che è difeso dall’avvocato Luca Cianferoni, nonostante la condanna, è tornato libero per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare. Per quanto riguarda Mangano, invece, la sentenza era in realtà già diventata definitiva perché la Cassazione aveva dichiarato inammissibile il suo ricorso, ma con una specifica istanza alla Corte d’appello l’avvocato Gioè è riuscita ad ottenere l’estensione dell’annullamento anche per lui. 

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L’azzeramento di uno dei tronconi del processo aveva portato anche alla scarcerazione degli imputati. La Corte d’Appello allora aveva recepito una pronuncia della Cassazione: il giudice che aveva rinviato a giudizio gli imputati infatti era in realtà incompatibile perché da gip aveva firmato alcuni decreti di intercettazione. Una questione che alcuni avvocati (Antonio Turrisi, Salvo Priola, Guido Galipò, Corrado Sinatra e Tommaso De Lisi) avevano sollevato sin dall’inizio, ma senza successo. Così si era andati avanti lo stesso ed erano state pure emesse le condanne (pesantissime) di primo grado. Nel primo processo d’appello i difensori riproposero la questione e la Corte dovette azzerare tutto, disponendo anche la scarcerazione per diverse persone.

 



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