L’Ue: “Nel 2023 evasione Iva in forte aumento”. I dubbi sul miglioramento registrato dopo la pandemia: rischio illusione ottica

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Nel 2023 l’evasione dell’Iva, dopo cinque anni in cui le stime la davano in forte calo, ha rialzato la testa. La differenza tra l’imposta attesa in un universo virtuoso in cui tutti pagano il dovuto e il gettito effettivamente raccolto dall’Italia sarebbe salita a 24,2 miliardi. Ben 7,8 miliardi rispetto all’anno prima e 9,5 in più rispetto al 2021. Il pessimo dato arriva dal report “Vat gap in the Eu” pubblicato a dicembre dalla Commissione europea. Le tabelle con le stime preliminari confermano la battuta d’arresto” nel miglioramento della fedeltà fiscale registrata dal ministero dell’Economia nel primo anno pieno di governo Meloni, ma mostrano come il problema riguardi anche altri grandi Paesi europei. Tanto da far sospettare che i buoni dati sul 2020 e 2021 siano stati in qualche modo falsati dallo choc della pandemia.

L’evasione nel 2022 sale, ma sotto i livelli pre Covid – L’imposta sul valore aggiunto vale potenzialmente oltre 1000 miliardi l’anno. È una delle principali fonti di introiti per i governi e contribuisce al bilancio dell’Unione, che quindi tiene sotto stretta osservazione l’andamento del cosiddetto tax gap, cioè il divario tra gli incassi teorici e quelli effettivi, monitorandolo con rapporti annuali. L’ultimo si concentra sui dati relativi al 2022, che si è chiuso a livello europeo con un gap Iva di 89,2 miliardi. È un peggioramento di 13,3 miliardi rispetto all’anno prima, ma la Commissione stessa avverte che il confronto va preso con le pinze perché – come vedremo – c’è un “grado di incertezza” sulle stime relative a 2020 e 2021. Più significativo il confronto con il 2019, prima del Covid, quando le somme evase superavano i 124 miliardi. Il bicchiere dunque è mezzo pieno.
L’Italia, da sempre il Paese con la maggiore evasione Iva tra i 27, stando ai calcoli della Commissione l’ha vista aumentare da 14,7 a 16,3 miliardi. Ma in termini percentuali l’incidenza sull’imposta attesa (che nel 2022 è salita notevolmente insieme al pil) si è ridotta dal 10,87 al 10,55%: poco più della metà rispetto al 2019, quando l’Iva evasa superava i 29 miliardi e il gap, in percentuale, sfiorava il 21%. Anche in Germania, Francia e Spagna l’Iva evasa è cresciuta in valore assoluto. In Belgio è quasi raddoppiata.

L’allarme sul 2023 – A far suonare il campanello d’allarme sono le prime stime provvisorie sul 2023. Parziali visto che per diversi Paesi mancano i dati completi necessari per determinare l’imposta teoricamente incassabile. Per l’Italia si prefigura (vedi tabella sotto) un aumento a 24,2 miliardi dai 16,3 del 2022 e 14,7 del 2021. L’incidenza del tax gap si attesterebbe al 14,7%, con un incremento di oltre 4 punti percentuali sull’anno prima. La conferma di una tendenza emersa già lo scorso autunno da una tabella del Mef inserita nel Piano strutturale di bilancio, pur con una variazione negativa inferiore (la metodologia utilizzata è diversa e in più la Commissione non tiene conto dell’andamento dei crediti Iva). Le tabelle dell’esecutivo Ue mostrano però che si tratta di un problema generalizzato. Tanto che sommando le previsioni disponibili, che riguardano solo 17 Stati, si arriva a un’evasione complessiva di 89,4 miliardi. Superiore a quella calcolata per tutti i 27 sul 2022. Basti dire che in Francia il gap passa da 12,7 miliardi a 21,9, un’esplosione che fa superare di slancio i livelli pre pandemici e gonfia il rapporto con l’Iva potenziale dal 6 al 9,6%. Per la Spagna il gap sale da 4,4 a 7,2 miliardi, il 7,12% dell’Iva potenziale.

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Il calo è stato un’illusione ottica? – Il rapporto non avanza spiegazioni. Si può però ipotizzare che il problema stia a monte. È la Commissione stessa a suggerirlo, notando che a causa delle “condizioni turbolente” attraversate dalle economie europee nel 2020 e 2021 la qualità dei dati per quegli anni è inferiore allo standard, come dimostrano le forti revisioni dei conti nazionali pubblicate in seguito da molti istituti statistici nazionali. I metodi standard potrebbero non aver catturato in maniera adeguata le discontinuità causate dal Covid: l’Iva potenziale in pratica potrebbe esser stata sottostimata a causa della difficoltà di registrare con precisione gli effetti delle norme emergenziali che hanno sospeso i pagamenti o ridotto le aliquote. Ne sarebbe risultata una riduzione del gap in realtà inesistente. Oppure, ipotesi meno dirompente, il calo ci sarebbe stato ma a determinarlo sarebbero stati temporanei cambiamenti nel comportamento dei consumatori: per esempio il maggior ricorso ad acquisti online tracciabili e la riduzione della spesa per servizi in cui il nero è particolarmente diffuso. Con il ritorno alla normalità, l’evasione è tornata a crescere. Un ruolo, stando al report, l’ha poi avuto anche la ripresa delle dichiarazioni di bancarotta – che tende a ridurre la riscossione dell’Iva – dopo il congelamento dovuto alla pandemia. Il rischio, in ogni caso, è che le buone performance registrate nel 2020 e 2021 siano state un’illusione ottica. Ora la realtà riprende il sopravvento e risultati che erano stati dati per acquisiti vanno rimessi in discussione.

“Vat gap in the Eu”, Commissione europea



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