Bene comune, produzione, territorio. La formula dell’attrattività per Diego Mingarelli è una sfida già vinta per le Marche. È nell’ordine delle cose. Torna con la mente agli esordi della sua Diasen, il presidente di Confindustria Ancona: «Era il 2000, oggi si definirebbe una start up. Era l’evoluzione green dell’azienda di famiglia: solventi».
Con le sue biomalte fonoassorbenti al sughero, ha creato a Sassoferrato la bioedilizia. Intuì che il futuro era nella transizione ecologica?
«Allora fu una scelta generata dalla volontà di distinguerci, utilizzando prodotti naturali, restando legati alle nostre radici».
Dia seguito a questa storia che l’ha reso leader nel mondo.
«Dieci anni dopo, nel 2010, ci aprimmo alle piazze estere: compresi che quella decisione rispondeva alle richieste degli architetti internazionali. Avevamo generato una nicchia».
Da leader degli industriali, allarghi lo spettro della sua percezione, fino a farsi modello.
«Preferirei definirmi un riferimento per le imprese che ho l’onore di rappresentare. La sostenibilità, in tutte le sue sfaccettature, è uno dei temi che mi sta a cuore, è uno dei punti chiave dell’agenda del mio programma confindustriale. Ritengo che sia un’occasione per le aziende della nostra manifattura, anche per le più piccole, che mi impegno a sostenere in questo percorso di rinnovamento profondo».
Per dimostrare l’impellenza della trasformazione green, parta da un assunto.
«I prodotti devono avere l’anima».
Cioè?
«Vale sempre la formula dell’attrattività, che lega, stretti, bene comune, produzione, territorio».
La dimensione non fa la differenza?
«No. Una micro-fabbrica deve rispondere ai requisiti di chi è a capo della filiera, che ormai pretende questo slancio di innovazione; chi ha un proprio brand deve assecondare le richieste del mercato. Che sono identiche».
Il suo motto è di facile deduzione: adeguarsi, e subito.
«Motivo per cui tra i punti del mio programma ho inserito quello sulla necessità della rivoluzione delle competenze. Serve un moto di modernità per intercettare i bisogni della domanda globale».
I prodotti con l’anima, giusto?
«Esatto, e per centrare l’obiettivo ho proposto la strategia delle 3T: territorio, tecnologie, talenti. Per rilanciare una regione in difficoltà non serve ricorrere a esperienze d’importazione, è sufficiente valorizzare la manifattura diffusa, che è lo spirito del luogo. Per riuscirci, lavoreremo su nuove filiere, tenendo insieme comunità e impresa. Armonizzando».
Andrebbe aggiunto un elemento: mai senza la formazione.
«È questo il senso della rivoluzione delle competenze, ovvero dobbiamo accompagnare in questa fase di metamorfosi gli imprenditori e coloro che si vogliono impegnare a compierla».
Il suo appello potrebbe essere adottato come manifesto di sostegno alle crisi, quelle della Beko e delle cartiere stanno piegando di nuovo la sua Fabriano.
«Siamo già in azione, per offrire un aiuto concreto, una ricollocazione, a chi rischia di rimanere tagliato fuori. La transizione ecologica è un valido alleato».
Dove colloca le Marche in questa avanzata, in direzione futuro?
«Abbiamo punte di eccellenza e realtà minori, che hanno più difficoltà ad agganciarla».
Azzardi una media tra le due posizioni estreme.
«Ci sono grandi possibilità di recupero. Il mio impegno sarà rivolto a rafforzare le filiere, lo ribadisco, facendo leva sulla formazione».
La sua priorità?
«Ho proposto a tutte le territoriali di Confindustria di organizzare, per la prima volta, le assise delle Marche: saranno un momento di grande riflessione e di ascolto di tutti gli imprenditori, di ogni angolo della regione».
Il traguardo?
«Arrivare, al termine del percorso, a redarre un nostro documento programmatico da presentare in occasione delle prossime elezioni regionali. È la mia ambizione».
La reazione? Ha ottenuto il “visto si stampi”?
«Il nostro presidente regionale Roberto Cardinali è d’accordo. Direi proprio di sì».
Il suo è un procedere nel segno della compattezza. È favorevole o contrario all’unificazione delle cinque associazioni provinciali?
«È sempre stata la mia convinzione, diventare un unicum. Comunque non ho mai amato i proclami, sono per i fatti. Come le assise delle Marche».
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