Stati: la loro fragilità e la complessità dei conflitti interni. Un’analisi sul cosiddetto modello libico-libanese

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Di Giuseppe Gagliano

ROMA. Nel panorama geopolitico contemporaneo, la fragilità degli Stati e la complessità dei conflitti interni delineano nuovi modelli di instabilità, in cui il caos non è un’eccezione ma una condizione strutturale.

Il cosiddetto modello libico-libanese, derivato dall’osservazione di due contesti emblematici come la Libia post-Gheddafi e il Libano moderno, illustra con precisione come il disordine possa trasformarsi in un sistema di potere alternativo.

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Muammar Qaddafi, (U.S. Navy photo by Mass Communication Specialist 2nd Class Jesse B. Awalt/Released)

Un modello per comprendere le nuove configurazioni del potere

Questo modello offre una chiave di lettura per comprendere le nuove configurazioni del potere mondiale, caratterizzate da frammentazione territoriale, influenza multilaterale e conflitti a bassa intensità che sembrano perpetuarsi nel tempo. Analizzare le dinamiche di questo modello non significa solo comprendere i contesti da cui nasce, ma anche anticipare il futuro delle crisi in un sistema internazionale sempre più frammentato.

Il modello libico-libanese: un sistema basato sul disordine

Un modello geopolitico libico-libanese rappresenta la sintesi perfetta di uno scenario internazionale in cui il disordine non è un fallimento del sistema, ma il sistema stesso.

Questo modello, che prende il nome da due contesti emblematici, si caratterizza per la frammentazione della sovranità statale, la molteplicità degli attori coinvolti e l’intreccio di interessi locali e globali, che rendono la stabilità illusoria e il conflitto costante. Non si tratta di un’anomalia, ma di una configurazione sempre più frequente, in cui la centralità degli Stati è erosa a favore di dinamiche ibride e decentralizzate.

La crisi dello Stato centrale

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Nel modello libico-libanese, lo Stato centrale diventa una struttura vuota, incapace di esercitare un controllo reale sul territorio o di rappresentare efficacemente i propri cittadini.

Questo vuoto non è casuale, ma è il risultato di conflitti interni che frammentano il tessuto politico e sociale, spesso lungo linee etniche, tribali o religiose.

In Libia, ad esempio, il Paese è oggi una mosaico di poteri locali, in cui le istituzioni centrali di Tripoli hanno un controllo limitato, mentre milizie e signori della guerra gestiscono autonomamente risorse e popolazioni. Allo stesso modo, il Libano è intrappolato in un sistema di potere confessionale che frammenta la politica nazionale in una serie di feudi gestiti da leader comunitari.

Il ruolo delle potenze esterne

Questo scenario è ulteriormente complicato dall’intervento di potenze esterne, che non cercano di risolvere i conflitti, ma di trarne vantaggio.

In Libia, Paesi come Turchia, Russia, Emirati Arabi Uniti e Francia si contendono l’influenza sostenendo diverse fazioni locali, trasformando il Paese in un teatro di guerra per procura.

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Militanti di Hezbollah marciano sulle bandiere di Israele

 

In Libano, l’Iran esercita un’influenza significativa attraverso Hezbollah, mentre altri attori regionali cercano di contrastare questa presenza per difendere i propri interessi.

La competizione internazionale non mira alla stabilità, ma al mantenimento di un equilibrio instabile che garantisca alle potenze esterne un costante potere di leva sulle dinamiche locali.

La trasformazione dell’economia

Un altro aspetto centrale del modello libico-libanese è la trasformazione dell’economia.

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In questi contesti, le economie tradizionali sono sostituite da un’economia di guerra, in cui il contrabbando, il controllo delle risorse naturali e i flussi finanziari esterni diventano le principali fonti di sostentamento per le fazioni in lotta.

Il petrolio libico, ad esempio, non è solo una risorsa economica ma un’arma politica, gestita da chi ha il controllo militare dei giacimenti e delle infrastrutture.

Allo stesso modo, in Libano, la gestione degli aiuti internazionali e il sistema bancario paralizzato sono diventati strumenti nelle mani delle élite politiche e confessionali per mantenere il proprio potere.

Il petrolio libico non è solo una risorsa economica ma un’arma politica

Un conflitto perpetuo come sistema di governance

Il modello libico-libanese non produce guerre che si concludono con una vittoria o una sconfitta, ma conflitti a bassa intensità che si perpetuano nel tempo. In questo scenario, il conflitto diventa un sistema di governance informale, in cui ogni attore, interno o esterno, ha un ruolo e un interesse specifico nel mantenere lo status quo.

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La stabilità, nel senso tradizionale, non è un obiettivo ma una minaccia per questo sistema radicato.

Una struttura emergente per il futuro

La vera singolarità di questo modello risiede nella sua capacità di adattarsi e riprodursi in diversi contesti. La Siria, ad esempio, assomiglia sempre più a questo schema, con un governo centrale formalmente al potere ma incapace di controllare il Paese, mentre milizie, gruppi etnici e potenze esterne definiscono le dinamiche sul campo.

Persino l’Ucraina, in caso di una pace negoziata senza un reale controllo del territorio, potrebbe evolvere verso una configurazione simile, con frammentazione interna e una forte influenza esterna.

Conclusione

Il modello libico-libanese non è solo una fotografia del disordine, ma una struttura politica e sociale emergente che ridefinisce il significato di sovranità e conflitto.

In un mondo in cui le potenze tradizionali si affrontano indirettamente e gli Stati faticano a mantenere il controllo del loro territorio, questo modello potrebbe rappresentare non un’eccezione, ma la regola del futuro. Interpretarlo non significa solo comprenderne le dinamiche, ma prepararsi a un mondo in cui il conflitto non sarà più un incidente da risolvere, ma un metodo di governance.

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