Giustizia contabile, botta e risposta coi magistrati della Corte dei conti

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Al direttore – In relazione all’articolo pubblicato sul Foglio del 3 gennaio 2025, intitolato “Corte dei disastri: le vittime silenziose dei magistrati contabili”, a firma di Chicco Testa, si trova costretta a precisare quanto segue. 

 
La responsabilità amministrativa è imputabile a titolo di dolo e di colpa grave e, nel caso di specie, i giudici contabili hanno confermato la sussistenza della colpa grave a fronte di un atto transattivo concluso in palese violazione di legge e di una prospettazione accusatoria fondata sul dolo, a tutto vantaggio dei convenuti;

non ci sono “vittime” dei magistrati contabili, semmai pubblici amministratori e funzionari che hanno agito in danno della collettività, procedendo al pagamento di somme iscritte a “riserva” nell’ambito di appalti pubblici affidati a un general contractor, in assenza dei relativi presupposti e, di conseguenza, violando, in maniera macroscopica, precipui obblighi di servizio a tutela del corretto utilizzo delle risorse pubbliche;  

⁠⁠la quota di responsabilità addebitabile al magistrato contabile che ha preso parte alla commissione paritetica, di cui si contesta il mancato coinvolgimento nel giudizio, è stata scorporata dalla somma posta a carico dei soggetti convenuti e riconosciuti come colpevoli, tenendo conto dell’apporto causale alla consumazione del fatto illecito;

quanto al procuratore Crea, all’epoca delle indagini non era affatto a “capo della potente” procura romana, nella quale ricopriva solo il ruolo di viceprocuratore al pari di tanti altri in servizio: la sua promozione a procuratore regionale in Veneto è avvenuta solo di recente e in ragione dell’anzianità di ruolo e dell’esperienza maturata;

infine, la non impugnabilità delle sentenze della Corte dei conti e del Consiglio di stato dinanzi ai giudici di legittimità è sancita dalla Costituzione (art. 111, ul.c.). – sottolineiamo inoltre che il rinvio a giudizi negativi che avrebbe espresso sulla Corte dei conti il presidente Romano Prodi non trova alcun riscontro pubblico.

 

Conclusivamente la vicenda processuale dimostra che, al contrario di quanto sembra desumersi dall’articolo, la giustizia contabile funziona: non solo perché restituisce alla comunità quella parte di risorse sprecate o versate in assenza di una causa giustificativa, ma anche perché ha al suo interno magistrati giudicanti che, nel prudente apprezzamento dei fatti e delle prove, riconoscono le responsabilità soltanto in capo ai soggetti che effettivamente hanno, con grave negligenza, sperperato denaro pubblico. L’Associazione magistrati della Corte dei conti (Amcc), pur nel rispetto dell’amarezza che deve aver mosso l’autore al termine di una vicenda processuale che lo ha visto coinvolto come possibile corresponsabile, non può che esprimere rammarico per i toni usati e per il discredito che ancora una volta si tenta di gettare su colleghi che, nel pieno e legittimo esercizio delle rispettive funzioni, rendono un servizio alla collettività. 

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L’Associazione magistrati della Corte dei conti

 
Risponde Chicco Testa. La transazione che secondo l’ Associazione magistrati della Corte dei conti sarebbe avvenuta “violando in maniera macroscopica precipui obblighi di servizio” era stata autorizzata, come ho scritto, da tre diversi Cda di Roma Metropolitane, da diverse avvocature comunali di tre sindaci diversi (Veltroni, Alemanno, Marino), dall’Avvocatura della regione Lazio, dall’Avvocatura dello stato, dal Cipe. A chi altri andava chiesta l’autorizzazione? Al Padreterno? Dove starebbe la colpa grave?

 

Il linguaggio oscuro non riesce poi a nascondere il fatto che oltre a quanto già detto la commissione che decise l’ammontare della transazione aveva come componente di garanzia con voto dirimente, una magistrata della stessa Corte che naturalmente non è mai andata a giudizio. La magistrata in questione fu nominata con delibera del presidente della Corte, in cui si fa riferimento alle sue “alte competenze” in materia di contratti, ha partecipato a tutte le riunioni e ha firmato il verbale d’accordo conclusivo con la proposta di transazione, ritenendola equa. Non pensando evidentemente di stare violando la legge. Ma se non lo sapeva lei come potevano saperlo o immaginarlo gli altri componenti invece condannati? Ma non sarebbe stato sufficiente un po’ di buon senso per rendersi conto che non c’è stata colpa, tanto meno grave da parte di nessuno? Ma evidentemente il buon senso non sta di casa alla Corte.

 

Inoltre non ho scritto che il procuratore Crea “era a quel tempo a capo della procura romana”, ma che nonostante il palese fallimento della sua inchiesta è stato promosso. Ho infatti sotto gli occhi la relazione della procura del Lazio resa in apertura dell’anno giudiziario 2024 presentata e sottoscritta dal dott. Crea, procuratore regionale facente funzione. Che poi egli  sia andato in Veneto e che questo sia avvenuto per anzianità di servizio, non certo per meriti acquisiti, aggiunge e non toglie. 

  
Infine che un processo, anzi per la verità erano due, ma uno fu abbandonato dopo poco, sia durato 10 anni con spese enormi e spreco di tempo da parte della stessa Corte e di tutti gli imputati abbia alla fine “recuperati” sulle spalle di alcuni poveri cristi, colpevoli solo di avere fatto il loro dovere, la cifra di 3 milioni, il 2 per cento di quanto richiesto, non mi  sembra una restituzione alla collettività, ma solo un gigantesco fallimento della procura.

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Quanto a Prodi è storia nota che durante la sua presidenza e con il lavoro di Franco Bassanini, allora ministro della Funzione pubblica, si cercò di introdurre qualche correttivo al funzionamento e alla composizione della Corte, improntato a un astratto e controproducente formalismo. Purtroppo con limitato successo. Se si vuole sono disposto a portare in tribunale le prove della frase di Prodi.





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