Che cosa resta di Charlie Hebdo dieci anni dopo l’attentato

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Nel 2025 il nome di Charlie Hebdo resta indimenticabile, ancora tristemente legato all’attentato che provocò la morte di dodici persone, di cui otto membri della redazione. Sono passati dieci anni dalla mattina del 7 gennaio 2015, quando Chérif e Saïd Kouachi entrano nella sede del giornale satirico francese, situata nell’undicesimo arrondissement di Parigi, mascherati e armati di AK-47. Dichiarandosi affiliati di Al-Qaeda, i fratelli Kouachi aprono il fuoco nella redazione, che aveva precedentemente pubblicato alcune caricature di Maometto. Non è la prima volta che Charlie Hebdo subisce minacce a causa delle sue vignette satiriche. Nel 2011 la sede viene distrutta dal lancio di bombe molotov, ma quello di gennaio 2015 è il più grande attentato che colpisce il Paese negli anni Duemila (poi superato in numero di morti dagli attentati di Parigi di novembre 2015 e dalla strage di Nizza del 2016). L’edizione numero 1178 di Charlie Hebdo esce il 14 gennaio 2015, chiamata anche “l’edizione dei superstiti”. In prima pagina di nuovo una vignetta di Maometto che mostra un cartello “Je suis Charlie”, letteralmente “Sono Charlie”, lo slogan nato in sostegno al giornale in seguito all’attacco terroristico. Dieci anni dopo il 7 gennaio 2015, cosa resta dell’attentato che ha sconvolto la Francia e, in particolare, il mondo del giornalismo?

Se oggi si cammina in Rue Nicolas Appert, dove si situava la vecchia redazione, all’angolo della strada è presente un’opera d’arte che rappresenta le vittime dell’attentato, davanti alla scritta “je suis Charlie”, mentre una targa di fianco al civico 10 (il vecchio ingresso della redazione) rinomina la via “place de la liberté d’expression”, cioè piazza della libertà di espressione. E la libertà di espressione è figlia diretta del 7 gennaio 2015: l’attentato a Charlie Hebdo ha infatti spinto la società a chiedersi se esistano limiti alla libertà di satira in particolare e di espressione in generale.

Charlie Hebdo ha sempre ironizzato su tutti e tutto, dalla politica, alla religione, alla cronaca: «Né Dio né padrone», era il motto dei fondatori del settimanale. La libertà d’espressione è in effetti storicamente molto cara ai francesi, eredità della rivoluzione e diritto inalienabile. Questa libertà non è però assoluta, ma regolata dalla legge. Il diritto francese limita certi usi della libertà d’espressione, quali diffamazione o calunnia, insulti o incitamento all’odio o alla violenza. Proprio sull’incitamento all’odio si concentra chi non giustifica un uso assoluto della libertà di espressione: una parte dell’opinione pubblica sostiene che un uso satirico di figure religiose (quali il profeta Maometto) possa essere offensivo e discriminante verso i credenti musulmani e che possa così spingere all’odio verso questa religione.

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Il dibattito è molto ampio e oggi si fonde inevitabilmente al tema del diritto alla blasfemia, soprattutto dopo l’uccisione di Samuel Paty, professore di storia e geografia decapitato nel 2020 dopo che aveva mostrato in classe delle vignette satiriche di Maometto su Charlie Hebdo. La Francia è stata il primo Paese ad abolire il reato di blasfemia, nel 1881: nel Paese è possibile criticare, insultare addirittura, una religione, ma non i suoi credenti. Gérard Biard, direttore di Charlie Hebdo, ha detto ai microfoni di France Inter che «la blasfemia non significa insultare i credenti, ma contestare il potere di dio».

Si può quindi oggi parlare apertamente della religione? E, in particolare, si può ridere della religione? Questo è il tema che scalda l’opinione pubblica. «Noi disegniamo e la blasfemia non è un delitto in Francia», dice Coco, disegnatrice di Charlie Hebdo, interrogata a proposito della sua reazione davanti alla morte di Samuel Paty. «Non ci aspettiamo azioni del genere». Il tema scinde la società francese in due gruppi contrapposti. Da una parte i sostenitori della libertà di espressione e del diritto al blasfemo in modo assoluto, dall’altra chi sostiene che esistano dei limiti, per evitare di creare risposte violente.

La libertà di espressione e il diritto alla blasfemia sono temi facenti parte di un dibattito ancora più grande, che va a toccare uno dei pilastri dello stato francese: la laicità. La Francia è laica dall’inizio del Novecento, Stato e Chiesa sono cioè separati, ed è difficile capire dall’esterno l’importanza che ha nel Paese questo principio. In un passato in cui solo il cattolicesimo era permesso, la laicità ha consentito ad altre religioni di esistere e, soprattutto, ha reso i credenti (e i non credenti) uguali davanti alla legge. La laicità è, per dirlo diversamente, uno dei pilastri su cui si basa l’égalité, uno dei fondamenti della Repubblica francese.

Oggi, dopo Charlie Hebdo e gli attacchi terroristici che l’hanno succeduto, questo pilastro è messo in discussione. Per la prima volta dalla sua istituzione, l’opinione pubblica francese si chiede se la laicità non sia diventata obsoleta. Amélie Chelly, sociologa, ricercatrice e insegnante, ha detto ai microfoni di Arte che «la laicità non è più data per scontata. Trenta o quaranta anni fa non ci ponevamo la questione», mentre oggi «dobbiamo ridefinire la laicità».

Un grande problema è che questo principio è spesso percepito come coercitivo e discriminante. La laicità in Francia permette la libera pratica di ogni tipo di religione nella sfera privata, ma questa non è sempre garantita nella sfera pubblica. Da qui sono nate leggi, riguardanti soprattutto l’abbigliamento, che limitano l’espressione della religione di un individuo in pubblico. A scuola, per esempio, la legge 2004-228 vieta d’indossare simboli o indumenti religiosi nelle scuole e negli istituti statali, mentre più recentemente l’ex ministra dello Sport Amélie Oudéa-Castéra ha vietato alle atlete francesi di indossare il velo (omologato) durante le Olimpiadi di Parigi (che invece era permesso ad atlete di altre nazionalità).

La questione del velo delle donne musulmane è l’emblema di un ulteriore dibattito, che si è particolarmente inasprito dopo gli attentati del 2015: la percezione dei cittadini musulmani. Nei pochi giorni dopo Charlie Hebdo, l’Osservatorio contro l’islamofobia ha recensito una cinquantina di atti islamofobi. Spesso strumentalizzato dalla politica, il dibattito sull’islamofobia è sempre di attualità in Francia. Bisogna sottolineare che non è strettamente e unicamente legato al solo Charlie Hebdo ma che, come dopo gli attentati dell’11 settembre, si assiste ad un aumento generalizzato dell’odio verso i musulmani dopo ogni attentato che tocca il Paese. Nel 2015, Abdallah Zekri, presidente dell’Osservatorio contro l’islamofobia del Consiglio francese del culto musulmano (CFCM), aveva dichiarato che i musulmani sono «in trappola, tra coloro che uccidono in nome dell’Islam e gli estremisti che vogliono sfogare la loro rabbia sui musulmani e riversare su di loro la loro retorica stigmatizzante».



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