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La conferma dell’integralista religioso Mike Johnson a presidente della Camera è stato un importante tassello nel consolidamento del potere di Donald Trump, la cui rielezione verrà ufficialmente ratificata dal Congresso nella seduta plenaria di domani. È l’ultimo atto rituale prima del secondo mandato Trump che avrà inizio a mezzogiorno del 20 gennaio con la cerimonia di insediamento.
TRUMP ASSUMERÀ la carica in una posizione egemonica che, oltre alla Casa bianca, vede in mano repubblicana anche Camera, senato e Corte suprema. Alla Camera, però, il Gop ha una maggioranza risicatissima di appena 219 a 215 rappresentanti e la fragilità del consenso repubblicano è subito stata evidente con la mini fronda inscenata da una manciata di oltranzisti Maga che hanno votato presente o, nel caso di tre parlamentari, contro Johnson. La rivolta ha scatenato intense negoziazioni e solo l’apparente intervento dello stesso Trump ha indotto i recalcitranti a “rivedere” il proprio veto (che rischiava di gettare nel caos anche la ratifica dell’elezione).
La vicenda ha riaperto una pratica dolorosa per il partito di governo che da tempo ha difficoltà a tenere ordine nei ranghi, specie quando si tratta di esprimere un capogruppo. Due ani fa ci vollero 15 votazioni per confermare il precedente speaker, Kevin McCarthy. McCarthy non durò che pochi mesi prima di venire sfiduciato dall’ala trumpista e ci vollero tre settimane poi per eleggere Johnson. Quest’ultimo, come si è visto venerdì, non è certo immune dalle ribellioni oltranziste, ne dai volubili umori dello stesso Trump, portato ad alternare elogi ed insulti con scarsa prevedibilità.
JOHNSON è teoricamente membro della cerchia interna, ospite fisso a Mar a Lago (perfino onorato commensale all’immortalato pasto di McDonalds sull’aereo di Trump assieme a Elon Musk). Nemmeno questo ha impedito, però, che il presidente entrante lo criticasse apertamente per essere stato troppo conciliante coi dem sulla spesa pubblica.
Con un margine di appena una manciata di voti ed un presidente notoriamente irascibile, il compito legislativo di Johnson si fa insomma già in salita. La Camera sarà infatti chiamata a ratificare le iniziative dell’agenda Trump, a partire da nuovi tagli alle tasse di ceti abbienti e corporation, e poi a tentare di tappare la voragine di 5.000 miliardi che questi promettono di procurare all’erario.
A QUESTO SCOPO, sollecitato dal Doge di Elon Musk, il Congresso potrebbe prendere di mira spesa sociale, incentivi alla conversione energetica, programmi di istruzione pubblica ed assistenza alle famiglie – una tabella destinata ad obliterare le reti sociali per pagare gli sconti ai ricchi.
Trump ha poi promesso «spinta al massimo» sullo sfruttamento degli idrocarburi, secondo la politica riassunta in drill baby drill. Alle trivelle, su richiesta dei grandi produttori che hanno lautamente investito nella campagna del neo presidente, dovrebbero essere aperti terreni demaniali, aree protette, riserve indiane, con specifico e ostentato sprezzo di ambiente e conversione energetica. Trump ha spesso ripetuto che in un’America libera, infine, dal giogo burocratico e normativo dell’«estrema sinistra», crollerebbero di conseguenza i prezzi della benzina. (Nel mondo reale gli Stati uniti sono già una superpotenza petrolifera, primi produttori di petrolio e, ora che la concorrenza russa verso l’Europa è stata “neutralizzata”, primi esportatori di gas naturale).
VI È POI LA PRATICA dei dazi, invocati con la frequenza di un incantesimo quali toccasana che il solo Trump avrebbe l’audacia e la lungimiranza di applicare «a tutti i paesi», di modo «che siano questi a finanziare la crescita americana». Una ricetta dubbia, a detta degli economisti, ma come in ogni ambito, sarà la narrazione a prevalere su risultati effettivi delle politiche che si preannunciano, anche in questa amministrazione, occasionalmente estemporanee, a volte improvvisate, ma sempre col comune denominatore di recare benefici all’oligarchia.
Anche questa volta la ratifica dell’elezione avverrà nella fatidica data del 6 gennaio che è anche quarta ricorrenza della tentata sovversione dell’ordine democratico dall’uomo che si appresta ad assumere nuovamente le leve del comando del paese più potente del mondo. Un altro promemoria della sua vocazione all’extralegalità, c’è stato venerdì, con l’annuncio che il 10 gennaio il presidente in pectore riceverà una condanna per il processo di New York in cui è stato trovato colpevole di pagamenti per insabbiare la propria relazione con una pornostar. Anche se è esclusa una pena detentiva, la sentenza del giudice Merchan servirà da ricordo del caos dell’era Trump, in cui il paese si appresta a rientrare.
PROMEMORIA della violenza pervasiva, e della insidiosa angoscia, che Trump ha saputo iniettare nella società americana, sono invece stati i messaggi trovati sul telefono dell’uomo che si è fatto esplodere in un furgone Tesla davanti al Trump Hotel di Las Vegas la notte di capodanno. Matthew Livelsberger, ex soldato dei servizi speciali, affetto da sindrome post traumatica, ha scritto di essere un sostenitore di Trump ma che intendeva «dare la sveglia» al paese e ricordare agli Americani che per «cacciare i democratici dal governo e dall’esercito» è giusto lottare pacificamente ma, ha aggiunto citando la retorica di Trump, se necessario «occorre combattere con ogni mezzo» per salvare il paese vicino «al collasso».
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