Erano i primi del Novecento e Salvatore, un giovane di appena diciotto anni, era il primogenito di una famiglia numerosa, composta da undici fratelli. La povertà e le difficoltà della sua famiglia lo avevano costretto a lasciare presto la scuola per dedicarsi al lavoro e contribuire al sostentamento dei suoi cari. Nonostante avesse frequentato poco la scuola, Salvatore possedeva una passione nascosta e profonda per la lettura e la scrittura. Nelle poche ore libere che riusciva a ritagliarsi, si divertiva a scrivere sonetti e poesie in siciliano, trovando conforto nella bellezza delle parole. La sua figura, robusta e di statura media, era quella di un lavoratore esperto, con la pelle scura baciata dal sole, il viso scavato dalle fatiche e dai sacrifici. Accanto a lui, inseparabile, c’era sempre il suo fedele asinello, “Carusu,” un compagno di viaggio e di vita.
Un pomeriggio del mese di marzo, Salvatore partì con Carusu e il suo carretto per un lungo viaggio verso la zona di Tenutella, vicino al castello di Falconara. Doveva lavorare in quella zona per qualche giorno, e sapeva che sarebbe dovuto partire con un giorno di anticipo per poter cominciare il lavoro all’alba. Il tragitto era lungo, e così Salvatore si preparò mentalmente alla fatica, ma con il cuore leggero, come sempre, affrontava le giornate. Con sé, aveva portato solo il necessario: un po’ di pane, qualche pezzo di pecorino e una fiaschetta di vino rosso che sua madre gli aveva preparato, insieme a una cena povera ma sostanziosa di fave pizzicate con l’aglio.
La sera era calata dolcemente su quella campagna silenziosa quando Salvatore, giunto a Tenutella, scorse sulla collina un vecchio casale arroccato. Decise di fermarsi lì per la notte. Entrò nel baglio di quella costruzione deserta, e trovò un angolo riparato dove poter far riposare Carusu. Dopo aver coperto l’asinello con una vecchia coperta, si sedette su una pietra, prese la sua semplice cena e cominciò a mangiare, gustando il cibo con quella gratitudine che solo chi lavora la terra conosce. Il vino lo scaldava mentre la stanchezza lo avvolgeva lentamente, e così, appoggiandosi al carretto, crollò in un sonno profondo.
Fu nel cuore della notte che un rumore sordo lo svegliò bruscamente. Un’ombra misteriosa si stava avvicinando a lui, e una voce profonda, quasi sussurrata, lo chiamò per nome: “Turí, è da tanto tempo che ti aspettiamo. Finalmente il destino ti ha condotto a noi.” Salvatore si alzò di scatto, il cuore che batteva forte nel petto. Davanti a lui c’era un uomo avvolto in un lungo mantello, con un viso serio e pallido, gli occhi vuoti come la notte. “Chi siete?” chiese il giovane, con la voce rotta dal timore. “Perché mi aspettavate?”
L’uomo, senza scomporsi, gli rispose: “Noi siamo sette anime di cavalieri, condannati a vagare in questo luogo per l’eternità. In vita, fummo vittime di un agguato da parte dei saraceni, e una maledizione ci ha intrappolati qui, senza possibilità di redenzione. Tu, Salvatore, sei l’unico che può liberarci. Solo tu puoi spezzare l’incantesimo e darci pace. Se lo farai, in cambio, avrai in dono ricchezze e gioielli oltre ogni immaginazione.”
Salvatore rimase senza parole. Era come vivere in una delle favole che raccontava ai suoi fratellini prima di dormire. Il cuore gli diceva di fuggire, ma la mente curiosa e la speranza di poter migliorare la sua vita lo fecero restare. “Cosa devo fare?” chiese, cercando di mantenere la calma. Il cavaliere gli spiegò che il giorno in cui si sarebbe sposato, avrebbe dovuto tornare in quel baglio per consumare il matrimonio, ma solo dopo aver mangiato sette fegati. “I fegati devono appartenere a sette fratelli,” concluse l’uomo, fissandolo con occhi cupi.
Passarono alcuni anni. Salvatore mantenne quel segreto nel profondo del cuore, senza parlarne con nessuno. Nel frattempo, aveva trovato una giovane donna di cui si era innamorato, e i preparativi per il matrimonio erano ormai alle porte. Ricordandosi della promessa fatta al cavaliere, Salvatore chiese a sua madre di mettere ventuno uova sotto una chioccia. Le uova si schiusero, e nacquero tanti piccoli galli e galline. Il giorno del matrimonio, Salvatore chiese a sua madre di uccidere sette di quei galli, ma di lasciarli intatti, senza neanche togliere le interiora.
Dopo la cerimonia, Salvatore e sua moglie partirono con Carusu e il carretto verso Tenutella, portando con sé i galli. Arrivati al vecchio casale, accesero un fuoco e consumarono il loro primo pasto da marito e moglie. Poi, Salvatore prese i sette galli, li macellò e arrostì i loro fegati. Appena terminato il pasto, una luce abbagliante illuminò il baglio e i sette cavalieri apparvero davanti a loro. L’uomo con il mantello si avvicinò a Salvatore e gli disse: “Hai dimostrato astuzia e saggezza, scegliendo di sacrificare sette galli invece dei tuoi fratelli. Ora, come promesso, riceverai le nostre ricompense.”
Il primo cavaliere si avvicinò a Carusu e, con un gesto delle mani, disse: “Il tuo asinello vivrà per sempre. Sarà al tuo fianco in ogni momento, instancabile e immortale.”
Il secondo cavaliere consegnò a Salvatore un borsello di cuoio. “Questo è pieno di marenghi d’oro. Ogni volta che ne prenderai uno, un altro apparirà al suo posto. Non conoscerai mai più la povertà.”
Il terzo cavaliere gli donò un anello d’argento, dicendogli: “Finché indosserai questo anello, nessuna malattia ti colpirà.”
Il quarto cavaliere gli diede un’antica pergamena: “Questa pergamena ti garantirà il rispetto e la benevolenza di chiunque la leggerà. In qualsiasi città tu andrai, sarai sempre il benvenuto.”
Il quinto cavaliere gli consegnò una piccola chiave d’oro. “Questa chiave apre tutte le porte del mondo. Quando ne avrai bisogno, saprai dove cercare.”
Il sesto cavaliere regalò a Salvatore una giara d’acqua incantata: “Questa giara non si svuoterà mai, e l’acqua che contiene guarisce ogni ferita e malattia.”
Infine, il settimo cavaliere si avvicinò con un pugnale, corto e affilato, forgiato in un metallo lucente. “Con questo pugnale potrai proteggere te stesso e chi ami. È indistruttibile, e il suo potere è leggendario.”
Salvatore guardò i sette cavalieri, incapace di parlare, sopraffatto dalla gratitudine e dall’incredulità e mentre l’ultima luce dei cavalieri svaniva nell’aria, Salvatore rimase immobile, stringendo la mano della sua giovane sposa.
I doni ricevuti non erano solo segni di ricchezza, ma di saggezza, forza e immortalità, più preziosi di qualunque oro. Guardò il suo fidato Carusu, che brucava pacifico, e capì che la vita non sarebbe mai stata più la stessa.
La notte era tornata silenziosa, come se nulla fosse accaduto, ma nei suoi occhi brillava il segreto di una verità che nessuno avrebbe mai saputo. Il baglio, antico e misterioso, li accolse come custodi di una leggenda destinata a sopravvivere ai secoli.
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