La magia e altri incantesimi: un business da 8,5 miliardi di euro

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La magia è molto umana. Non c’è niente di più tipico dell’uomo che aspirare a non esserlo, ad avere poteri soprannaturali.Da millenni la prospettiva ci incanta, e da millenni la proiettiamo infarcendo letteratura, miti, saghe, sequel e reboot di stregoni, negromanti e fattucchiere. Creature effimere ma ben delineate, perché fin da bambini abbiamo imparato a collocarle, grossolanamente, in due squadre: da una parte le forze del bene e dall’altra quelle del male, chi pratica la magia bianca e chi la nera, qui i prestigiatori-illusionisti e lì i Divini Otelma, di qua i Mago Merlino e di là le Maghe Magò… Un dualismo elementare, ma è lo stretto indispensabile per capire la trama di un fantasy reggendo dall’inizio alla fine un film di 4 ore. Poi, una volta usciti dagli schermi e tornati alla realtà, i maghi buoni e le streghe cattive finiscono in una grande ammucchiata, tutti nello stesso calderone.

In questo articolo, alcune immagini del progetto Parallel Eyes della fotografa Alessia Rollo: un viaggio alla scoperta delle origini degli antichi riti del Sud Italia, indagando, anche con manipolazioni analogiche e digitali, l’energia insondabile che lega l’uomo alla natura. 

Capire la magia è uno sforzo sovraumano. «Sarebbe necessario iniziare ad avvicinarsi dando la giusta collocazione a figure del passato magiche, ma non fantastiche. Per esempio, il Dottor Faust», dice Anthony Grafton, esperto di Rinascimento e docente di Storia all’università di Princeton. Nel suo ultimo libro ? Magus: The Art of Magic from Faustus to Agrippa ? ripercorre un pezzo di storia dei prodigi attraverso l’analisi di personaggi realmente esistiti ma avvolti dal mistero, un Cornelio Agrippa o un Pico della Mirandola. In particolare Faust. «Era un alchimista di cui abbiamo le prime tracce nella letteratura tedesca del 500, poi nelle opere di Marlowe e Goethe è diventato via via sempre più legato a pratiche occulte, colui che ha stipulato il patto con il diavolo», spiega lo studioso. «Sappiamo invece che era un personaggio completamente diverso; un cerusico, un mago? Comunque è stato un uomo colto e pienamente inserito nei circoli accademici del Rinascimento». Epoca, quest’ultima, che rappresenta la culla di una percezione magica strutturata (per quanto possibile), professata e sostenuta da eruditi che cominciarono ad alimentare i primi dibattiti sul bisogno di distinguere tra incantesimi leciti e illeciti, tra il divino e il diabolico. «Così è diventata un’arte sempre più complessa, una scienza che mischiando ingegneria, arte, religione, simbolismo e astrologia classica crea il mix perfetto per promettere – specie in una società in grande cambiamento – di fornire un nuovo modo di esplorare se stessi, e anche il cosmo di cui si è parte».

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La prima razionalizzazione rinascimentale del magico fu un bel passo avanti rispetto ai secoli precedenti, in cui i tentativi di questa “esplorazione del sé” diedero come risultati l’inquisizione e i roghi di streghe. Le stesse streghe che oggi manderemmo ai reality show o seguiremmo su TikTok ritenendole fantastiche. Perché l’umanità si è evoluta, ma la naturale sete di magia è rimasta indietro, quindi sempre la stessa. «È come un balsamo a cui ricorrere in caso di dolore e sofferenza, quando viene a mancare la speranza», ci dice Susan Greenwood, ricercatrice inglese e autrice di The Anthropology of Magic. Succede anche ai più razionali: Joan Didion, per esempio, scrisse L’anno del pensiero magico dopo la perdita del grande amore John Gregory Dunne. «Oppure si cercano l’inspiegabile e il rituale qualora venga a mancare la fede. Come disse lo scrittore inglese Gilbert K. Chesterton: “Quando non si crede più in Dio, si rischia di credere a tutto”».

In questo shift noi italiani ce la caviamo piuttosto bene. Nel 2023 il mercato del soprannaturale e dell’occultismo ha fatturato 8,5 miliardi di euro, il 10% in più rispetto al periodo pre-pandemia. E un italiano su 5, nel corso di 12 mesi, si rivolge a uno specialista dei prodigi (dati forniti dal numero verde AntiSette), mentre sono 30mila quelli che, ogni giorno, chiedono un consulto a veggenti, cartomanti e astrologi (dati Codacons). Se non crediamo a tutto, almeno crediamo a tanti.

«In realtà, negli Stati Uniti, le pratiche magiche sono state riconosciute strumenti educativi efficaci», spiega a d Paul Draper, una superstar dell’imponderabile, antropologo e anche illusionista, consulente per grandi aziende e mentalista. «Oggi alcuni oggetti di scena, quelli solitamente utilizzati negli show dai prestigiatori, entrano nelle scuole e nei laboratori per migliorare la creatività, la destrezza e le capacità di soluzione dei problemi». Chi non ha ricevuto in dono un kit del perfetto prestigiatore? «È un modo per incoraggiare l’apprendimento attraverso attività interattive e divertenti», conclude Draper.

Chi si diverte meno sono quelli che hanno preso l’illusione molto seriamente e che con gli “oggetti di scena” ci vivono. In Italia è un piccolo esercito di 3mila professionisti, raramente riescono a passare alla storia al pari di Harry Houdini, Lance Burton e David Copperfield. O di Aldo Savoldello, in arte il Mago Silvan, l’italiano più premiato, mediatico e conosciuto all’estero. Ha cominciato a fare giochi di prestigio «a 7 anni», poi a 11 la svolta: «All’Oratorio don Bosco, nella mia Venezia, condussi uno spettacolo di oltre 4 ore… Gli applausi di quel pubblico fatto di coetanei, preti, laici e famiglie mi risuonano ancora nelle orecchie». Da allora, però, c’è stato lo studio, l’allenamento costante. E «un’attitudine teatrale all’intrattenimento che ritengo basilare», dice lui, che ha una biblioteca di oltre tremila opere, perché «i semi dell’arte illusionistica si trovano nei libri».

I suoi frutti da decenni incantano, sezionano (da Raffaella Carrà a Virginia Raffaele non si contano le sopravvissute), illudono, fanno scomparire (25, ne tolse di mezzo a Sanremo), intrattengono (oltre al pubblico “normale”, ha sorpreso privatamente anche Reagan, Elisabetta II e Khashoggi), osservano i cambiamenti e soprattutto vengono osservati. «Non è affatto facile. Hai cento occhi puntati addosso che ti scrutano per scoprire i tuoi trucchi», ci dice. A pensarci, tra i professionisti dello spettacolo i maghi sono quelli con più fegato: quando un attore ? o un musicista, un ballerino ? sale su un palco ci si aspetta che abbia successo, ma quando è un illusionista, la speranza è che fallisca. Silvan è reduce dall’ennesimo show di successo a Roma, non è per niente stanco. Ma oggi è tutto molto cambiato. «Non c’è più mistero. Oggi sui social si rasenta lo scempio». I maghi o presunti tali pullulano, ma quello che offrono sono dei tutorial. «Si rivela il trucco e dalla grande illusione si passa al close up, in una compattezza di intenti poco etici e fuori dalla logica artistica», continua Silvan. «E così tolgono ogni entusiasmo, qualsiasi mistero. Come suonare uno strumento in playback». Non è più come negli anni 80, «è allora che ci fu il boom». Come tornare ai tempi d’oro, come può emergere un “mago” esordiente? Sim Sala Bim: sparire da Instagram e TikTok. «Dovrebbe dimenticare i social», risponde lui. «Altrimenti rischiano l’emulazione inconscia, di replicare gli esempi di colleghi privi di etica professionale in cerca di visibilità». Si riferisce a quegli illusionisti che hanno svelato cosa c’è dietro ai loro “Gioconi”. «È inquinare quest’arte nella sua primaria essenza, quanto di più disonesto si possa fare nel rispetto di un’opera d’ingegno». Sarà peggio con l’Ai? Non ha dubbi: «Al pubblico non interessa che la magia proposta sia antica, tradizionale o d’avanguardia. La magia è una sola. Ma deve essere ben presentata».

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