Quelli che in Rete raccontano i “colpi di grazia” del 2024

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Per mostrare qualche istantanea di come nell’infosfera cattolica siano stati accompagnati – in prospettiva di vita personale, non di eventi pubblici – il finire dell’anno vecchio e l’iniziare dell’anno nuovo parto dalla puntata del 30 dicembre di “Ultimo banco”, la bella rubrica che Alessandro D’Avenia tiene settimanalmente sul Corriere della Sera. La si può leggere anche sul suo blog “Prof 2.0” (bit.ly/40lkEiv), a sua volta ripreso dall’aggregatore “Alzo gli occhi verso il cielo” (bit.ly/3PhNk6T). Sottolineo che la meritata fama di D’Avenia, scrittore e insegnante, certo non discende dalla sua attività in Rete; tuttavia non si può ignorare che anche sui social lo seguono a centinaia di migliaia. È “Esame di riconoscenza” il titolo del suo bilancio del 2024, e già dice il contenuto di un’esperienza che si fa proposta: ri-conoscere, cioè rendersi pienamente conto, ogni settimana, ogni giorno, della «grazia», del «dono» che si è ricevuto, riponendolo in un «salva-donaio». Non «eventi necessariamente positivi»: infatti la grazia non è intesa come «l’incantesimo che fa sparire i problemi ma un “colpo” che offre una visione nuova e invita a creare una vita più bella». Non impoverirò con un mio abstract la ricchezza di parole e di pensieri con la quale l’autore sviluppa questa intuizione, balzando da Chesterton a Valery, dal rischio di un cuore pietrificato per la paura alle feste natalizie come «tentativo annuale del cuore a tornare di carne». Ma faccio mio il suo invito a inaugurare subito il «salva-donaio» del 2025.
Qualcosa di cui essere riconoscenti
I “colpi di grazia” nel 2024 di Cristina Zenoni, «folle donna cattolica» autrice dell’omonimo blog e di varie iniziative editoriali (vedi l’intervista che le ha fatto Fabio Dalmasso su Credere del 29 dicembre bit.ly/40faVLF), ruotano quasi tutti attorno alla svolta che la malattia oncologica ha imposto alla sua vita a partire dall’estate del 2023. Li racconta in un “Te Deum laudamus” cui appone infatti il titolo “C’è sempre qualcosa di cui ringraziare” (bit.ly/40hGDYC), e li chiama gli «imprevisti, a volte ingombranti, che permettono di fare spazio alla grazia che si può vedere una volta usciti dalla nebbia del mondo». Anche per questa autrice il rischio che corro è di non riuscire a rendere in poche parole la pienezza dei suoi «laudamus», impreziositi dalla consapevolezza che «ogni percorso di vita è differente», e che quindi «possiamo solo essere testimoni concreti di quanto il Signore possa spargere grazia nella vita di ogni singola persona in modi diversi». Ma ne voglio citare uno per intero, per il mix di ragione e sentimento di cui trabocca: «Te Deum laudamus… per l’umana paura che ogni tanto prende il sopravvento. Mi ricorda che, indipendentemente dalla malattia, ognuno di noi è terminale e non deve perdere tempo. Certo è che, quando la malattia c’è, la paura rischia di sovrastare la grazia, rischia di farti sprecare tempo e ti distoglie dal vivere pienamente. Mi fido di te ma so che nella paura mi consoli».
La semina e i frutti anche su TikTok
«Grazie 2024» è il titolo semplice del bilancio pubblicato su TikTok (bit.ly/40esETs) e su Facebook come reel (bit.ly/3DAtAc2) da don Roberto Fiscer. Ho raccontato di recente qualcosa di lui nella galleria di “Missionari digitali” che curo per Avvenire.it dallo scorso aprile (bit.ly/4fG9Cde): è un parroco genovese di 48 anni ed è uno dei preti italiani più popolari tra quelli attivi sui social, con 900mila follower tra TikTok e Instagram, grazie all’inesauribile creazione di contenuti nei quali i bambini e i ragazzi sono i destinatari ma anche i protagonisti e dove la musica è una chiave importante. Così il suo grazie all’anno che se n’è andato non è un testo scritto ma il montaggio serratissimo della vita pastorale propriamente detta e del contorno di balletti, scherzi da oratorio e giochi dei campi estivi attraverso i quali egli ne fa partecipi i suoi ragazzi, oltre ai momenti sempre intensi della “Radio tra le note” che manda in onda dall’Ospedale pediatrico Gaslini di Genova. Tutto materiale – si capisce – prodotto e caricato giorno dopo giorno sui social e ora ricapitolato in un minuto senza altro commento che una canzone, “Ora che non ho più te” di Cesare Cremonini, scelta – suppongo – più per il ritmo, cantabile e ballabile, che per il testo. Il linguaggio di don Fiscer non deve tuttavia distrarci dal contenuto di questo video. Anche il suo, come quelli di D’Avenia e di Zenoni, è un “esame di ri-conoscenza”: per l’abbondante semina del suo ministero, e per i frutti che già gli capita di raccogliere.
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