La delusione di Federmeccanica: «Nella Manovra pochi aiuti per manifattura e auto»

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«Nella Finanziaria appena varata dal governo c’è poco per la manifattura e per l’auto. Eppure la metalmeccanica vale l’8% del Pil italiano e il 50% dell’export. Il made in Italy non è solo fashion e food, ci siamo anche noi». Il presidente nazionale di Federmeccanica Federico Visentin analizza i problemi sul tappeto e non fa sconti alla politica. E si augura che le imprese sappiano, anche con le sole loro forze, fronteggiare l’onda d’urto di un 2025 difficile, puntando su aggregazioni e innovazione digitale.

Presidente che anno sarà per la manifattura, che a Nord Est è così radicata e importante?

«Un anno pesante. Le cose potrebbero migliorare dal 2026, ma è troppo presto per dirlo e perché accada non si può stare fermi ad attendere gli eventi. Il 2025, nella migliore delle ipotesi, rappresenterà uno stallo, una stagnazione per la maggior parte delle imprese. Nei prossimi 6 mesi il 20% delle aziende, una su cinque, pensa di ridurre il personale. Il 41% vede un peggioramento del portafoglio ordini, così come c’è un deterioramento della liquidità. E le aziende che pensano di incrementare gli investimenti non sono più del 30%. Si tratta di indicatori tutti in peggioramento rispetto a tre o sei mesi fa».

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Su questo quadro si innesta il taglio definitivo delle forniture di gas naturale dalla Russia. La tempesta perfetta sull’economia?

«È esploso un problema che era prevedibile. Il grido d’allarme era stato lanciato in maniera forte anche da Anfia, l’associazione dei produttori di auto. Succederà che ci sarà un aumento dei costi del gas e dell’energia elettrica, che in Italia già paghiamo di più rispetto ai competitor europei. Gli Stati Uniti non vedono l’ora di venderci più gas, a prezzi elevati, di mercato. Ma il piano per fronteggiare la situazione, dov’è? Draghi aveva cercato di calmierare da subito questo fronte, adesso come ci comportiamo? Iniziative non ne abbiamo viste da parte del governo».

A proposito di governo, sembra che la Finanziaria non vi soddisfi. Perché?

«Vediamo una grande timidezza che ci spieghiamo sempre con la coperta corta, ci sono pochi soldi che devono essere in qualche modo redistribuiti. Ma se la politica fosse più convinta a sostenere la manifattura ci sarebbe un volano importante per risollevare l’economia. La consapevolezza o non ce l’hanno o non vedono il consenso che possono portare a casa, facendo determinate scelte».

Che cosa vi ha deluso di più?

«Non si è riusciti a semplificare dal punto di vista normativo il pacchetto dell’industria 5.0. Ci si aspettava un’attrattività migliore in termini di contributi, poi alla fine abbiamo trovato ben poco. Credo che a questo punto non ci sarà la corsa agli investimenti, da parte degli imprenditori. Ma non è finita qua».

Quali sono gli altri motivi di amarezza?

«Il fondo per l’automotive, che ha un indotto importantissimo e porta valore per tutta la manifattura. Eppure di fronte alla complessità che esiste per trovare i fondi, abbiamo assistito al taglio dei contributi per questo settore, un miliardo l’anno per 7 anni. Il ministro Urso ha cercato di far capire che in realtà avrebbe rifinanziato almeno il miliardo annuale e invece ci ritroviamo con 200 milioni per il 2025 e 400 nel 2026. Al momento questo sappiamo. Abbiamo sicuramente perso un’occasione».

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L’Ires premiale non è una buona carta da giocare?

«Confindustria stessa ha spinto molto perché l’Ires premiale potesse essere un elemento di valorizzazione. Il governo sta sempre attento a evitare abusi, ma basterebbe scrivere bene le norme, così eviteremmo i problemi causati dal Superbonus 110%. Ma anche qui non ci siamo. Il 4% della premialità Ires non è dovuto alle aziende che hanno fatto cassa integrazione nel 2024 o che la faranno nel 2025: così il governo taglia fuori un sacco di realtà. Siamo in un periodo di congiuntura negativa, la Germania sta soffrendo, sono diversi trimestri che non andiamo bene. Se non si interviene adesso, quando dovremmo intervenire?».

Le politiche dell’Ue verso l’auto elettrica potrebbero essere cambiate, dando respiro all’automotive?

«Credo e auspico che si possa cambiare decisamente rotta, ma temo che succederà troppo tardi. Il 2035 full electric, allo stato attuale, non è sostenibile. In Europa l’approccio, anziché premiale, è stato punitivo. Ma i costruttori di auto cercheranno di evitare le multe. Come? Chiudendo gli stabilimenti, non hanno alternative. Noi però dobbiamo avere il coraggio di cambiare velocemente, altrimenti rischiamo di distruggere il settore. È benvenuta l’iniziativa del governo italiano, che chiede l’anticipo della verifica del percorso al 2025. Ma Germania e Francia non vogliono affrontare questo capitolo, vedremo come andrà a finire. Ritengo che si debba avere il coraggio di proporre una revisione del metodo di calcolo delle emissioni di CO2 per la quale, però, ci si dovrà preparare molto bene se si vuole essere convincenti».

I tassi di interesse in discesa non sono un buon segnale?

«Lo sarebbero, ma la Bce i tagli li sta centellinando. Invece le imprese avrebbero bisogno di un segnale forte».

Un messaggio di speranza quale potrebbe essere?

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«Cogliere l’occasione della congiuntura negativa per ripensare i nostri modelli di business, uscire dalla comfort zone. Puntare alle aggregazioni tra imprese perché siamo ancora piccoli, a investimenti in ricerca, sviluppo e digitale. E dallo Stato politiche attive e aperte per la formazione». 



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