In Italia sono 3.700 le aziende energivore, ma c’è un calmiere per i prezzi: domande e risposte

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di
Fausta Chiesa

Il valore dei 65 euro per chi sarà più «verde»

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In Italia il costo dell’energia più alto rispetto ad altri Paesi europei è sempre stato uno svantaggio del nostro sistema industriale e ora si rischia un ulteriore aggravio dei costi di produzione anche se le preoccupazioni non sono paragonabili al 2022, quando i prezzi del gas erano schizzati sopra i 340 euro al Megawattora (ora siamo intorno a 50 euro), con la media del 2020 intorno a 20 euro.

Quali aziende ne risentono maggiormente?
Le aziende cosiddette energivore, che utilizzano grosse quantità di energia (elettrica o gas) per produrre. Sono circa 3.700, attive nella produzione di acciaio, carta, ceramica, vetro, lavorazione dei metalli, della gomma e in parte anche alimentare. «Sono aziende che consumano almeno 1 gigawatt di energia elettrica o 95 mila metri cubi da gas all’anno — precisa Gionata Picchio, vice direttore di Staffetta Quotidiana — e rientrano anche aziende non per forza grandi, come i grandi laboratori artigiani come il distretto di Murano e Venezia».




















































Quali soluzioni ci sono?
Per chi utilizza energia elettrica una strada è l’energy release «una misura predisposta dal Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica che — spiega Carlo Maciocco, esperto di Quotidiano Energia — che potranno ottenere energia elettrica “verde” a un prezzo calmierato, pari a 65 €/MWh, a fronte dell’impegno a realizzare impianti rinnovabili. Il Gse mette a disposizione un volume di 23 TWh, con termine per le manifestazioni di interesse al 14 febbraio».

E per chi utilizza gas come le industrie della ceramica?
Esiste anche il gas release «che — spiega Gionata Picchio, vice direttore di Staffetta —mira a consentire di comprare gas a lungo termine (massimo 10 anni) a un prezzo vantaggioso. I grandi consumatori industriali potranno stipulare contratti con i produttori da giacimenti nazionali a valere su future nuove produzioni, di cui viene agevolato lo sviluppo con alcune deroghe. In attesa dell’avvio delle nuove produzioni, le industrie avranno diritto a ritirare allo stesso prezzo una quota (75%) del gas contrattualizzato prelevandolo dalle produzioni nazionali esistenti. Ma il meccanismo non è di fatto ancora partito e non è ancora chiaro quando lo sarà e c’è soprattutto da definire il prezzo».

Ci sono rischi di avere fermi della produzione come era successo nel 2022?
«Il prezzo del gas ai 50 euro attuali è un livello molto alto, che vale 200 milioni di extra costo all’anno per il settore — risponde Vittorio Borelli, vice presidente di Confindustria Ceramica — ma non ci dovrebbero essere fermi della produzione. Preoccupa la volatilità, oltre i 70 euro la situazione sarebbe più problematica».

Quali conseguenze per le piccole e medie imprese?
«Questo rincaro — dichiara Claudio Giovine di Cna — può mettere in moto una fiammata dei costi anche non correlata all’effettivo incremento dei corsi della materia prima».

E applicare il modello spagnolo, dove sono stati fissati prezzi del gas calmierati per produrre energia elettrica?
«In Italia — spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia — non è applicabile perché ricompensare tutte le centrali a gas per produrre in perdita costerebbe tantissimo».

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