I cattolici possono scuotere il mondo politico dal torpore

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L’Italia è ancora un paese ricco? La domanda non è retorica e sarebbe importante prenderla sul serio. Per alcuni aspetti, sicuramente sì. Il Pil pro capite è ancora relativamente alto: circa 34.000 dollari, due volte e mezza la media mondiale. Nonostante le crisi di diversi settori, rimaniamo il secondo Paese manifatturiero in Europa. Abbiamo una ricchezza privata ancora molto consistente (stimata nell’ordine dei 10.000 miliardi di euro).

Ma i segnali negativi non mancano: la ricchezza è molto concentrata, i poveri sono in aumento, la capacità di investimento si riduce. Abbiamo poi un grande debito pubblico (140% del Pil) che inghiotte enormi quantità di risorse. Nel 2024 lo Stato italiano ha pagato più di 80 miliardi di euro di interessi. E questo contribuisce a spiegare come mai non ci siano poi i soldi per la sanità (che ormai è un problema nazionale) o la scuola (con una edilizia scolastica vecchissima e salari degli insegnanti inadeguati).

Troppi in Italia vivono a carico della comunità: con una evasione fiscale che rimane altissima, si allargano le aree della rendita. Si pensi al fenomeno degli affitti brevi nelle case vacanza in città (dove chi è proprietario estrae un guadagno dai forti flussi turistici investendo poco o nulla, senza creare posti di lavoro e alterando il mercato per gli affitti abitativi), ma anche alle banche (con profitti in crescita e impieghi in calo). Senza dimenticare l’indicatore più drammatico: la crisi demografica dice chiaramente che stiamo tagliando le gambe ai giovani.

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Diventare adulti – già difficile nell’attuale contesto culturale – si fa quasi impossibile in un Paese in cui stage, tirocini, apprendistati, contratti a termine rimangono la norma, mentre il costo delle case e dei servizi per la prima infanzia esplode. Il risultato è che in dieci anni 300.000 giovani (di cui il 37% laureati) sono espatriati per andare dove trovano possibilità per realizzare i propri sogni.

È vero che negli ultimi anni l’Italia sta crescendo più dei partner europei. Ma un tale risultato è stato in buona parte prodotto dall’ecobonus e dall’avvio del Pnrr. E anche l’aumento del numero di occupati – oggi al massimo storico, senza dubbio un gran risultato – lascia aperti molti interrogativi perché non si accompagna all’adeguamento improcrastinabile dei salari.

Una cosa dovrebbe essere chiara: con il declino della globalizzazione neoliberale, il Paese deve chiedersi se e come vuole partecipare al prossimo ciclo storico che avverrà in condizioni tecnologiche e geopolitiche del tutto diverse da quelle degli ultimi trent’anni. In un momento come questo, l’ordinaria amministrazione non basta.

Il sistema-Paese non ce la può fare al di fuori di un progetto capace di alleare tutti coloro che vogliono partecipare alla generazione di quel valore (economico sociale e culturale) necessario per affrontare le tante sfide che ci aspettano. C’è bisogno di grande generosità collettiva per essere ancora protagonisti del nuovo ciclo di sviluppo. Perché è solo mettendo a fattore comune le tante risorse – economiche, intellettuali, morali – di cui ancora disponiamo che l’Italia ce la può fare. Giusto domandarsi chi può essere in grado di costruire una cornice politica di questo tipo. Guardando i due schieramenti – di destra e di sinistra – non si scorgono segnali confortanti di dialogo in tal senso. Ammesso e non concesso che ci sia la consapevolezza della delicatezza del momento, mancano visioni che almeno provino a intercettare il futuro. Così che ci si ritrova ancora una volta a fare i conti con l’antica questione: come partecipare a una nuova stagione storica che si produce in altre parti del mondo con quelle peculiarità economiche, sociali e culturali che sono, al tempo stesso, i nostri punti di forza e di debolezza?

In questi giorni si fa un gran parlare del ritorno dei cattolici sulla scena politica. E lo si fa nel solito modo strumentale, immaginando nuovi leader e nuovi partiti.

Ma se la radice cattolica ha un compito – oggi come in passato – non può che essere quello di contribuire a delineare il progetto di cui il Paese ha davvero bisogno. Scuotendo l’intero sistema politico dal suo torpore e dalla sua ignavia rispetto alle sfide storiche all’orizzonte. Per cambiare le cose occorre cambiare sguardo, abbracciando (davvero!) lo spirito di solidarietà nazionale richiamato dal Presidente Mattarella nel discorso di fine anno. Non si tratta tanto di posizionarsi spazialmente al centro, a destra o a sinistra. Ma di essere in grado di proporre una declinazione originale e sensata di come il modo di vivere italiano può continuare a esistere nel contesto europeo e internazionale del futuro che viene. Nello spirito di quella speranza a cui Papa Francesco ha richiamato tutti con l’apertura della Porta santa.





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