Transizione 5.0, il buon proposito per il 2025 è la semplicità

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La legge di bilancio 2025 lascia in eredità all’anno nuovo un piano Transizione 5.0 profondamente modificato nelle procedure, più generoso e flessibile. Un’opportunità da cogliere per le imprese che intendono innovare e affrontare i cambiamenti richiesti dalla cosiddetta twin transition.

Ulteriori interventi operativi per facilitare l’accesso agli incentivi potranno prendere forma nell’ambito del costante rapporto tra Mimit e associazioni di rappresentanza delle imprese, con il prezioso supporto del GSE, attraverso la pubblicazione di circolari o FAQ.

Gli impatti del precedente Transizione 4.0

La recente pubblicazione del rapporto intermedio di valutazione a Transizione 4.0, a cura di Mef, MIMIT e Banca d’Italia, è certamente una notizia da accogliere con estremo favore per almeno due ordini di motivi: da un lato, perché l’analisi di impatto è di per sé una buona prassi che dovrebbe essere estesa a qualsiasi misura di politica industriale; dall’altro, in quanto i risultati sono molto confortanti.

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Le imprese che hanno fatto ricorso alle agevolazioni del Piano Transizione 4.0 nel periodo 2020-22 hanno investito in misura maggiore e hanno conseguito ricavi superiori rispetto alle imprese del cosiddetto gruppo di controllo, vale a dire quelle con analoghe caratteristiche che non hanno utilizzato tali agevolazioni. Inoltre, evidenza non scontata e di particolare rilievo, gli incentivi hanno portato a un incremento significativo della forza di lavoro, scongiurando la preoccupazione di una potenziale sostituzione tra capitale e lavoro associata a percorsi di digitalizzazione dei processi industriali.

Transizione 5.0, le scelte e i motivi

Queste prime evidenze, da approfondire e dettagliare ulteriormente nel rapporto finale che sarà pubblicato entro il mese di maggio 2026, confermano la bontà della scelta del governo di destinare oltre 6 miliardi al nuovo Piano Transizione 5.0. Si tratta, come ormai noto, di risorse ricavate dalla riprogrammazione di misure PNRR e riconducibili alla Missione 7 – RepowerEU, il cui obiettivo è incentrato sul sostegno alla transizione verso l’energia pulita e un sistema energetico più resiliente.

L’impostazione del Piano recupera i due fattori di maggiore gradimento dei precedenti Piani 4.0 – l’automatismo e la non selettività – pur declinandoli all’interno delle più stringenti regole europee. Un equilibrio non sempre facile che ha richiesto un lungo negoziato con gli uffici tecnici di Bruxelles concluso, con esito positivo, in prossimità dell’approvazione della legge di bilancio 2025.

Giova ricordare che il primo Piano Nazionale Industria 4.0, avviato nel 2017, si poneva l’obiettivo di riattivare il ciclo degli investimenti, all’epoca particolarmente piatto, provando a indirizzarli verso beni strumentali tecnologicamente avanzati individuati sulla base di due elenchi allegati alla legge di bilancio (Allegato A per i beni materiali e Allegato B per i beni immateriali). Nelle dichiarazioni del governo proponente, il Piano doveva avere una durata limitata nel tempo (annuale) per favorire e accelerare i processi di sostituzione di beni obsoleti con beni più performanti. Pur trattandosi di un’agevolazione automatica e pertanto non sottoposta a istruttoria, non erano previsti limiti massimi all’incentivo, sulla base di un approccio che – come avrebbe dolorosamente reso ancora più evidente la successiva esperienza del Superbonus – sottovalutava gli effetti sui conti pubblici.

Le successive modifiche e correzioni hanno reso il Piano certamente più sostenibile, pur non risolvendo del tutto il difetto originario: ne sono prova evidente i più recenti interventi correttivi che da un lato, con il DL Fiscale, hanno coperto i maggiori oneri rispetto a quanto originariamente previsto, dall’altro hanno introdotto un tetto massimo di spesa per il 2025 prevenendo rischi di ulteriori squilibri dei conti pubblici.

All’interno di questo percorso si inserisce il Piano Transizione 5.0 che, dopo 7 anni dall’introduzione dei primi incentivi cosiddetti orizzontali per la digitalizzazione, si pone obiettivi più ampi e ambiziosi, nel tentativo di affiancare le imprese in un progressivo salto culturale necessario per incrementarne la competitività.

Gli obiettivi

Il focus del nuovo Piano non è più il bene strumentale ma diviene un vero e proprio progetto di innovazione che può articolarsi in tre linee di intervento: efficientamento dei processi produttivi attraverso l’investimento in beni strumentali tecnologicamente avanzati; riqualificazione delle competenze; realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonte energetica rinnovabile destinata all’autoconsumo. In coerenza con le finalità del RepowerEU, il fil rouge è la sostenibilità ambientale, conseguita attraverso una riduzione dei consumi energetici dei processi produttivi e attraverso una progressiva decarbonizzazione.

A oggi sono poco meno di un migliaio le imprese che hanno presentato progetti nell’apposita piattaforma predisposta dal GSE, corrispondenti a poco più di 275 milioni di crediti d’imposta prenotati. Sono numeri in decisa crescita (il numero di imprese è quadruplicato rispetto a novembre) ma ancora distanti dalle aspettative. Sull’avvio lento del Piano hanno inciso vari fattori: in particolare, talune rigidità sovraordinate, in quanto imposte dal PNRR, nonché l’esigenza da parte di imprese e consulenti di metabolizzare regole e procedure nuove.

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Si tratta di dinamiche che in passato hanno interessato anche altre misure: come evidenziato dal rapporto intermedio di valutazione, lo stesso Piano Transizione 4.0, in una prima fase, ha coinvolto prevalentemente le imprese che avevano già avviato percorsi di digitalizzazione, mentre nel corso delle successive edizioni “l’incentivo è stato utilizzato in misura crescente dalle società di dimensioni medio-piccole e da quelle con una minore maturità digitale, favorendo, nel tempo e coerentemente con gli obiettivi dell’intervento, una più ampia e diffusa digitalizzazione delle imprese”.

Transizione 5.0, cosa cambia con la Legge di bilancio 2025

Tuttavia, in considerazione dell’esigenza di rispettare gli obiettivi e le scadenze del PNRR, occorreva limitare il periodo di apprendimento e accelerarne l’adozione: in quest’ottica, la legge di bilancio ha introdotto semplificazioni procedurali che, pur non abdicando all’impostazione e alle ambizioni iniziali, hanno ricondotto le agevolazioni verso schemi più familiari a imprese e consulenti.

Ci si riferisce, in particolare, alla presunzione del rispetto dei requisiti richiesti dalla norma nel caso di investimenti realizzati per il tramite delle ESCO ovvero per sostituire beni obsoleti che hanno ultimato il periodo di ammortamento da almeno 24 mesi con beni nuovi tecnologicamente avanzati aventi analoghe funzionalità.

Ulteriori modifiche hanno incrementato l’intensità dell’agevolazione intervenendo sia sugli scaglioni, con la previsione di un’aliquota unica fino alla soglia di 10 milioni di euro di investimento, che prevedendo maggiorazioni più generose per l’acquisto di pannelli fotovoltaici di provenienza europea a elevata efficienza. Rispetto all’impostazione previgente, i crediti d’imposta 5.0 sono stati resi cumulabili con gli incentivi ZES, nonché con qualunque altra misura, incluse quelle finanziate con risorse europee: una flessibilità unica all’interno del panorama degli interventi PNRR, giustificata dal carattere generale e automatico del Piano.

Nel negoziato con la Commissione europea, infine, l’Italia ha ottenuto la possibilità di proroga ad aprile 2026 del termine ultimo per il completamento dei progetti di innovazione; l’estensione, auspicabile e coerente con la complessità degli investimenti, richiede tuttavia una copertura di bilancio al momento non rinvenuta.



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