Pianificazione urbanistico-territoriale e procedure espropriative.

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 


Un’ampia panoramica fra la pianificazione urbanistico-territoriale e le procedure espropriative pubblicata dall’Ufficio Studi della Giustizia Amministrativa.

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

Un’ottima occasione per approfondire un argomento di grande rilievo.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Roma, Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 27 dicembre 2024

PIANIFICAZIONE URBANISTICA E PROCEDIMENTO ESPROPRIATIVO *

1. Premessa: il legame indissolubile tra pianificazione ed espropriazione. – 2. Quadro storico dei legami fra pianificazione urbanistica ed espropriazione. – 3. Le ragioni del fallimento del modello tradizionale. – 4. Le prospettive future: project financing, perequazione, compensazione, rigenerazione urbana.

  1. Premessa: il legame indissolubile tra pianificazione ed espropriazione.

La normativa in materia di pianificazione urbanistica ha sempre avuto uno stretto legame con la disciplina delle espropriazioni. In linea generale, è proprio in sede di pianificazione del territorio che possono, e debbono, trovare spazio quelle valutazioni di interesse generale che, secondo l’articolo 42 della Costituzione, possono giustificare il sacrificio del diritto di proprietà1. Ma, evidentemente, il legame tra i due istituti, quali strumento di intervento del potere statuale sulle attività economiche private, è ben più risalente rispetto alla stessa Costituzione repubblicana.

Si può dire, in effetti, che le due discipline – diritto urbanistico e diritto delle espropriazioni – siano nate assieme, all’indomani dell’unità di Italia, caratterizzandosi quali istituti-cardine delle iniziative che il nuovo Stato unitario assumeva al fine di garantire la propria presenza sul territorio, attraverso i noti programmi di infrastrutturazione e di “liquidazione” della grande rendita fondiaria ancora imperante in vaste aree del Mezzogiorno, posti in essere rispettivamente dalla Destra storica e successivamente in età giolittiana2, con i quali si cercava di contribuire all’unificazione economica e sociale del Paese, dopo che il Risorgimento aveva assicurato quella politica. In via generale, è proprio con l’affermarsi dell’economia mercantile e successivamente di quella industriale che emerge il problema di trovare un punto di equilibrio tra autorità e libertà nello sviluppo del territorio, e nasce l’urbanistica come esercizio del potere pubblico volto a “prevedere il futuro”, ossia a pianificare e indirizzare tale sviluppo nel tempo e nello spazio3. Un po’ dovunque, questa trasformazione si realizza attraverso l’accentramento in capo allo Stato di funzioni, prima frammentate, di tutela del paesaggio, dei parchi, delle acque e dei beni ambientali, con la sola eccezione proprio della funzione di pianificazione, storicamente riservata ai Comuni4.

Se poi si guarda a come pianificazione ed espropriazione sono state utilizzate nei decenni successivi, in particolare a partire dalla legge urbanistica fondamentale (legge 17 agosto 1942, n. 1150) e soprattutto dopo l’entrata in vigore della Costituzione del 1948, non è azzardato dire che esse siano state fra i principali strumenti di azione e intervento nell’economia che il legislatore ha usato – quanto meno in una determinata fase storica – al fine di realizzare politiche di sviluppo e perseguire obiettivi legati all’affermazione dello Stato sociale. è stato detto, anzi, che la disciplina dei sistemi territoriali costituisce una sorta di “cartina di tornasole” dei sistemi sociali, e di come le politiche di sviluppo si attivino, e con quanta efficacia, al fine di accrescere il benessere economico e ridurre le diseguaglianze tra gli amministrati5.

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

Il quadro attuale è oggi profondamente mutato: a fronte di un progressivo abbandono dell’urbanistica stricto sensuintesa a favore di una più generale funzione di governo del territorio (che ha trovato riconoscimento a livello costituzionale nel novellato articolo 117, comma terzo, Cost.), si assiste invece, per ragioni storiche ed economiche che in questa sede si cercherà di analizzare, a una crisi degli istituti in questione, e in particolare di quello dell’esproprio, e alla preferenza per altri e più flessibili strumenti per il perseguimento di finalità sociali6. Non v’è dubbio però che – come si diceva in principio – il rapporto tra la legislazione in materia urbanistica ed espropriativa e lo “statuto” del diritto di proprietà privata, così come concepito nella sua originaria ispirazione liberale e poi delineato in “funzione sociale” dall’articolo 42 Cost., abbia rappresentato per lungo tempo il terreno d’elezione su cui sono state operate scelte di estrema rilevanza per l’economia del Paese nel suo complesso7.

Queste brevi notazioni introduttive possono essere utili a comprendere il perché il tema dei rapporti tra pianificazione urbanistica ed espropriazione non si esaurisca nella sola questione, in re ipsanel richiamo al legame con l’articolo 42 Cost., dell’imposizione dei vincoli espropriativi alla proprietà privata: quest’ultima ne costituisce certamente il “cuore”, essendo noto che in base all’originario, e per molti versi ancora basilare, quadro legislativo in materia è proprio nella fase della pianificazione del territorio che viene compiuta l’individuazione delle aree su cui dovranno essere realizzate le opere pubbliche e le infrastrutture, con la conseguente imposizione su di esse dei vincoli ablatori. Ma, come è noto, le limitazioni dei diritti dominicali dei cittadini si realizzano, e anzi a volte in modo estremamente incisivo, anche attraverso le scelte di conformazione e destinazione urbanistica che costituiscono la modalità “tipica” di estrinsecazione del potere di governo del territorio spettante alla p.a. (e, in primis, ai Comuni).

Nella dottrina più recente, il potere comunale di autodeterminarsi in ordine all’assetto e all’utilizzazione del proprio territorio viene ritenuto trovare il proprio fondamento costituzionale negli articoli 5 e 114, comma 2, Cost., 8 ciò che giustifica l’ampia discrezionalità che tradizionalmente è stata attribuita alle scelte operate in subiecta materia,al punto da indurre un illustre studioso ad affermare che forse proprio nella materia urbanistica si ha la discrezionalità più ampia che in qualsiasi altro ramo della pubblica amministrazione. 9 Proprio in considerazione di tali caratteristiche, cui consegue l’estrema limitatezza degli strumenti che l’ordinamento pone a disposizione dei cittadini per contestare le eventuali scelte pianificatorie penalizzanti per le loro proprietà10, è ormai affermazione comune che è la stessa urbanistica a essere “necessariamente e intrinsecamente diseguagliante e quindi ingiusta”, 11 il che può essere apprezzato in un duplice senso: non solo nei rapporti fra privati proprietari, alcuni dei quali avvantaggiati e altri penalizzati dalle scelte compiute sui rispettivi suoli, ma anche nei rapporti fra privati e collettività, essendo accollata alla seconda la realizzazione di infrastrutture e opere pubbliche che finiscono per valorizzare le proprietà dei primi12.

Con riguardo alla materia delle espropriazioni per pubblica utilità, è affermazione molto diffusa che la relativa disciplina, dopo un tormentato e più che secolare travaglio, abbia trovato finalmente una sua “stabilità” con l’entrata in vigore del Testo Unico degli espropri (d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327)13. Questa affermazione è al tempo stesso esatta e inesatta: è esatta se si fa riferimento alla disciplina delle procedure espropriative in senso stretto, ma ciò – come si è già osservato e meglio di seguito si vedrà – è dovuto per lo più all’attuale fase di crisi del tradizionale procedimento ablatorio, che lo ha reso ormai obsoleto come strumento di intervento nell’economia; è inesatta invece se si pone mente al legame con la materia della pianificazione urbanistica, la quale – come unanimemente riconosciuto da tutti gli osservatori e attori del settore – costituisce a tutt’oggi uno dei settori della legislazione più magmatici, confusi e bisognevoli di riordino che il nostro ordinamento ci offra14.

Di seguito si proverà a tracciare un sintetico quadro storico e giuridico dei rapporti tra pianificazione urbanistica e disciplina delle espropriazioni. Si può però fin d’ora anticipare quello che sarà il più rilevante elemento di criticità del sistema che le conclusioni di questa analisi evidenzieranno: e cioè che, mentre il tradizionale strumento dell’esproprio come si è detto entra in crisi (per molteplici ragioni che verranno più avanti esaminate), è proprio al livello della pianificazione urbanistica che si è da tempo iniziato a ricercare nuove strade per perseguire gli obiettivi di infrastrutturazione e le altre esigenze che la realtà economica e sociale ha fatto emergere (rigenerazione urbana e riuso dell’esistente, sviluppo sostenibile e green economy)15. Si tratta di soluzioni elaborate spesso dalla legislazione regionale, specie dopo la revisione del Titolo V della Costituzione approvata con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, ma a volte anche solo da parte di discipline non giuridiche (architettura, urbanistica etc.) direttamente attive nella fase di elaborazione degli strumenti di pianificazione; ciò che è emerso con evidenza, in ogni caso, è l’incapacità del legislatore di mantenersi al passo con queste nuove esigenze, con il risultato di produrre un quadro incerto, confuso e frammentato nel quale è arduo anche solo individuare i “principi fondamentali”, che nella materia “governo del territorio”, alla stregua del terzo comma dell’articolo 117 Cost., spetterebbe alla legislazione statale definire16.

2. Quadro storico dei legami fra pianificazione urbanistica ed espropriazione.

Come si è già accennato, gli istituti della pianificazione urbanistica e dell’espropriazione nascono assieme, nell’ambito della legislazione amministrativa post-unitaria. Per la precisione, ancora una volta occorre avere riguardo alla legislazione sull’unificazione amministrativa, e segnatamente alla legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato A, che attribuiva ai consigli comunali la potestà di predisporre “regolamenti di igiene, edilità e polizia locale” (articolo 87); il relativo regolamento di esecuzione (r.d. 8 giugno 1865, n. 2321) disciplinava i regolamenti edilizi comunali, stabilendo che all’interno di essi avrebbero potuto trovare spazio i “piani regolatori dell’ingrandimento e di livellazione, o di nuovi allineamenti delle vie, piazze o passeggiate pubbliche” (articolo 70, n. 3). Si trattava in sostanza di semplici strumenti di regolazione dell’attività edilizia, nei quali era assente quella funzione “propulsiva” che costituirà il propriumdella pianificazione urbanistica vera e propria.

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Fu tuttavia immediatamente evidente come anche una tale potestà, connaturata alle ordinarie potestà normative riconosciute al Comune nelle materie di interesse locale, potesse impattare in modo anche rilevante sulla proprietà privata17. Ecco perché, con la legge 25 giugno 1865, n. 2359 (la prima legge generale sulle espropriazioni, rimasta fino al 2001 il testo base della legislazione in materia), si assiste alla genesi di qualcosa che costituisce il modello embrionale del piano “procedimentalizzato”, fondato sulla partecipazione dei privati interessati attraverso osservazioni e sulla deliberazione consiliare di accoglimento o rigetto delle stesse. In particolare, all’articolo 86 della legge citata era prevista per i Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti la facoltà di dotarsi di piani regolatori, destinati a valere solo per i centri abitati (non anche per le aree periferiche e non urbanizzate) 18 e aventi la funzione di tracciare “le linee ad osservarsi nella ricostruzione di quella parte dell’abitato in cui sia da rimediare alla viziosa disposizione degli edifici”. Il successivo articolo 92 – ed è questa l’innovazione più rilevante ai fini che qui interessano – stabiliva che “l’approvazione del Piano Regolatore equivale a dichiarazione di pubblica utilità, e potrà dar luogo alle espropriazioni delle proprietà nel medesimo comprese”.

Come è evidente, questa produzione normativa appartiene alla preistoria dell’urbanistica intesa nel senso moderno che si è sopra accennato, ossia come strumento inteso a prefigurare e indirizzare il futuro sviluppo del territorio. Una tale finalità, per vero, si affacciava per la prima volta nel citato articolo 86 laddove ai piani regolatori era attribuita la funzione di “provvedere alla salubrità ed alle necessarie comunicazioni”, in modo da rendere maggiormente fruibili e vivibili le aree urbane. Ciò spiega il perché le opere pubbliche realizzabili sulla base dei piani regolatori, come disciplinati dal legislatore del 1865, fossero esclusivamente le reti fognarie e stradali (in coerenza con gli obiettivi enunciati dalla norma): solo per esse il Piano regolatore, ove il Comune avesse inteso di dotarsene, avrebbe potuto contenere, in una alla localizzazione delle opere infrastrutturali, la dichiarazione di pubblica utilità sulla base della quale si sarebbe poi sviluppato il procedimento ablatorio.

Questa sostanziale immedesimazione tra approvazione del P.R.G. e avvio del procedimento espropriativo durerà fino all’entrata in vigore della legge n. 1150/1942, giunta al termine di un tormentato percorso normativo in cui il legislatore, pressato dalla necessità sempre più evidente di governare l’espansione urbana, sperimentava forme di obbligo di formazione dei piani regolatori19. Con questa legge, nell’ambito di una profonda innovazione della disciplina in materia di pianificazione urbanistica (i P.R.G. venivano resi obbligatori per tutti i Comuni ed estesi all’intero territorio comunale e non solo ai centri abitati), si attuava una “scissione” tra il momento della imposizione del vincolo espropriativo, che restava riservata alla pianificazione generale (articolo 7), e quello della dichiarazione di pubblica utilità, atto di avvio del procedimento di esproprio vero e proprio, che era collocato in una fase logicamente e cronologicamente successiva. Nell’impianto originario della legge n. 1150/1942, incentrato su una relazione gerarchica di sovraordinazione tra piani sovracomunali, P.R.G. comunale e piani particolareggiati, è a questi ultimi che era rimessa l’adozione della dichiarazione di pubblica utilità (articolo 16, comma nono): il tutto sul presupposto che fosse entro il termine di efficacia del piano attuativo che l’opera pubblica dovesse essere effettivamente realizzata, previo espletamento della procedura ablatoria e corresponsione dell’indennizzo al proprietario espropriato (articolo 17).

In questa sede non è possibile approfondire le vicende successive della legge del 1942, e in particolare le difficoltà incontrate nell’attuazione pratica del modello di pianificazione da essa prefigurato e la successiva evoluzione normativa culminata nella c.d. legge-ponte (legge 6 agosto 1967, n. 765)20. Per quanto qui rileva, l’opzione normativa incentrata sulla concentrazione nella fase della pianificazione generale dell’introduzione dei vincoli espropriativi si scontrò presto col problema del grave vulnusche in tal modo veniva arrecato al diritto di proprietà. Il tema dovette inevitabilmente misurarsi con il già richiamato disposto dell’articolo 42 Cost. in ordine alla possibilità di limitazioni dei diritti dominicali in funzione della “funzione sociale” degli stessi, giungendosi come è noto a una serie di interventi della Corte costituzionale che, pur senza intaccare la regola della validità a tempo indeterminato del P.R.G., sancirono l’illegittimità costituzionale di una durata a tempo indeterminato di previsioni di vincolo preordinato all’esproprio21.

Il legislatore, preso atto di quanto evidenziato dalla Corte, varò la legge 13 novembre 1968, n. 1187, la quale introdusse la regola (oggi trasfusa nell’articolo 9 del Testo Unico dell’edilizia di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) della durata quinquennale di detti vincoli, con conseguente loro decadenza in caso di mancato tempestivo avvio della procedura di esproprio ed obbligo per la p.a. di prevedere un indennizzo a favore dei proprietari incisi in caso di reiterazione di vincoli già decaduti22. è a partire da questo momento che si sviluppa l’annoso dibattito dottrinario e giurisprudenziale circa la distinzione tra vincoli espropriativi (o sostanzialmente espropriativi) e vincoli conformativi, avuto riguardo alla concreta incidenza delle specifiche previsioni urbanistiche ricavabili dal P.R.G., in funzione dei rilevanti e diversificati effetti discendenti dall’una o dall’altra qualificazione23. Pure a quest’epoca rimontano i principali approdi, anch’essi ancora oggi seguiti dalla giurisprudenza ordinaria e amministrativa, circa la non indennizzabilità dei vincoli anteriormente alla scadenza del termine quinquennale di efficacia 24 e gli obblighi istruttori e motivazionali incombenti al Comune in ipotesi di reiterazione di vincoli decaduti25.

Al di là di tali problematiche, alle quali in questa sede può essere fatto solo un rapido rinvio, ciò che è importante sottolineare è che il modello generale prefigurato dal legislatore del 1942, nel quale al P.R.G. compete l’individuazione delle aree da assoggettare a vincolo ablatorio ed ai piani attuativi l’individuazione puntuale degli immobili in questione con contestuale dichiarazione della pubblica utilità e avvio della procedura di esproprio, è stato riprodotto e declinato nelle diverse forme che i piani particolareggiati hanno conosciuto nella variegata legislazione successiva alla legge n. 1150, e fino agli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso. Così l’espropriazione diventa la modalità tipica con cui si realizza la dotazione delle urbanizzazioni nelle aree interessate dai piani di recupero di cui alla legge 5 agosto 1978, n. 126, dai piani di zona per l’edilizia economica e popolare (P.E.E.P.) ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 16727, dai piani per gli insediamenti produttivi (P.I.P.) di cui all’articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 86528, dai programmi di intervento di cui alla legge 17 febbraio 1992, n. 17929.

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

In tutti questi casi, al di là delle specifiche finalità (sociali, di sviluppo produttivo, di riqualificazione) che ispirano la configurazione dei diversi strumenti di pianificazione, l’esigenza alla base delle previsioni espropriative è quella di assicurare l’esecuzione delle necessarie opere di urbanizzazione 30 sulle porzioni di territorio oggetto del piano attuativo, in modo da garantire alla collettività ivi insediata un’adeguata dotazione di infrastrutture e servizi (non a caso è in questo stesso periodo, per effetto della riforma della legge n. 1150/1942 recata dalla legge 6 agosto 1967, n. 765, che viene introdotto il fondamentale regolamento sugli standard di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, la cui ratioè proprio quella di imporre ai Comuni l’obbligo di prevedere, in sede di pianificazione, un’equa e omogenea distribuzione di opere e servizi pubblici in ragione delle varie destinazioni impresse al territorio comunale)31. Si afferma dunque l’idea che, tale essendo la finalità da perseguire, sia possibile sperimentare anche, a fianco o in sostituzione del tradizionale strumento dell’espropriazione, altre modalità di coinvolgimento dei proprietari interessati per il reperimento delle aree su cui realizzare le opere di urbanizzazione: si spiega in questo modo la fortuna incontrata dal modello della lottizzazione convenzionata di cui all’articolo 28 della legge n. 1150/1942, laddove i proprietari inclusi nel comparto edificatorio, costituendosi in consorzio, mirano a condividere e distribuire in modo equitativo fra di loro, nel quadro di un più ampio rapporto sinallagmatico con il Comune, i vantaggi e gli oneri rivenienti dal complesso di interventi concordati (sia quelli privati, di loro immediato interesse, sia quelli di interesse pubblico pretesi dal Comune)32.

Per effetto del sostanziale fallimento di questo modello, per le ragioni che verranno analiticamente esaminate nel prossimo paragrafo, la prevalenza delle esigenze economiche e delle spinte dei soggetti interessati ha portato il legislatore a elaborare forme alternative e “semplificate” di raccordo tra la pianificazione urbanistica e le procedure espropriative rese necessarie per la realizzazione di importanti opere pubbliche, muovendo dall’individuazione di atti diversi dai piani particolareggiati cui ricondurre l’effetto dichiarativo della pubblica utilità dell’intervento, fino a giungere a sterilizzare la tradizionale “scissione” tra il momento dell’imposizione del vincolo espropriativo e quello della dichiarazione di pubblica utilità. Il prototipo di questo processo evolutivo è costituito dall’articolo1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1 (oggi trasfuso negli articoli 12 e 19 del d.P.R. n. 327/2001), che ha previsto da un lato che la dichiarazione di pubblica utilità dell’intervento possa fare tutt’uno con l’approvazione del progetto di un’opera pubblica (comma primo), e per altro verso che tale approvazione possa avvenire anche in variante allo strumento urbanistico generale, sulla base di un modulo procedimentale semplificato incentrato sull’approvazione da parte del Consiglio comunale (comma quinto).

In virtù di tale modello procedimentale, inizialmente introdotto dal legislatore in via temporanea o poi “stabilizzato” e definitivamente consolidatosi nel T.U. del 2001, è possibile che vi sia contestualità e perfino inversione temporale – nei limiti che saranno chiariti subito appresso – tra il momento dell’imposizione del vincolo ablatorio e la dichiarazione di pubblica utilità con conseguente avvio del procedimento espropriativo, su un suolo che fino a quel momento aveva una destinazione non compatibile con la realizzazione dell’opera pubblica.

Più specificamente, come si diceva, le previsioni introdotte dall’articolo 1 della legge n. 1/1978 sono oggi recepite dal d.P.R. n. 327/2001, che le ha inserite in un più articolato e complesso quadro normativo di individuazione dei casi di imposizione dei vincoli espropriativi e di dichiarazione (anche implicita) della pubblica utilità dell’intervento, che può così sintetizzarsi:

  1. innanzitutto, continua a sopravvivere lo schema “classico” della legge n. 1150/1942, in cui dapprima il vincolo ablatorio è introdotto dal P.R.G. (articolo 9) e quindi si ha la dichiarazione della pubblica utilità in sede di approvazione del piano particolareggiato o equivalente (articolo 12, comma 1, lettera );
  2. vi è poi l’ipotesi, “ereditata” dalla legge n. 1/1978, in cui, partendo da una situazione in cui il regime urbanistico dell’area non consente la realizzazione dell’opera pubblica, la variante al P.R.G. è approvata in via “semplificata” contestualmente all’approvazione del progetto dell’opera: in questi casi l’adozione della variante può avvenire contestualmente all’approvazione del progetto preliminare o di quello definitivo (articolo 19, comma 2), e deve essere seguita dall’approvazione da parte del Consiglio comunale con un peculiare meccanismo di silenzio-assenso della Regione o dell’ente da questa delegato che sarebbe competente in via ordinaria all’approvazione della variante urbanistica (articolo 19, comma 4)33, mentre la dichiarazione della pubblica utilità dell’intervento è sempre contestuale all’approvazione del progetto definitivo (articolo 12, comma 1, lettera a);
  3. vi è, ancora, la previsione (articolo 10, comma 1) secondo cui, sempre laddove il P.R.G. non consenta la realizzazione dell’opera pubblica, il vincolo preordinato all’esproprio può essere disposto su richiesta dell’interessato mediante una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 , ovvero su iniziativa dell’amministrazione competente all’approvazione del progetto, mediante una conferenza di servizi, un accordo di programma, una intesa ovvero un altro atto, anche di natura territoriale, che in base alla legislazione vigente comporti la variante al piano urbanistico;
  4. vi è infine una previsione “di chiusura” (articolo 12, comma 1, lettera b), riferita alla sola dichiarazione di pubblica utilità, in forza della quale essa si ha in ogni caso in cui, in base alla normativa vigente equivale a dichiarazione di pubblica utilità l’approvazione di uno strumento urbanistico, anche di settore o attuativo, la definizione di una conferenza di servizi o il perfezionamento di un accordo di programma, ovvero il rilascio di una concessione, di una autorizzazione o di un atto avente effetti equivalenti.

Quest’ultima disposizione prima faciesembrerebbe presupporre sempre già esistente al livello della pianificazione il vincolo preordinato all’esproprio, ma in realtà non è così, perché proprio ad essa può essere specificamente riferita la successiva disposizione secondo cui, laddove al momento del sopravvenire della dichiarazione di pubblica utilità non vi sia ancora sull’area il vincolo espropriativo, l’efficacia della prima è condizionata al sopravvenire del secondo (articolo 12, comma 3). Dunque oggi, invertendo il tradizionale ordine logico dei provvedimenti, è possibile perfino che l’approvazione di un progetto o altro atto comportante la dichiarazione della pubblica utilità possa precedere l’imposizione del vincolo ablatorio, restandone sospesa l’efficacia fino al successivo sopravvenire del vincolo medesimo.

Con riguardo alle ipotesi di cui sub b) e c), la disciplina del T.U. deve essere oggi coordinata con le innovative previsioni introdotte dal nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) in materia di progettazione delle opere pubbliche. In particolare, come è noto, il legislatore ha profondamente innovato i livelli di progettazione, riducendoli da tre a due attraverso l’eliminazione del progetto definitivo34; pertanto, è ragionevole ritenere che anche le previsioni dell’articolo 12 del d.lgs. n. 327/2001 riferite al progetto preliminare e a quello definitivo debbano essere ricondotte tutte al progetto di fattibilità ed economica, oltre a quelle dell’articolo 19 per le quali ciò è espressamente precisato dall’articolo 41, comma 7, del nuovo codice. Inoltre, la previsione di cui all’articolo 38, comma 10, del codice, secondo cui la determinazione conclusiva della conferenza di servizi convocata per l’approvazione del progetto, oltre ad avere “effetto di variante agli strumenti urbanistici vigenti”, comprende “la dichiarazione di pubblica utilità e indifferibilità delle opere nonché il vincolo preordinato all’esproprio” chiarisce definitivamente l’ipotesi (sopra richiamata sub c) di cui all’articolo 10, comma 1, del T.U. nel senso che in questi casi si ha sempre contestualità fra imposizione del vincolo e dichiarazione di pubblica utilità dell’intervento.

3. Le ragioni del fallimento del modello tradizionale.

Prestito personale

Delibera veloce

 

Si è detto del sostanziale fallimento del modello originario costruito dalla legge n. 1150/1942, in cui al P.R.G. spettava l’individuazione delle aree destinate a opere pubbliche, con correlativa imposizione dei vincoli ablatori, e ai piani di livello sottordinato il concreto avvio delle procedure di esproprio, attraverso la dichiarazione di pubblica utilità degli interventi. Le principali cause di tale fallimento furono di natura economica, stante la carenza di copertura finanziaria delle previsioni di piano in materia di opere di urbanizzazione e la conseguente indisponibilità delle risorse necessarie da parte dei Comuni, accompagnata dalla scarsa inclinazione dei privati a investire risorse proprie per lo sviluppo del territorio. 35 In definitiva, l’impianto voluto dal legislatore del 1942 aveva un’impronta marcatamente “dirigista”, individuando nello strumento autoritativo dell’esproprio il principale (se non l’unico) strumento per l’attuazione degli interventi pubblici, cosa che creò problemi anche di natura “politica” alle Amministrazioni locali, favorendo una vera e propria “fuga” verso lo strumento della lottizzazione convenzionata36.

Vi furono però anche altre ragioni alla base del mancato funzionamento dei meccanismi di urbanizzazione prefigurati dal legislatore del 1942. Innanzi tutto, occorreva fare i conti con l’oggettiva complessità degli interventi di realizzazione delle opere pubbliche, nella cui disciplina s’intrecciavano tre diverse normative: quella in materia urbanistica e di localizzazione delle opere pubbliche37, quella in tema di espropri e quella – col tempo sempre più profondamente conformata dalla disciplina comunitaria – in materia di affidamento della progettazione ed esecuzione dei lavori pubblici38. E non tutte le amministrazioni comunali erano adeguatamente attrezzate per gestire procedure così articolate e complesse (come più di recente testimoniato dall’insorgere nella legislazione sui contratti pubblici del tema della qualificazione delle stazioni appaltanti)39.

Gli effetti di questa, che un’attenta dottrina ha definito una vera e propria incapacità dell’urbanistica di garantire il necessario equilibrio tra proprietà privata e interessi pubblici40, sono sotto gli occhi di tutti: l’attuazione della legislazione vigente, nei decenni immediatamente successivi alla legge n. 765 del 1967, ha determinato al tempo stesso una massiccia edificazione privata ed una insufficiente dotazione di infrastrutture e servizi, che ha a sua volta comportato gli ormai evidenti fenomeni di degrado e scarsa vivibilità della maggior parte delle zone periferiche (ma non solo) delle principali città italiane. In particolare, il già evidenziato ampio ricorso alla lottizzazione convenzionata si è dimostrato inadeguato ad assicurare le necessarie dotazioni di standardsull’intero territorio urbano: da un lato, vi è stata una gestione poco accorta dei rapporti convenzionali, in cui all’immediata realizzazione dell’interesse economico delle parti private alla esecuzione degli interventi edilizi privati non si è sempre accompagnata eguale sollecitudine – e attenzione della parte pubblica – nell’adempimento degli obblighi relativi alle opere di urbanizzazione (come dimostra l’esperienza del contenzioso in materia di esecuzione delle convenzioni, laddove spesso si agitano questioni afferenti alla scadenza dei piani di lottizzazione e/o alla prescrizione delle pretese azionate dall’amministrazione comunale); per altro verso, è noto che nelle zone “B” di cui al d.m. n. 1444/1968 sia le stesse disposizioni regolamentari che l’interpretazione datane per lungo tempo dalla giurisprudenza hanno favorito gli interventi edilizi diretti, rimettendo la realizzazione delle opere di urbanizzazione al Comune, sulla base di previsioni di vincoli ablatori su aree anche molto distanti da quelle edificabili.

Né la situazione è stata migliorata dall’introduzione della regola dell’onerosità del titolo edilizio, per opera della legge 28 gennaio 1977, n. 10, essendo dato di comune esperienza che le risorse acquisite dai Comuni per tale via sono state poi destinate, anche grazie alla legislazione successiva, ad altri scopi41.

In seguito, l’insorgere di esigenze sempre più immediate e pressanti di finanza pubblica, suscettibili di indurre Governo e Parlamento ad assecondare gli interessi della piccola e grande proprietà immobiliare, ha fatto il resto, attraverso i tre condoni edilizi del 1985, del 1994 e del 2003 e, più di recente, la nota legislazione regionale in materia di c.d. “Piano-casa”42. In questo modo, si è assistito ad un passo ulteriore rispetto alla semplice presa d’atto dell’incapacità degli strumenti urbanistici di “prevedere il futuro”, e segnatamente alla abdicazione di fatto di ogni politica ragionata di governo dello sviluppo del territorio in favore di un modello sostanzialmente “anarchico” e frammentato: il che paradossalmente avveniva proprio mentre la dottrina individuava nel principio di pianificazione uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento, non limitato al settore del governo del territorio43.

In un tale panorama, va dato atto della lungimiranza della posizione assunta dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema di decreto, poi confluito nel Testo Unico degli espropri, laddove, cogliendo quanto meno una delle criticità del sistema e prefigurandone una possibile soluzione, si affermava: “ …Per depurare dalla singola proprietà fondiaria il plusvalore derivante dalla previsione urbanistica che consente l’edificazione (e cioè, in altri termini, per rendere indifferenti i proprietari alle scelte di utilizzazione di una certa parte del territorio), si potrebbe prevedere che, all’interno di un più o meno ampio comparto destinato all’edificazione, tutti i proprietari siano tendenzialmente trattati allo stesso modo. La parità di trattamento andrebbe conseguita con meccanismi compensativi tali da evitare che:

  • alcuni costruiscano sulle aree rese edificabili dall’Autorità urbanistica;
  • altri subiscano irrazionali discriminazioni, non solo perché dopo aver subito il vincolo preordinato all’esproprio siano poi espropriati, ma anche perché l’indennità è corrisposta in misura inferiore al valore venale 44.

In questo modo, il Supremo Consesso altro non faceva che prospettare – rimanendo purtroppo inascoltato dal legislatore del Testo Unico 45 – quelli che, nei due decenni successivi, sono stati i principali strumenti alternativi all’esproprio per garantire lo sviluppo di quelli che gli urbanisti definiscono la “città pubblica”: la compensazione e la perequazione, su cui si tornerà a conclusione del presente contributo.

Prestito personale

Delibera veloce

 

Il tema in esame s’inscrive nel più generale dibattito, tuttora in corso fra giuristi e altri esperti del settore, circa le profonde trasformazioni che il diritto urbanistico ha conosciuto negli ultimi decenni e l’ormai ineludibile necessità di dotare il nostro ordinamento di una nuova normativa moderna e avanzata che, sostituendosi a quella ancora oggi basata sul “ceppo” originario della legge n. 1150/1942, per un verso elimini le incertezze e oscurità che connotano il riparto di competenze in subiecta materia tra Stato, Regioni ed enti locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione (fonte quasi inesauribile di contenziosi dinanzi al giudice amministrativo e costituzionale)46, e d’altro canto sappia recepire le nuove e variegate sensibilità di cui si è detto al principio di questo contributo. In particolare, si è preso atto di come l’evoluzione normativa abbia determinato una proliferazione di strumenti di pianificazione, volti al perseguimento di interessi (paesaggistico, ambientale, commerciale etc.) il cui rapporto con il governo del territorio non può porsi più in termini di mera sovra o sottordinazione47; correlativamente, è stata evidenziata la necessità di superare il tradizionale principio della gerarchia dei piani sostituendolo con quello della gerarchia degli interessi, in modo da rendere più semplice la ricerca delle soluzioni più idonee per conciliare le diverse prescrizioni esistenti sul territorio e risolverne le possibili antinomie48.

Più specificamente, per usare le parole di uno dei più illustri studiosi della materia, 49 viviamo oggi la “terza generazione” dell’urbanistica: dopo una prima fase (“piani del primo ordinamento urbano”) che ha caratterizzato gli anni Cinquanta del Novecento, in cui il modello originario della legge n. 1150/1942 era attuato in modo lineare, attraverso un P.R.G. molto snello e una successiva articolazione di piani attuativi di livello diverso; dopo una seconda fase (“piani dell’espansione urbana”) iniziata negli anni Settanta, in cui da un lato si prese atto dell’oggettiva difficoltà di realizzazione di molti piani attuativi a causa delle resistenze della rendita fondiaria e dall’altro – e correlativamente – si assisté a una maggiore articolazione di dettaglio degli strumenti urbanistici generali, tali da assorbire molte previsioni dei piani attuativi, nell’intento di “razionalizzare” lo sviluppo senza sacrificare la crescita urbana; viviamo oggi l’epoca dei “piani della trasformazione urbana”, in cui si è preso atto se non dell’esaurimento del consumo di suolo, della necessità di un profondo ripensamento del modello di sviluppo dell’abitato urbano in considerazione di una pluralità di altri interessi concorrenti (ambientale, paesaggistico, economico, turistico) e della conseguente esigenza di indirizzare la pianificazione alla trasformazione del territorio piuttosto che alla mera espansione. Ne discende il superamento della tradizionale idea per cui l’interesse pubblico perseguito dalla p.a. nel settore che occupa sarebbe rappresentato sic et simpliciterdall’ordinato sviluppo del territorio, in favore dell’emersione di una pluralità di “interessi differenziati”, 50 ossia di una pluralità di interessi che la legge impone vangano presi in considerazione prioritariamente nel processo di pianificazione, e che sono destinati a condizionarne in vario modo le scelte51; a questi interessi corrisponde una proliferazione di piani e programmi di sviluppo tale da porre in crisi il tradizionale criterio gerarchico in ragione del quale venivano risolte le “antinomie” fra le prescrizioni di piano, dovendo piuttosto aversi riguardo alla natura dell’interesse che viene in gioco, nel senso che l’interesse “differenziato” è destinato comunque a prevelare su altri interessi, pure assunti nella considerazione dell’Autorità che pianifica, e che tuttavia “differenziati” non siano52. Non v’è chi non veda come un siffatto assetto complesso, policentrico e stratificato, al punto da preannunciare secondo alcuni un processo di vera e propria “depianificazione” del territorio nazionale53, renda estremamente incerta e rischiosa l’opera degli interpreti e degli operatori del settore (per non dire della stessa amministrazione chiamata a pianificare).

Come conseguenza di tutto ciò, la dottrina tende oggi ad auspicare una applicazione generalizzata dei principi di sussidiarietà e concorsualità nell’attuazione delle previsioni urbanistiche, attraverso una diversa articolazione delle previsioni dello strumento generale, il quale tende a “sdoppiarsi”: ad uno strumento di indirizzo generale (“piano-direttore” o “piano strutturale”), contenente le linee di massima del governo del territorio senza produrre effetti conformativi della proprietà né dettare regole di edificabilità, si affianca un “piano operativo” (o “piano-progetto”), recante la definizione delle modalità concrete di trasformazione dei suoli, destinate a incidere sulle situazioni giuridiche dei privati e a determinare lo sviluppo futuro del territorio54. Questa evoluzione, la cui necessità è pur autorevolmente messa in discussione55, sembra costituire un precipitato ineludibile della mutata funzione dell’urbanistica, che da mera disciplina volta a regolare le trasformazioni del territorio in un’epoca di espansione urbana in fierisi trasforma nella ricerca di un sistema di regole volte a perseguire la miglior vivibilità del contesto urbano, e quindi a perseguire anche finalità sociali, ponendo in primo piano gli interventi sull’edificato esistente56.

Tale nuova funzione è stata colta anche dalla giurisprudenza più recente, secondo cui il potere del Comune di pianificazione “non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse”, ma piuttosto “deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non è limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico- sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati”. In sostanza, “ l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo. Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli – non in astratto, bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi – sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico – sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione «de futuro» sulla propria stessa essenza, svolta – per autorappresentazione ed autodeterminazione – dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio (…) Ne consegue che, diversamente opinando (…), si priverebbe la pubblica amministrazione di un essenziale strumento di realizzazione di valori costituzionali, quali sono almeno quelli espressi dagli articoli 9, comma secondo, 32, 42, 44, 47, comma secondo, Cost. 57.

In alcune delle più avanzate esperienze regionali, queste idee sono state tradotte anche sul piano legislativo58. Tuttavia, il quadro normativo è a tutt’oggi reso estremamente frammentato e confuso dalla perdurante assenza (malgrado numerose proposte avanzate nel corso delle ultime legislature, tutte rimaste senza esito) di una organica legge-quadro statale, indispensabile non solo – come si è già detto – per l’individuazione dei principi fondamentali della materia “governo del territorio” exarticolo 117, comma terzo, della Costituzione, ma anche per la definizione del necessario punto di equilibrio rispetto a taluni aspetti (quali il procedimento di formazione, le modalità di partecipazione degli interessati etc.) che la stessa dottrina reputa indispensabile siano definiti compiutamente dalla legislazione statale, in quanto corrispondenti a livelli essenziali delle prestazioni che, giusta la lettera m) del secondo comma del medesimo articolo 117, appartengono alla potestà legislativa esclusiva dello Stato e devono essere fissati in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale59. Secondo taluni, anzi, un tale intervento legislativo non potrebbe ormai non estendersi anche a una complessiva ridefinizione dello statuto della proprietà immobiliare che tenga conto delle innovazioni già di fatto verificabili al livello della legislazione e della prassi60.

4. Le prospettive future:project financing, perequazione, compensazione, rigenerazione urbana.

Tornando a concentrare l’attenzione sulla materia delle espropriazioni, le considerazioni fin qui svolte sono sufficienti a dar conto del perché oggi si registra – salvo eccezioni – un sostanziale abbandono dello strumento ablatorio quale modalità per l’acquisizione da parte dei Comuni delle aree necessarie per perseguire i propri obiettivi di urbanizzazione e infrastrutturazione del territorio61. Occorre allora passare rapidamente in rassegna gli strumenti alternativi che si sono affermati nella pratica, talora conoscendo anche elaborazioni più o meno compiute nella legislazione regionale.

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Una prima modalità, sperimentata per le opere suscettibili di un’utilizzazione idonea a garantire un ritorno economico (p.es. mercati di quartiere, parcheggi pubblici etc.), è quella del project financing, notoriamente disciplinato dalla legislazione in materia di concessioni pubbliche di lavori e servizi (e, oggi, in modo fortemente innovativo dagli articoli 193-195 del d.lgs. n. 36/2023) quale strumento – in teoria – in grado di “attrarre” risorse di investitori privati i quali, attraverso la successiva gestione dell’opera o del servizio, si assicurino non solo la copertura degli investimenti fatti ma anche un adeguato margine di utile62. Si tratta però di una modalità che, benché sperimentata con successo in alcune esperienze locali, pone problemi estremamente complessi (comportando l’indizione di una procedura di evidenza pubblica, il controllo dell’equilibrio economico-finanziario della proposta privata etc.) che solo le amministrazioni comunali di maggiori dimensioni sono in grado di affrontare63.

Non è poi qui il caso di esaminare analiticamente gli ulteriori strumenti alternativi all’esproprio oggi più diffusi al livello della legislazione regionale e della pianificazione comunale, ossia la perequazione urbanistica, la compensazione e la previsione di contributi supplementari o straordinari, con tutte le problematiche che hanno suscitato in dottrina e giurisprudenza64. Un passaggio intermedio nel percorso che ha portato alla nascita di questi istituti si può percepire nella vicenda di alcuni Comuni i quali, in conseguenza della decadenza degli originari vincoli espropriativi, ritennero di ripianificare le aree interessate assegnando alle stesse un indice di edificabilità molto basso, esteso a tutta l’area, e al tempo stesso condizionando l’esercizio dello jus aedificandida parte dei proprietari alla cessione di una quota variabile (40 o 60%) dell’area, in presenza della quale si sarebbe concretizzata la possibilità di costruire sull’area residua: una scelta ritenuta illegittima dalla giurisprudenza proprio a causa dell’assenza di una fonte di rango legislativo che legittimasse la compressione del diritto dominicale65.

In questa sede, è sufficiente ribadire come la nascita e lo sviluppo degli istituti perequativi, al confine tra la materia civilistica della circolazione dei diritti edificatori e quella pubblicistica della conformazione dei suoli, rappresentino, al tempo stesso, un segnale della necessità di trovare forme più eque e moderne di ripartizione degli oneri e dei vantaggi derivanti dalle scelte di pianificazione, all’interno di quel complesso sistema di istituti che è stato ricondotto al modello della “urbanistica consensuale”66, ed un’ulteriore conferma dell’urgente necessità di un intervento chiarificatore del legislatore statale in questo settore (al di là delle disposizioni più o meno estemporanee introdotte negli ultimi anni), in particolare alla luce dei perduranti dubbi che possono porsi in termini di compatibilità con lo statuto del diritto di proprietà, 67 pur in presenza di significative aperture della giurisprudenza sia amministrativa che costituzionale68.

Occorre però spendere ancora qualche parola su un’altra modalità, sempre più diffusa nella odierna legislazione regionale e nazionale, per l’attuazione delle politiche di infrastrutturazione e urbanizzazione del territorio: la “rigenerazione urbana”. Con questa formula – coniata e molto utilizzata dalle scienze urbanistiche, ambientali, agrarie e della tutela dei beni culturali – si definisce la scelta di fondo di privilegiare il recupero e il riutilizzo del patrimonio edilizio esistente, in un’ottica di contenimento del consumo di suolo secondo le prescrizioni rivenienti dalla più recente legislazione comunitaria69. Si tratta di un tema strettamente connesso anche alle tematiche della green economy e dello sviluppo sostenibile, come testimoniato anche dalla sempre maggiore attenzione della legislazione in materia di appalti pubblici alle tematiche del ciclo di vita e della compatibilità con la tutela dell’ambiente70.

Anche in questo caso, il problema principale è costituito dall’assenza di una definizione normativa di “rigenerazione urbana” dettata a livello nazionale71, ciò che autorizza la legislazione regionale a far rientrare in tale categoria una variegata tipologia di interventi, da quelli d’impostazione più propriamente urbanistica, quali il recupero di aree industriali dismesse o la riqualificazione di complessi immobiliari degradati o abbandonati , ad altri di matrice più strettamente edilizia in quanto incidenti anche solo su un singolo edificio già esistente. Ma è evidente che in questo modo il rischio, da un lato, è quello di svuotare di contenuto la nozione di “ristrutturazione edilizia” di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del T.U. edilizia, cui nel corso del tempo si è ritenuto di far assumere i caratteri di macro-categoria cui sarebbero riconducibili tutte le tipologie di interventi edilizi su immobili già esistenti72, e per altro verso quello – al limite – di giungere a smarrire lo stesso confine tra l’approccio urbanistico (in cui alla realizzazione di opere si accompagna una considerazione complessiva del contesto territoriale in cui le stesse s’inscrivono) e il mero intervento edilizio (che si esaurisce nella costruzione, o ri-costruzione, di uno o più edifici).

Per quanto concerne le modalità di attuazione degli interventi di rigenerazione urbana, resta ferma – come è ovvio – la possibilità di procedere mediante provvedimenti ablatori, di espropriazione degli immobili di privati che si dimostrino non collaborativi o scarsamente sensibili alle esigenze di risanamento. Ma, a parte le già note difficoltà economiche che tale modus procedendicomporta, vi è che per funzionare adeguatamente questi interventi dovrebbero essere assistiti da una pianificazione a monte, probabilmente di livello anche sovracomunale, che assicuri la previa e completa ricognizione delle condizioni delle aree interessate e delle loro esigenze di urbanizzazione; alla carenza di un tale approccio può solo in parte sopperirsi mediante il ricorso a forme di urbanistica negoziata (perequazione, compensazione, incentivi fiscali e/o volumetrici) le quali, se ancora una volta si dimostrano le più idonee a garantire il raggiungimento di effettivi e funzionali risultati di coordinamento tra soggetto pubblico e privati73, scontano il limite intrinseco di incidere su porzioni limitate di territorio e quindi di non prestarsi alle necessità di riqualificazione e risanamento di grandi aree urbane (p.es. nelle periferie delle maggiori città)74.

Anche su questo terreno, dunque, deve prendersi atto di una perdurante inadeguatezza della normativa statale, la quale finisce per essere di ostacolo a una piena realizzazione delle nuove esigenze sociali ed economiche che l’esperienza di oggi pone in primo piano, quando poi – come in alcuni casi di recenti interventi legislativi “estemporanei” 75 – non si ponga addirittura in contrasto con le finalità generali che una moderna pianificazione urbanistica dovrebbe perseguire.

Olbia, indicazioni del piano stralcio di assetto idrogeologico (P.A.I.)

* Il presente contributo riproduce, con integrazioni e adattamenti, la relazione tenuta in occasione del Corso di formazione per magistrati amministrativi neoassunti su “Urbanistica, edilizia ed espropriazione”, organizzato dall’Ufficio studi e formazione della Giustizia amministrativa e tenutosi in modalità telematica il 13 dicembre 2024.

1 Cfr. G. ABBAMONTE, Programmazione economica e pianificazione territoriale, in Enc. dir.,agg. II, Milano, Giuffré, 1998, p. 811. Cfr. anche E. CHITI, I rapporti fra espropriazione e strumenti urbanistici: un itinerario giurisprudenziale, in AA.VV., Scritti in onore di M.S. Giannini,Milano, Giuffré, I, p. 179, che osserva come col tempo l’espropriazione sia venuta a configurarsi come una fase fondamentale della pianificazione urbanistica.

2 è noto come gli interventi di infrastrutturazione abbiano avuto inizialmente a oggetto soprattutto l’implementazione della rete ferroviaria italiana, all’epoca ancora frammentata nella gestione di una pluralità di società e non sviluppata a sufficienza da garantire i collegamenti con tutte le regioni del Paese: sul tema, cfr. S. MAGGI, Le ferrovie,Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 11 ss. Sui molteplici e multiformi aspetti delle politiche economiche post-unitarie, cfr. G. TONIOLO – C. BASTASIN, La strada smarrita: breve storia economica d’Italia, Bari, Laterza, 2020; E. FELICE, Ascesa e declino: storie economica d’Italia, Bologna, Il Mulino, 2015, in particolare pp. 118 ss.

3 Cfr. P. URBANI, Lo stato dell’urbanistica. Viaggio nella disciplina e nella società, Torino, Giappichelli, 2024 pp. 1 ss., il quale cita l’opera di Haussmann nella riconfigurazione architettonica della Parigi imperiale, le trasformazioni della Vienna di Francesco Giuseppe e, per l’Italia, la legge del 1885 sul risanamento della città di Napoli dopo l’epidemia di colera.

4 Cfr. P. URBANI, Istituzioni, economia, territorio. Il gioco delle responsabilità nelle politiche di sviluppo, Torino, Giappichelli, 2020, pp. 11-12, il quale sottolinea come sia proprio in questo periodo che nascono le “classiche” articolazioni (ANAS, provveditorati alle opere pubbliche etc.) attraverso le quali l’amministrazione statale esercita le competenze in questione. Sulle radici storiche della competenza comunale in materia di pianificazione, cfr. P.L. PORTALURI, Dal diritto delle costruzioni nelle città al governo del territorio, in AA.VV., Dall’urbanistica al governo del territorio. Valori culturali, crescita economica, infrastrutture pubbliche e tutela del cittadino. Atti del LXV Convegno di studi di Scienza dell’Amministrazione, Varenna, 19-21 settembre 2019, Milano, Giuffré, 2020, pp. 83 ss.

5 Cfr. G. MAZZEO, Sulla pianificazione territoriale in Italia. Cronache, esperienze, prospettive, Milano, Franco Angeli, 2021, p. 11 (sia pure nell’ambito di un giudizio complessivamente negativo sull’efficacia dell’impiego in funzione di sviluppo economico delle scelte di governo del territorio).

6 In effetti, il “classico” schema del vincolo espropriativo incluso nello strumento urbanistico, con devoluzione ai piani attuativi della dichiarazione di pubblica utilità (elaborato in relazione alle zone B di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444), è oggi limitato alla realizzazione delle grandi opere pubbliche (ferrovie, autostrade etc.): ne consegue una forte contrazione anche del contenzioso giudiziale in materia espropriativa.

7 In generale sulla “funzione sociale” dell’urbanistica nella Costituzione, cfr. S. GATTO COSTANTINO – P. SAVASTA, Manuale dell’urbanistica, dell’edilizia e dell’espropriazione, Roma, nel Diritto, 2012, pp. 33 ss..

8 Cfr. G. TAGLIANETTI, Regolazione del territorio e limiti all’iniziativa privata: il rapporto tra pianificazione urbanistica e disciplina del commercio, alla luce della normativa tendente alla liberalizzazione delle attività economiche, in Riv. giur. edilizia,2017, 2, pp. 57 ss.

9 Cfr. P. STELLA RICHTER, Profili funzionali dell’urbanistica, Milano, Editoriale Scientifica, 1984, p. 17.

10 Non è ovviamente questa la sede per approfondire il tema della portata degli oneri motivazionali che devono accompagnare le scelte di pianificazione del territorio e dei connessi limiti alla sindacabilità giurisdizionale delle stesse: sul punto, resta fondamentale S. BACCARINI, Sindacabilità della discrezionalità del potere di pianificare e legittimità della normativa, in Riv. giur. edilizia,2014, 3, pp. 99 ss.

11 P. STELLA RICHTER, La perequazione urbanistica,in Riv. giur. edilizia, 2005, 2, p. 169, che cita gli studi di Henry Jacquot e di altri Autori. Sulla stessa linea, peraltro, già F. PAPARELLA, La compensazione degli utili e degli oneri in urbanistica, Bari, Cacucci, 1990, p. 8, il quale osserva, citando il pensiero di Giannini, come una siffatta opera di conformazione della proprietà privata sia sul piano costituzionale non solo legittima, ma addirittura doverosa.

12 Cfr. P. STELLA RICHTER, op. e loc. cit.

13 Così, ad esempio, L. MARUOTTI, Codificazione e semplificazione,in AA.VV., Diritto amministrativo ed economia: una sinergia per la competitività del Paese. Atti del LX convegno di Scienza dell’Amministrazione, Varenna, 18-20 settembre 2014, Milano, Giuffré, 2015, p. 189, che anzi vede proprio nel T.U. degli espropri l’eccezione all’innegabile difficoltà di semplificare il complesso panorama normativo moderno attraverso attività di codificazione.

14 Cfr. le considerazioni di P. URBANI, Urbanistica solidale. Alla ricerca della giustizia perequativa tra proprietà e interessi pubblici, Torino, Bollati Boringhieri, 2011, pp. 11 ss..

15 Sull’evoluzione “storica” delle funzioni svolte dal diritto urbanistico, cfr. P. URBANI, Le nuove frontiere del diritto urbanistico: potere conformativo e proprietà privata, in AA.VV., Le nuove frontiere del diritto urbanistico, a cura di P. Urbani, Torino, Giappichelli, 2014, pp. 75 ss. Si parla anche di urbanistica degli “interessi differenziati”, per rappresentare la pluralità di esigenze e interessi, non più riducibili alla semplice regolazione dello sviluppo urbano, che vengono oggi in rilievo nelle scelte pianificatorie: sul punto, cfr. P. MANTINI, Dall’urbanistica per piani ed accordi al governo liberale del territorio per sussidiarietà e concorsualità, in Riv. giur. edilizia,2013, 3, pp. 141 ss.

16 Cfr. P. URBANI, Urbanistica solidale,cit., pp. 18 ss..

17 Cfr. P.L. PORTALURI, Il principio di pianificazione,in AA.VV., Studi sui principi del diritto amministrativo,a cura di M. Renna e F. Saitta, Milano, Giuffré, 2012, p. 455.

18 Per le aree esterne all’abitato la stessa legge introduceva un diverso strumento, il “piano di ampliamento” (articoli 93-94).

19 Cfr. P.L. PORTALURI, op. ult. cit.,p. 456, che richiama, oltre alle leggi speciali per Napoli (1885), per Milano (1912), per Tripoli (1912) e per Roma (1931) il r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765, che introduceva – senza peraltro prevedere alcuna sanzione in caso di inosservanza – l’obbligo di dotarsi di piani regolatori per tutti i Comuni che fossero stazioni di cura, soggiorno e turismo. In generale, sulla genesi storica della “legge fondamentale dell’urbanistica” e sulle sue fortune, cfr. M. ZOPPI – C. CARBONE, La lunga vita della legge urbanistica del ’42,Firenze, Didapress, 2018.

20 Su questi aspetti si rimanda ancora a P.L. PORTALURI, op. ult. cit., pp. 457 ss..

21 Con la sentenza n. 6 del 20 gennaio 1966 fu introdotta la nozione di “vincolo espropriativo”, ricorrente non solo quando la previsione urbanistica prefigura una totale ablazione del diritto di proprietà ai fini della realizzazione di un’opera pubblica ma anche quando essa determina il sostanziale azzeramento delle facoltà giuridiche del proprietario, prevedendo per tali ipotesi l’obbligo di indennizzare quest’ultimo per il deprezzamento che il bene subisce (ove anche permanga nella sua disponibilità). Con la successiva sentenza n. 38 del 14 maggio 1966 la Corte chiarì la differenza tra i predetti vincoli e quelli meramente “conformativi” della proprietà privata, i quali costituiscono espressione della potestà pianificatoria del Comune, possono comportare limitazioni alle facoltà dei proprietari ma non ne determinano mai l’ablazione e pertanto hanno durata a tempo indeterminato. Infine, con la sentenza n. 55 del 29 maggio 1968 la Corte portò alle conseguenze la propria ricostruzione, affermando l’impossibilità che i vincoli ablatori potessero avere durata indefinita e ponendo al legislatore l’alternativa – poi sfociata nelle norme, a tutt’oggi ancora vigenti, di cui appresso nel testo – tra la previsione di un limite massimo di efficacia dei vincoli e la necessità di accompagnarli sempre e comunque con un indennizzo.

22 Con la storica sentenza n. 179 del 20 maggio 1999, cui si è conformata tutta la giurisprudenza successiva, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il combinato disposto degli articoli 7, n. 2, 3 e 4, e 40 della legge n. 1150/1942 e 2, comma 1, della legge n. 1187/1968, nella parte in cui consentivano all’amministrazione di reiterare i vincoli espropriativi scaduti per decorso del quinquennio, senza la previsione di un indennizzo.

23 Sul punto, cfr. L. MARUOTTI, I vincoli conformativi della pianificazione e la tutela della proprietà privata tra Costituzione e CEDU, in www.giustizia-amministrativa.it ,24 aprile 2020. Sul tema, si veda anche P. URBANI, Urbanistica solidale, cit., pp. 30 ss., il quale richiama l’elaborazione giurisprudenziale in ordine ai vincoli “misti”, a iniziativa pubblica e privata, in virtù della quale è consentito ai Comuni di elaborare vincoli con i quali, consentendo anche ai privati proprietari di realizzare determinate opere di interesse pubblico (parcheggi, impianti sportivi etc.), si determinava di fatto una trasformazione dei vincoli espropriativi in conformativi, in modo da sfuggire alla decadenza del vincolo e alle sue onerose conseguenze.

24 Con la sentenza n. 3987 del 10 giugno 1983, le Sezioni Unite della Corte di cassazione chiarirono che non è in sé violativa del diritto di proprietà l’imposizione di vincoli a contenuto espropriativo da parte del P.R.G., perché ciò che fonda il potere ablatorio è la successiva dichiarazione di pubblica utilità contenuta nel piano particolareggiato. Con la successiva sentenza n. 11257 del 15 ottobre 1992, la S.C. negò che spettassero alla giurisdizione ordinaria le controversie in tema di provvedimenti reiterativi di vincoli non accompagnati dalla previsione di un indennizzo, non trattandosi di atti amministrativi posti in essere dalla p.a. in carenza assoluta di potere (secondo le categorie con cui all’epoca era prevalentemente impostato il tema del riparto di giurisdizione tra g.o. e g.a.).

25 Fin dalle decisioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 2 aprile 1984 e n. 10 del 30 aprile 1984, la giurisprudenza amministrativa ha sempre concordemente affermato che: a) in caso di decadenza del vincolo espropriativo per decorso del termine quinquennale, non rivive la precedente destinazione urbanistica dell’area interessata né può applicarsi quella delle aree limitrofe omogenee; b) in questi casi, l’area diviene edificabile nei limiti previsti dall’articolo 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (oggi riprodotto dall’articolo 9 del d.P.R. n. 380/2001) per le c.d. “zone bianche”; c) ove ritenga di reiterare il vincolo decaduto, l’amministrazione è tenuta a motivare congruamente in ordine all’effettiva persistenza del pubblico interesse che giustifica il prolungarsi del sacrificio della proprietà privata, previa approfondita valutazione circa le possibili alternative praticabili per la composizione degli interessi in conflitto.

26 Cfr. S. GATTO COSTANTINO – P. SAVASTA, op. cit., pp 287 ss.

27 Cfr. S. GATTO COSTANTINO – P. SAVASTA, op. cit.,pp. 303 ss.

28 Cfr. S. GATTO COSTANTINO – P. SAVASTA, op. cit.,pp. 315 ss.

29 Cfr. S. GATTO COSTANTINO – P. SAVASTA, op. cit.,pp. 320 ss.

30 La nozione di “opere di urbanizzazione” (poi distinte in primarie e secondarie), originariamente elaborata a livello tecnico, è stata recepita per la prima volta dal legislatore nella legge 29 settembre 1964, n. 847, venendo poi riprodotta dalle successive disposizioni in materia edilizia fino all’attuale articolo 16 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico dell’edilizia). Il concetto, strettamente connesso alla questione dei limiti allo jus aedificandi posti in funzione dell’ordinato sviluppo del territorio, è che chiunque intenda edificare su un suolo di sua proprietà debba essere chiamato a contribuire agli interventi pubblici di urbanizzazione e infrastrutturazione resi necessari per assicurare la fruibilità dell’area alla luce del maggior carico urbanistico ed edilizio determinato su di essa dall’intervento cui chiede di essere abilitato.

31 Sulla vicenda del d.m. n. 1444/1968, attualmente al centro di una delicata problematica relativa al suo carattere, cogente o meno, rispetto alla legislazione regionale, cfr. P.L. PORTALURI, L’“incanto che non so dire”: unicità e unicismi procedimentali nel governo del territorio, in http://www.giustizia-amministrativa.it,10 gennaio 2022.

32 Che la nozione di “comparto edificatorio”, nata semplicemente per agevolare l’edificazione unitaria e organica di una determinata zona anche in assenza di accordo tra i proprietari interessati, sia divenuta col tempo il migliore strumento utilizzabile per eliminare o ridurre gli effetti sperequativi intrinseci nella pianificazione tradizionale, è da tempo evidente in dottrina: cfr. F. PAPARELLA, op. cit.,pp. 25 ss., che considera decisive in tal senso le innovazioni introdotte dall’articolo 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10.

33 Alcuni commentatori hanno evidenziato le possibili criticità del meccanismo di silenzio-assenso regionale delineato dall’articolo 19, comma 4, del d.P.r. n. 327/2001: tuttavia, la Corte costituzionale fin da tempi risalenti ha affermato che, se è vero che la regola della compartecipazione di Comune e Regione agli atti di pianificazione generale costituisce uno dei principi fondamentali della legislazione statale in subiecta materia (ai sensi degli articoli 5 e 128 Cost.), tuttavia spetta al legislatore, sia statale che regionale, l’individuazione dei modi con cui in concreto può avvenire il coinvolgimento della Regione, spettando poi alla Corte il sindacato delle scelte operate sotto il profilo della ragionevolezza (cfr. Corte cost., sent. 3 novembre 1988, n. 1010).

34 Sul punto, sia consentito rinviare a R. GRECO, Programmazione e progettazione: le novità del nuovo codice, in http://www.giustizia-amministrativa.it,20 luglio 2023

35 Nonostante il legislatore del 1942 avesse stabilito che sia il P.R.G. che i piani particolareggiati dovessero essere corredati, rispettivamente, da una “previsione di massima delle spese” (articolo 30) e da un “piano finanziario” (articolo 13), queste previsioni rimasero inattuate dapprima grazie alla giurisprudenza, secondo la quale la carenza della previsione di spesa non integrava un vizio di legittimità dello strumento urbanistico generale, e quindi per effetto della legge n. 765/1967, la quale ammise espressamente che anche per i piani attuativi la relazione di spesa potesse essere costituita da previsioni “di massima”. Sul punto, cfr. S. GATTO COSTANTINO – P. SAVASTA, op. cit., p. 114 e pp. 230 ss.

36 Cfr. A. MONACO, Urbanistica, ambiente e territorio,Napoli, Edizioni Giuridiche Simone, 2003, pp. 817 ss.

37 In particolare, la disciplina della localizzazione delle opere pubbliche (i cui profili di delicatezza sono intuitivi, coinvolgendo essa le necessarie intese tra i diversi livelli territoriali dell’amministrazione che sono interessati) è stata per lungo tempo contenuta nel d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, nonostante i problemi di coordinamento determinati dal sovrapporsi delle competenze regionali; un tentativo di riordino si è avuto solo con l’articolo 38 del nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023): cfr. R. GRECO, op. ult. cit.

38 Cfr. V. SALAMONE, I vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione per pubblica utilità, in http://www.giustizia-amministrativa.it,2 marzo 2010.

39 Sul punto, cfr. da ultimo S. ZEULI, La qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza, in http://www.giustizia-amministrativa.it,2024.

40 Così P. URBANI, Sulla pianificazione urbanistica: modalità di acquisizione dei suoli, garanzia dei servizi pubblici e rigenerazione dei beni comuni, in Riv. giur. edilizia,2019, 4, p. 303.

41 Cfr. P. URBANI, op. ult. cit.,pp. 304-305.

42 Cfr. S. SANTORO, Perequazione urbanistica, compensazione e altri strumenti premiali in funzione di rigenerazione urbana, tra urbanistica e pianificazione territoriale, in Foro amm.,2020, 11, p. 2228. Sulle contraddizioni del “Piano-casa”, cfr. P. URBANI, Lo stato dell’urbanistica, cit., pp. 63 ss..

43 Cfr. P. URBANI, Ripensare la città o la città contemporanea? Note a margine, in www.pausania.it.,2020, pp. 23 ss..

44 Cons. Stato, Ad. gen., parere 29 marzo 2001, n. 4. Esula dalla presente trattazione il tema – a sua volta oggetto di un travagliato iternormativo e giurisprudenziale – della commisurazione dell’indennità di esproprio: al riguardo, cfr. L. TARANTINO, La disciplina dell’indennità d’esproprio tra diritto nazionale e diritto europeo, Nota a Cass. sez. I civ. 25 novembre 2010, n. 23965 , in Urbanistica e appalti, 2011, 3, pp. 303 ss.; S. MOSCARINI, Indennità di espropriazione e valore di mercato del bene: un passo avanti e uno indietro della Consulta nella costruzione del patrimonio costituzionale europeo, in http://www.federalismi.it,n. 22/2007 (22 novembre 2007).

45 Va peraltro soggiunto che ben difficilmente nuovi istituti, per di più dalla portata dirompente come quelli cui si accenna nel testo, avrebbero potuto essere introdotti con il d.P.R. n. 327/2001, trattandosi di un Testo Unico volto, giusta la previsione dell’articolo 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, ad assicurare essenzialmente il “riordino” delle norme legislative e regolamentari vigenti in materia.

46 Sulla genesi della revisione costituzionale del 2001 e sulle sue conseguenze nel settore del governo del territorio, cfr. P. URBANI, Istituzioni, economica, territorio, cit., pp. 16 ss..

47 Cfr. G. ABBAMONTE, L’evoluzione della disciplina in materia di edilizia ed espropriazione e le principali problematiche giurisprudenziali, in http://www.giustizia-amministrativa.it,2008.

48 Cfr. P. MANTINI, op. cit.,p. 144.

49 G. CAMPOS VENUTI, La terza generazione dell’urbanistica,Milano, 1987, del quale nel testo si sintetizzano all’estremo le tesi di fondo.

50 L’espressione è di P. STELLA RICHTER, Relazione generale,in La sicurezza del territorio. Pianificazione e depianificazione. Atti del 15° e del 16° Convegno nazionale dell’Associazione italiana di diritto urbanistico, a cura di P. Stella Richter, Milano, 2014, 143 ss. Cfr. anche G. PAGLIARI, Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, in Riv. giur. edilizia,2013, 3, 135 ss.

51 Il primo esempio è quello della tutela del paesaggio, che già fin dalla legge 8 agosto 1985, nr. 431 (c.d. legge Galasso), ha inciso profondamente sulla disciplina urbanistica.

52 Cfr. P. MANTINI, Contributo allo studio del governo liberale e nazionale del territorio, in La sicurezza del territorio,cit., 163 ss., il quale parla di “urbanistica concorsuale”.

53 Cfr. G. PAGLIARI, op. cit..

54 Cfr. P. MANTINI, op. cit.,p. 148, nonché, in dettaglio, P. URBANI, Lo stato dell’urbanistica,cit., pp. 37 ss..

55 Cfr. P. STELLA RICHTER, I sostenitori dell’urbanistica convenzionale, in AA.VV., Le nuove frontiere del diritto urbanistico, cit., p. 23, che sembra considerare la distinzione in discorso una inutile (ancorché difficilmente eliminabile) superfetazione della legislazione regionale.

56 Cfr. P. URBANI, Lo stato dell’urbanistica,cit., p. 39.

57 Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710; nello stesso senso, Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6040.

58 Per alcune indicazioni specifiche, cfr. S. SANTORO, op. cit., p. 2239.

59 Il tema è tornato d’attualità nell’ambito del recente dibattito sull’attuazione della previsione contenuta nell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione in tema di c.d. autonomia differenziata e sulla necessità di individuare, anche per la materia del governo del territorio, i livelli essenziali delle prestazioni (L.E.P.) da assicurare uniformemente sul territorio nazionale: cfr. P.L. PORTALURI, Nel governo del territorio gli standard del 1968 sono validi ancora oggi, in Il Sole24Ore,31 gennaio 2024.

60 Cfr. P. STELLA RICHTER, op. e loc. ult. cit.

61 Cfr. P. URBANI, Nozione ed evoluzione della disciplina urbanistica. Statuto conformativo della proprietà privata. Le nuove forme di pianificazione nella legislazione regionale. Vincoli conformativi ed espropriativi, in http://www.giustizia-amministrativa.it,2018.

62 Per una trattazione generale sul project financingnella più recente disciplina, cfr. B. RAGANELLI, La finanza di progetto,in M. CLARICH (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, Torino, Giappichelli, 2019, pp. 1321 ss..

63 Cfr. P. URBANI, Sulla pianificazione urbanistica,cit., p. 306.

64 Su questi temi, cfr. S. SANTORO, Perequazione urbanistica, compensazione e altri strumenti premiali in funzione di rigenerazione urbana, tra urbanistica e pianificazione territoriale, in Foro amm.,2020, 11, pp. 2227 ss.; P. MANTINI, La perequazione urbanistica nel tempo della rigenerazione urbana, in Riv. giur. edilizia,2017, 6, pp. 375 ss.; R. GAROFOLI, La perequazione urbanistica: nozione e compatibilità con il principio di legalità, l’art. 42 cost., i criteri di riparto tra Stato e regioni della potestà legislativa, in www.elibrary.fondazionenotariato.it ,2012; E. BOSCOLO, Le perequazioni e le compensazioni, in Riv. giur. urb.,2010, pp. 155 ss.; P. STELLA RICHTER, La perequazione urbanistica, in Riv. giur. edilizia,2005, 2, pp. 169 ss.; S. PERONGINI, Profili giuridici della pianificazione urbanistica perequativa, Milano, Giuffré, 2005; G. SABBATO, La perequazione urbanistica, in www.giustizia-amministrativa.it ,2005.

65 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4833, relativa al P.R.G. del Comune di Bassano del Grappa. Sulla vicenda si legga G. GUZZO, Nuova frontiera della pianificazione urbanistica e diritti costituzionali (Riflessioni a margine della Sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 4833, del 21 agosto 2006, e del caso “Città di Roma”), in www.ambientediritto.it ,6 novembre 2006.

66 Sul tema, resta fondamentale P. URBANI, Urbanistica consensuale,Torino, Bollati Boringhieri, 2000.

67 In particolare, sulla perequazione urbanistica cfr. I. CACCIAVILLANI, L’ultimo tabù dell’urbanistica: la perequazione, in Riv. giur. edilizia,2010, 1, pp. 867 ss.. Sul contributo straordinario “perequativo” introdotto dal d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, cfr. P. MANTINI, op. ult. cit., pp. 392 ss.

68 Al riguardo, il riferimento obbligato è alle sentenze con le quali il Consiglio di Stato, chiamato a occuparsi degli incisivi istituti perequativi inclusi nel Nuovo P.R.G. del Comune di Roma, ha ritenuto che gli stessi trovassero il proprio fondamento, oltre che nella potestà conformativa del territorio di cui l’amministrazione comunale è titolare nell’esercizio del proprio potere di pianificazione, nella possibilità di ricorrere a moduli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse, secondo il modello generale dell’articolo 11 della legge n. 241/1990: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, n. 4545. Questa ricostruzione è stata successivamente condivisa in modo espressa dalla Corte costituzionale, chiamata a occuparsi della legittimità costituzionale della previsione espressa in tema di contributo straordinario introdotta per Roma Capitale dall’articolo 14, comma 16, lettera f), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (Corte cost., sent. 17 luglio 2017, n. 209).

69 Cfr. S. SANTORO, op. cit.,pp. 2232-2233, che richiama anche la nozione di “suolo” di cui all’articolo 5, comma 1, lettera v-quater), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, introdotta dal d.lgs. 4 marzo 2014, n. 46.

70 Come è noto, l’articolo 34 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), come modificato dal correttivo di cui al d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, ha generalizzato l’obbligo delle amministrazioni aggiudicatrici di concludere contratti “verdi”, ossia ambientalmente sostenibili, e le relative previsioni appaiono confermate dall’attuale articolo 57 del d.lgs. n. 36/2023. Sul punto, cfr. F. DE LEONARDIS, Criteri di sostenibilità energetica e ambientale, in Trattato sui contratti pubblici,a cura di M.A. Sandulli e R. de Nictolis, Milano, Giuffré, 2019, II, pp. 167 ss.

71 Nella relazione di accompagnamento al più recente disegno di legge tendente a introdurre una disciplina-quadro in materia di pianificazione e governo del territorio (atto Camera n. 283, presentato il 13 ottobre 2022), si legge che la rigenerazione urbana “ attiene alla ripianificazione di aree urbanizzate le cui destinazioni d’uso sono ormai incompatibili

con le esigenze della collettività insediata (edifici industriali dismessi, beni pubblici abbandonati, aree degradate), ma per le quali si richiedono anche una riqualificazione energetica e una migliore garanzia nei riguardi della cosiddetta «città pubblica», ovverosia del miglioramento dei servizi reali e personali carenti ”. Sul tema, cfr. A. GIUSTI, Che cos’è la rigenerazione urbana, in AA.VV., Riprendiamoci la città. Manuale d’uso per la rigenerazione urbana, Roma, IFEL-Fondazione ANCI, 2023, pp. 17 ss..

72 Come è noto, la possibilità di individuare un’autonoma categoria di “sostituzione edilizia”, che indentificherebbe tutti gli interventi di ricostruzione totale o parziale di edifici preesistenti, dopo essersi affacciata in alcune leggi regionali, è stata presa in considerazione in recenti proposte di riforma della legislazione in materia edilizia: si veda, ad esempio, l’articolato normativo denominato “Disciplina delle costruzioni” elaborato nel 2021 dal tavolo istituito dal Ministero delle infrastrutture presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici (in http://www.ingenio-web.it/articoli/nuovo-testo-unico-delle-costruzioni-ecco-la-bozza-per-la-discussione-al-consiglio-superiore-lavori-pubblici /).

73 Sul punto, si rinvia ancora una volta a P. MANTINI, La perequazione urbanistica nel tempo della rigenerazione urbana, cit.

74 Cfr. S. SANTORO, op. cit.,pp. 2233 ss.

75 Cfr. S. SANTORO, op. cit.,pp. 2230 ss. (a proposito della recente modifica del comma 1- bis dell’articolo 2-bisdel Testo Unico dell’edilizia operata con il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, che avrebbe reso di fatto impossibili gli interventi di rigenerazione urbana nei centri storici).

Sardegna, piano paesaggistico regionale (P.P.R.), litorale di Gairo

(foto da Wikipedia, S.D., archivio GrIG)



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link