Giorgia Meloni valuta la sua presenza al Trump day, ma senza invito ufficiale

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di
Marco Galluzzo 

Il prossimo 20 gennaio Donald Trump si insedierà ufficialmente alla Casa Bianca. La premier italiana controlla l’agenda

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Forse sì. Ma anche forse no. Giorgia Meloni andrà a Washington, il 20 gennaio, nel giorno dell’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti? Se chiedi a Palazzo Chigi ti rispondono che andrebbe volentieri, ma che sta ancora considerando la sua agenda personale, e che dunque una decisione sarà presa solo nei prossimi giorni, per il momento il primo target del capo del governo è la liberazione della nostra connazionale detenuta in Iran.

La vicenda di Cecilia Sala incrocia però solo in parte la decisione della premier di volare a Washington nel giorno dell’insediamento di Donald Trump. È vero che in queste ore esistono dei contatti fra i servizi segreti dei due Stati, così come fra le due amministrazioni della Giustizia, ed esiste anche una sorta di apparato di transizione fra l’amministrazione Biden e quella Trump, che in queste ore parla con le autorità italiane, sia Farnesina che Palazzo Chigi.




















































Indubbiamente la detenzione di Cecilia Sala ha non poche relazioni con l’arresto di Mohammad Abedini, l’ingegnere svizzero iraniano oggetto di una richiesta di estradizione da parte della giustizia americana. Ma la presenza a Washington di Meloni, il 20 gennaio, non può essere ricondotta solo a questa vicenda, anzi viaggia su un binario diverso e non convergente.
Secondo quanto risulta al Corriere la premier non è mai stata invitata in modo ufficiale alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente americano. E non perché sia stato fatto uno sgarbo all’Italia, piuttosto perché da decenni l’insediamento prevede come momento formale solo l’invito agli ambasciatori accreditati presso il governo americano. Trump giurerà per il suo secondo mandato di fronte al Congresso degli Stati Uniti, sarà presente la nostra ambasciatrice a Washington, Mariangela Zappia, così come l’ambasciatore cinese o russo. E questo prevedono il protocollo e le consuetudini formali fra gli Stati.

C’è una ragione se l’amministrazione americana ha smentito di aver mai invitato alla cerimonia il presidente cinese, e la ragione è proprio nel fatto che un invito ufficiale non è mai intercorso. Se Xi Jinping non andrà è dunque perché non è mai stato invitato, se non forse in modo ufficioso, magari con un messaggino personale, da parte di Trump. La stessa dinamica riguarda l’Italia. A Palazzo Chigi non esiste alcun invito ufficiale, e se Meloni sta ancora valutando se esserci o no, magari in un parterre di ambasciatori e non di capi di governo, è solo perché a Parigi, all’inaugurazione della nuova Notre Dame, nel corso del loro primo incontro, Donald Trump l’ha invitata a livello personale.

Ma un invito personale non è un invito ufficiale, e per quanto i leader tendano a bypassare i propri uffici diplomatici, le comunicazioni via WhatsApp sono comunque sottoposte a un registro diverso. Nessun premier italiano è mai andato alla cerimonia di insediamento alla Casa Bianca, alcune eccezioni le hanno fornite i premier inglesi, ma questa è un’altra storia. Come un’altra storia è il fatto che Matteo Salvini abbia detto più volte di «contare di essere alla cerimonia di insediamento».
Nella valutazione in corso a Palazzo Chigi — che fra le altre cose incrocia la presenza di Biden a Roma, per salutare il Papa, e incontrare la stessa Meloni, a Palazzo Chigi, intorno al 16 gennaio — anche queste dinamiche hanno un peso. Meloni, dicono nel suo staff, risponderebbe volentieri a un invito ufficioso e personale di Trump, con il quale ha già definito un rapporto costruttivo, ma sicuramente non avrebbe senso ritrovarsi a partecipare a una cerimonia di ambasciatori.

Anche per questo motivo, visto che un forfait non pregiudicherebbe in alcun modo un rapporto che appare nato su un canale solido di sintonia politica, la decisione verrà presa nei prossimi giorni.


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