Chi è Alexander Langer, il padre dell’ecologismo e della ‘Rivoluzione Green’

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Negli anni 80 la presa di coscienza ambientalista visse un fervido periodo: il clima finì al centro della politica anche grazie alle intuizioni di Alexander. Ma oggi il nesso tra politica e ambiente si è infragilito…

Il 3 luglio 1995 Alexander Langer, il profeta dell’ambientalismo italiano e il principale fondatore dell’ecologismo politico nel nostro Paese, decise purtroppo di concludere volontariamente la sua vita. Una vita troppo breve, ma straordinariamente ricca di esperienze innovative e di elaborazioni ideali, che oggi sono ancora più attuali di ieri.

Nel 2025 cadono dunque i trent’anni dalla sua scomparsa, e sarà certamente l’occasione per riprendere la riflessione sulla sua emblematica figura e sui suoi inesauribili insegnamenti. Un anno e mezzo prima della sua morte, nel novembre 1993, Alexander Langer scrisse un breve saggio intitolato L’ambiente, i movimenti, i partiti, poi pubblicato postumo nel volume intitolato Il viaggiatore leggero (Sellerio), che raccoglie i suoi scritti più significativi, a cura di Adriano Sofri e del suo principale collaboratore, Edi Rabini.

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L’analisi di Langer si apriva con queste sintetiche considerazioni: “Vedo tre aspetti decisivi per radicare una efficace tutela dell’ambiente: 1) identificare nella svolta ecologica una primaria urgenza del nostro tempo e volerla effettivamente compiere (un problema di consapevolezza pubblica e di volontà civica); 2) identificare le possibili opzioni pratiche per farvi fronte e scegliere tra esse (un problema di competenza e di coerenza ambientalista); 3) tradurre in decisioni pubbliche – legislative, amministrative, economiche, fiscali, ecc. – e comportamenti collettivi efficaci questa scelta e verificarne l’attuazione, battendo le resistenze ed incoraggiando scelte ed azioni conseguenziali (un problema di volontà e di capacità politica)”.

Dopo aver esaminato il ruolo sia dei movimenti e delle associazioni ambientaliste, sia quello dei “verdi politici”, Langer in quel saggio ha preso in specifica considerazione la dimensione politica: “Oserei dire che in Italia ‘la politica’ è stata il moltiplicatore decisivo della presa di coscienza ecologista durante gli anni 80. Curiosamente l’opinione pubblica italiana non è diventata ambientalista sulla spinta del disastro di Seveso (che invece ha convinto la Comunità europea a darsi una ‘direttiva Seveso’ sul rischio ambientale e industriale!), ma piuttosto perché ad un certo punto la tematica verde ha avuto una sua rappresentanza politica. Solo da quando il fattore verde è diventato un elemento di concorrenza politica ed elettorale, l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica ha cominciato a cogliere l’urgenza di una svolta ambientale”.

Sulla base di queste premesse, e dopo aver rilevato che anche l’attrattività dell’associazionismo ambientalista era assai aumentata proprio grazie alla presenza dei verdi come soggetto politico, Langer ha individuato un lungo elenco degli effetti in molti ambiti di questa allora nuova attività politica verde: “Una nuova consapevolezza si è fatta strada in diversi campi: p.es. un diffuso disagio verso la cementificazione e il proliferare di strade e autostrade, una vigilanza più critica contro la dissipazione energetica e l’abuso di fonti non rinnovabili, un’esigenza più rigorosa verso la genuinità e qualità ecologica degli alimenti, del vestiario, dei materiali di costruzione, ecc.; qualche (ancora piuttosto embrionale) presa di coscienza rispetto all’abuso di medicinali ed alla grandissima quantità di sostanze chimiche di sintesi (con un significativo mutamento di opinione generale p.es. sulla plastica), una più larga comprensione verso gli animali, un allarme sociale su fenomeni come le piogge acide, l’effetto serra, il buco nell’ozono, la sopravvivenza delle foreste tropicali, ecc. L’inquinamento delle acque del suolo e dell’atmosfera, il degrado ambientale e paesaggistico, persino il diffuso eccesso di rumorosità e forse soprattutto una critica generalizzata al dilagare della motorizzazione e dei fenomeni conseguenti, si sono imposte largamente. Alcune grandi campagne nazionali hanno polarizzato l’attenzione generale grazie all’azione politica dei verdi: p.es. quella che – dopo la catastrofe atomica di Cernobyl – ha portato alla promozione, prima, ed alla vittoria, poi, del referendum anti-nucleare”.

Rileggere oggi questo elenco, a oltre 31 anni da quando è stato scritto, fa una certa impressione, perché sono già allora sintetizzate quasi tutte le principali questioni ambientali ed ecologiche, tenendo presente che parlare a quel tempo di “effetto serra” era semplicemente un altro modo di definire quello che oggi chiamiamo tutti cambiamento climatico, o ancor meglio crisi climatica. Analizzando nuovamente il rapporto con i movimenti ambientalisti, Langer trae queste considerazioni sull’influenza reciproca: “Si sa che i movimenti ecologisti erano il vero humus nel quale i ‘verdi politici’ si erano sviluppati, ma curiosamente (…) l’azione politica dei verdi ha a sua volta notevolmente spianato la strada ai movimenti, conferendo alle loro tematiche un rilievo ed un’autorevolezza che non avevano avuto prima di essere stati toccati da questa sorta di ‘bacchetta magica’ che era la politica”.

Dopo aver ricordato alcune delle principali battaglie ambientaliste di quegli anni sul piano territoriale, Langer è ritornato sul rapporto tra movimenti e rappresentanza politica: “Forse si può dire che l’elaborazione ambientalista, cresciuta all’interno dei movimenti, attraverso la sua esplicitazione sotto forma di alternative praticabili (…) e quindi di scelte politiche da compiere, diventa un elemento decisivo di impegno civile, non per i soli addetti ai lavori. I verdi ‘politici’ hanno il merito – dove sanno fare il loro mestiere – di obbligare l’opinione pubblica e le amministrazioni ad affrontare finalmente queste tematiche e le scelte conseguenti (a volte assai ardue, come p.es. nel settore dei rifiuti o della viabilità urbana).” Quasi un anno dopo, nel settembre 1994, Langer pubblica sulla rivista Benessere ecologico il suo ampio intervento ai “Colloqui di Dobbiaco”, un vero e proprio saggio col titolo ancor oggi notissimo “La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”.

Il cuore di questo fondamentale saggio, uscito meno di un anno prima della sua scomparsa, sta proprio nel capitolo intitolato emblematicamente: “La domanda decisiva è: come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile? Lentius, profundius, suavius, al posto di citius, altius, fortius.” Dapprima aveva analizzato, nei capitoli precedenti, tutti i temi della crisi ecologica, le delusioni seguite alla Conferenza mondiale sull’ambiente di Rio de Janeiro del 1992 (“Perché l’allarme non ha prodotto la svolta? È già finito l’intervallo di lucidità Stoccolma 1972 – Rio 1992?”), le ambiguità del concetto di “sviluppo sostenibile” (“nuova formula mistificatrice?”), e infine l’impossibilità e inaccettabilità di qualsiasi forma di “Stato etico ecologico”, di “eco-dirigismo” o addirittura di “eco-autoritarismo”.

A questo proposito Langer scrive parole inequivocabili sul necessario rapporto tra ecologia e democrazia: “Si deve dire chiaramente che simili ipotetici ‘estremi rimedi’ si situano al di fuori della politica – almeno di una politica democratica. Ogni volta che si è sperimentato lo Stato etico in alternativa a situazioni o stati anti-etici (e quindi senz’altro deplorevoli), il bilancio etico della privazione di libertà si è rivelato disastroso. E l’attesa della catastrofe catartica non richiede certo alcuno sforzo di tipo politico: per politica si intende l’esatto contrario della semplice accettazione di una selezione basata su disastri e prove di forza”.

Ecco dunque, secondo Langer, l’alternativa non semplicistica e fondata sulla complessità della politica democratica anche sul piano ecologico: “Quindi si dovrà cercare altrove la chiave per una politica ecologica, ed inevitabilmente ci si dovrà sottoporre alla fatica dell’intreccio assai complicato tra aspetti e misure sociali, culturali, economici, legislativi, amministrativi, scientifici ed ambientali. Non esiste il colpo grosso, l’atto liberatorio tutto d’un pezzo che possa aprire la via verso la conversione ecologica: i passi dovranno essere molti, il lavoro di persuasione da compiere enorme e paziente.” Dunque, la sfida della democrazia si intreccia strettamente con la sfida ecologica, con la necessità di non illudersi di possibili rimedi “autocratici”, ma con la capacità di costruire il consenso popolare attraverso la rappresentanza, la partecipazione, la trasparenza a tutti i livelli politici e istituzionali.

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