Scommettiamo che non aprirai l’articolo perché c’è la parola “femminismo” nel titolo

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Lo stigma attorno alla parola femminismo è un fenomeno che non accenna a morire nonstante l’avanza di femminismi molto, molto pop che spopolano sui social. Il che non è sempre un bene: molte persone, soprattutto giovani, si aggrappano a slogan lanciati sui social e non si preoccupano di accedere alle riflessioni che a quesgli slogan danno vita e valore. Quindi non li afferrano, non li capiscono e non ne capiscono la portata politica e si trovano, nel loro quotidiano evidentemente sessista e patriarcale (il mondo lo è) a non saper gestire le prime conseguenze di un femminismo diventato mainstream. Ma non è questo il punto, per ora.


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Il punto è che attorno alla parola femminismo resiste uno stigma talmente forte che genera valanghe di convinzioni senza senso a cui poi si aggrappa: Idee come “Non mi definisco femminista, sono per la parità” (il femminismo è per la parità) sono nocive e non solo perché è falsa, ma perché mette le donne l’una contro l’altra.

il femminismo che serve (e serve a tutte e tutti)

Incomprensioni, stereotipi e resistenze sociali: nei confronti delle idee e degli obiettivi del movimento femminista impediscono ad ancora troppe persone di comprendere la portata di un fenomeno che fa bene non solo alle femmine, ma a tuttie le persone. Il femminismo si basa su principi di uguaglianza di genere, giustizia sociale e lotta contro le discriminazioni ma spesso viene percepito in modi distorti che generano reazioni negative.
Partiamo per esempio dalla ridicolizzazione da parte dei media: film, serie tv, reality e contenuti social spesso presentano le femministe come arrabbiate, radicali, pelose, solitarie e che odiano i maschi. Questo stereotipo riduce la credibilità del movimento e allontana chi potrebbe sostenerlo.

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Da dove origina lo stigma? Dal radicalismo percepito: Ci sono persone che sostengono l’uguaglianza di genere e che evitano di definirsi “femministe” per paura di essere giudicate radicali. Il femminismo è ancora associato alle immagini delle protesti degli anni Sessanta e Settanta o a episodi estremi, come i bidoni infuocati dentro ai quali bruciare reggiseni (un evento simbolico che in realtà è stato molto più circoscritto di quanto si creda) o la condanna dell’uso del make up e dei tacchi. Questa percezione nasce sicuramente dal timore di alcuni che il femminismo miri a ribaltare i ruoli di genere in modo punitivo, invece che a promuovere un equilibrio. Il che dovrebbe suggerire che gli uomini che per questa credenza si ribellano al femminismo non vorrebbero essere nei panni delle donne. Quindi lo sanno eccome, che esiste il patriarcato, che esiste il sessimo e che esiste una discriminazione sistemica.

disinformazione: causa di tutti i mali

Qui c’è una ovvia mancanza di informazione oppure c’è una ovvia strumentalizzazione che si finge disinformazione. Molti non comprendono che il femminismo non significa “superiorità delle donne” ma parità tra i generi. L’ignoranza diffusa sul significato del termine alimenta il pregiudizio, ma dal momento che da decenni viene fatto presente cosa significhi “femminismo” è davvero incredibile che ancora ci sia chi realmente crede che le donne vogliano sottomettere gli uomini. Le campagne educative e un linguaggio chiaro hanno certamente ridotto la diffusione di questo equivoco anni e anni fa, il femminismo riguarda diritti umani universali e infatti, uomini e persone queer partecipano da tempo alle lotte femministe.

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Ma tant’è che forse non è proprio un equivoco, forse è una farsa: in molte culture, compresa quella europea e italiana, il femminismo è visto come una minaccia alle norme familiari e sociali che si sono formate nell’era post industrialeE nei contesti in cui la donna è principalmente associata al ruolo di madre o moglie il femminismo viene percepito come un attacco a quell’asset e come un pericoloso pretesto, per le donne, per sottrarsi al loro ruolo predefinito. Ma questa “paura” non è altro che un’argomentazione a favore perché riflette il radicamento di strutture patriarcali che sentono il cambiamento come destabilizzante.

Gisele Pelicot

Gisele Pelicot 
(getty)

La minaccia percepita ai privilegi maschili (e etero, bianchi) è in realtà reale: il femminismo sfida le strutture di potere patriarcali e ciò significa che lotta affinché chi detiene privilegi li perda.

Nell’ottica femminista infatti non esiste una società equa se alcuni membri hanno più privilegi e poteri di altri. Che privilegi? Dallo scegliere una casa senza preoccuparsi che ci siano locali notturni aperti nelle vicinanze (una luce può salvare la vita) fino al reddito maggiorato, nonostante una parità di grado e ore lavorate. L’assenza del privilegio maschile rientra in quei miti e in quelle falsità storiche come “l’uguaglianza è già stata raggiunta, potete fare quello che volete”.

Ma sono miti, appunto. Le disuguaglianze sono persistenti: divario salariale, l’accesso limitato a ruoli di leadership, molestie, violenze psicologiche, esclusione, infantilizzazione, la cultura dello stupro, la responsabilizzazione per le violenze che si subiscono. In Italia tre donne su dieci non hanno un conto corrente: devono chiedere i soldi a qualcun altro. In tal senso, diffondere dati concreti può aiutare a smascherare l’idea che il femminismo sia “troppo”.

 

lo stigma attorno al femminismo è la prova che il femminismo serve

La gente stigmatizza il femminismo perché mette in discussione e nega le strutture di potere e le norme sociali che per secoli hanno fornito un senso di stabilità e ordine sulla pelle delle donne. Questo movimento, che si basa sull’idea di uguaglianza tra i generi, porta con sé una critica diretta al modo in cui le relazioni umane, le istituzioni e la società stessa sono state organizzate. Per molti, questo cambiamento è percepito come una minaccia, non solo ai privilegi consolidati ma anche alla loro identità personale e collettiva. 

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Quando il femminismo punta il dito contro il patriarcato, non si limita a criticare il potere degli uomini: denuncia un sistema che definisce ruoli e aspettative per tutti, uomini inclusi. Questo sistema è così radicato che, quando viene messo in discussione, genera una reazione di difesa, quasi istintiva. Ma il femminismo non è un movimento per il predominio delle donne. Questo errore di percezione è alimentato da narrazioni distorte, che enfatizzano episodi isolati di estremismo, ignorando il messaggio centrale del movimento e i benefici che tutte le persone ne traggono. Uomini inclusi. 

Infine, c’è un elemento psicologico profondo: il femminismo obbliga le persone a guardarsi dentro e a mettere in discussione non solo il sistema in cui vivono, ma anche i propri comportamenti, pregiudizi e privilegi. Questo processo di autoanalisi è chiaramente scomodo e quindi viene respinto. Allora stigmatizzare il femminismo diventa un modo per evitare questa introspezione e difendere una visione del mondo che appare meno complessa e più rassicurante, quando è solo violenta e pericolosa. 



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