Dal 28 novembre, ogni giorno, in Viale Rustaveli – la sede del Parlamento georgiano, a Tbilisi – risuonano fischi, canti e cori dei manifestanti che contestano la decisione del governo di Sogno Georgiano, guidato dal primo ministro Irakli Kobakhidze, di mettere in pausa fino al 2028 il processo di integrazione del Paese con l’Unione Europea.
«Monebo», schiavi, è la parola che viene scandita dalla folla contro i parlamentari di Sogno Georgiano. Schiavi della Russia, che secondo chi protesta manovra la politica georgiana da dietro le quinte, e che dal 2008 occupa militarmente le regioni di Abkhazia e Ossetia del Sud. Ma la mattina del 29 dicembre Viale Rustaveli è silenziosa mentre Mikheil Kavelashvili presta giuramento come nuovo presidente di fronte a un pubblico ristretto: i parlamentari di opposizione non hanno preso parte alla sessione, e ai media è stato vietato di presenziare all’insediamento.
Decine di migliaia di manifestanti hanno deciso di radunarsi invece davanti a Palazzo Orbeliani, la residenza presidenziale, dove si trova la presidente uscente Salome Zurabishvili, che da mesi si è resa portavoce delle aspirazioni europeiste del popolo e che ha giurato di non abbandonare i suoi cittadini, e di mantenere il potere come unica istituzione legittima in Georgia dopo le elezioni parlamentari del 26 ottobre – che secondo l’opposizione e la maggioranza delle Ong locali sono state truccate per favorire Sogno Georgiano. Tutti aspettavano la sua decisione: rimanere a Orbeliani, con il rischio di essere arrestata, per tentare di mantenere il potere a tutti gli effetti, o andarsene per garantire la pace nel Paese.
«Me ne andrò e verrò da voi. Resterò con voi. Questo edificio non è di nessuno: è stato il simbolo della legalità fino a che ha ospitato un presidente legittimo. E io porterò questa legittimità con me. La legittimità viene da un’unica fonte, e quella fonte siete voi. Se non esiste fiducia da parte delle persone, non può esistere legittimità. Ed è per questo che verrò con voi». Così, Zurabishvili ha spiegato la sua decisione alla folla di manifestanti, che a quel punto si è diretta verso Rustaveli.
La presidente, pochi giorni prima, si era rivolta al fondatore di Sogno Georgiano, l’oligarca Bidzina Ivanishvili sanzionato dagli Stati Uniti come agente russo, per chiedergli di fissare insieme una data per delle nuove elezioni che dimostrassero il volere dei georgiani, ma la richiesta è caduta nel vuoto: «La risposta qual è stata? Minacce contro di me, cinismo contro di voi. Repressione, violenza, una guerra contro il proprio popolo».
Eppure, durante il suo discorso di insediamento, Kavelashvili ha insistito sulla capacità del governo di garantire la pace all’interno del Paese, nonostante le numerose «minacce» da parte di attori esterni che «avrebbero potuto avere conseguenze devastanti per la nazione». Kavelashvili, ultraconservatore anti-europeista ed ex calciatore del Manchester City, ha poi ribadito il ruolo dei georgiani «amanti della libertà» nel mantenimento della pace.
Poche ore dopo, il nuovo presidente ha firmato un pacchetto di norme mirato alla repressione della libertà di manifestazione, approvato in Parlamento il 13 dicembre. Le nuove misure, entrate in vigore il 30 dicembre, inaspriscono le pene per i manifestanti e semplificano la procedura di licenziamento dei dipendenti pubblici e di arruolamento nelle forze dell’ordine.
Una delle normative più contestate riguarda la vendita e l’acquisto di fuochi d’artificio, che durante il picco delle proteste sono diventati uno dei simboli della resistenza, oltre che il mezzo più efficace – e scenografico – usato per difendersi dalla violenza dei poliziotti dell’antisommossa, quelli chiamati «robocop» dai manifestanti.
Chi porta con sé fuochi d’artificio alle proteste, anche senza accenderli, potrà essere multato fino a millesettecento euro, e in alternativa scontare fino a quindici giorni di detenzione amministrativa. C’è da dire che la norma non sembra aver scoraggiato i georgiani, che già il 30 dicembre sono scesi in piazza nella città di Zugdidi accendendo fumogeni e sparando fuochi d’artificio come provocazione: «Stiamo violando le leggi di Kavelashvili», ha scritto Data, un manifestante, in un video condiviso su Instagram.
Anche chi possiede laser che «potrebbero compromettere le operazioni della polizia o danneggiarne l’equipaggiamento» potrà essere multato fino a settecento euro, e lo stesso varrà per chi si copre il volto in pubblico. Se i manifestanti bloccano una strada o l’ingresso di un edificio, ma la polizia ritiene che il numero di protestanti «sia insufficiente», ogni partecipante potrà essere multato fino a millesettecento euro, o detenuto per un massimo di quindici giorni. Anche gli autisti che contribuiscono ai blocchi stradali saranno sanzionati con una multa di trecento euro e il ritiro della patente per un anno.
Con il nuovo regolamento è stato inoltre introdotto il concetto di «detenzione preventiva»: ora, se un individuo in passato ha commesso un reato e la polizia «possiede informazioni attendibili» circa la possibilità dell’individuo di commettere un nuovo reato, questo potrà essere incarcerato «come misura preventiva». L’incarcerazione potrà durare per un massimo di quarantotto ore, e al detenuto sarà data la possibilità di contestare l’arresto, passando per tre gradi di appello, e di ricevere un indennizzo pari a cinquanta euro.
Le modifiche all’articolo 37 della Legge sulla Polizia permettono poi al ministero dell’Interno di stabilire criteri per il reclutamento delle forze dell’ordine senza passare per una procedura concorsuale, obbligatoria fino al 30 dicembre. L’emendamento è stato fortemente criticato, con la paura che la semplificazione del processo di arruolamento venga utilizzata come strumento per reclutare all’interno della polizia i cosiddetti «Titushki», uomini appartenenti alla malavita georgiana ingaggiati dal governo durante le proteste per attaccare manifestanti e giornalisti.
Paure che sembrano essere più che fondate dopo che l’ex Capo dell’Unità di pianificazione operativa delle forze speciali, Irakli Shaishmelashvili, ha rilasciato un’intervista al canale Tv Pirveli il 28 dicembre in cui ha rivelato gli abusi all’interno del sistema di polizia durante le proteste dell’ultimo mese: «Non esiste un apparato civile indipendente in Georgia – ha detto – Tutto è direttamente collegato a Mosca, e tutti gli ordini provengono da lì. Quello che sta accadendo oggi è una guerra ibrida condotta in modo aggressivo dalla Russia in Georgia e, purtroppo, il nostro governo attuale non sta facendo nulla per contrastare questa lotta e guerra ibrida. Sta avvelenando la società, compresi i propri elettori, con disinformazione e menzogne».
Shaishmelashvili si è dimesso il 3 dicembre dopo ventidue anni di servizio, dopo essere stato testimone delle violenze contro i manifestanti e aver deciso di non voler essere più parte del sistema. Dopo aver lasciato il suo posto di lavoro è stato aggredito da un collega e ha subito minacce dai suoi superiori, anche contro la sua famiglia, e così ha deciso di lasciare la Georgia.
Shaishmelashvili ha ribadito che durante la «dispersione» dei manifestanti, oltre agli ufficiali delle forze dell’ordine, erano presenti individui senza uniforme e con il volto coperto che non facevano parte della polizia. L’ex Capo si è inoltre scagliato contro la decisione del ministero dell’Interno di dispiegare quasi unicamente poliziotti in passamontagna durante le manifestazioni – una scelta presa dal capo delle forze speciali, Zviad Kharazishvili, sanzionato dagli Stati Uniti, e ha confermato che la violenza sistemica della polizia non è mai stata mirata a mantenere l’ordine, ma a spargere terrore tra i protestanti per tentare di sedare le manifestazioni.
Nonostante i numerosi tentativi di spaventare i manifestanti (minacce di stupro, pestaggi, uso ingiustificato di lacrimogeni e spray al peperoncino, arresti immotivati), i georgiani hanno continuato a protestare, seppur perdendo completamente la fiducia nello Stato: «A chi ti rivolgi quando è la polizia a uccidere?» è una delle frasi che ricoprono i muri del centro storico di Tbilisi, invaso da poster e graffiti che incitano i cittadini a scendere in piazza.
«Lo Stato mente», ha detto Shaishmelashvili, aggiungendo che non è stata aperta nessuna inchiesta sulle violenze da parte dell’antisommossa, nonostante le dichiarazioni del Servizio di investigazione speciale, secondo cui sarebbero state aperte delle indagini riguardo le azioni della polizia durante le proteste.
Del resto, il ministro della Salute, del lavoro e degli affari Sociali Mikheil Sarjveladze ha spiegato, durante una conferenza stampa, che le forze dell’ordine avrebbero agito «in piena conformità alle leggi del nostro Paese, alla legislazione, agli standard e alle convenzioni internazionali». E che «le intossicazioni, la lacrimazione e gli altri sintomi sono processi di accompagnamento naturali» a seguito dell’esposizione a lacrimogeni e spray urticanti. E quindi «approfondire questo tema non è necessario».
Shaishmelashvili non è d’accordo: «Siamo di fronte a una guerra ibrida condotta in Georgia dalla Russia. E il nostro governo non sta facendo nulla per contrastarlo, eccetto avvelenare la società con disinformazione e bugie».
Le parole di Shaishmelashvili sembrano essere rivolte soprattutto a Kobakhdize, che dopo aver scatenato la più grande ondata di proteste nella storia della Georgia indipendente annunciando lo stop alle trattative per l’ingresso nell’Ue, durante la cerimonia di chiusura della Conferenza degli ambasciatori georgiani annuale, il 30 dicembre, ha fatto riferimento all’integrazione europea come alla «priorità più importante» per il governo.
«Oggi abbiamo preso la decisione di eliminare dalla nostra agenda l’apertura dei colloqui di adesione con l’Ue fino al 2028. E fino alla fine di quell’anno rifiuteremo ogni forma di sostegno al bilancio statale dall’Unione», aveva dichiarato Kobakhidze il 28 novembre, poche ore prima che più di centomila manifestanti si riunissero su Rustaveli dando inizio alla prima di trentaquattro notti di proteste.
Proteste che però, secondo Kavelashvili, sarebbero state causate da una «polarizzazione» della società «imposta artificialmente dall’esterno»: «Nonostante la potente campagna di disinformazione creata nel Paese, l’integrazione europea della Georgia va avanti», ha spiegato, per poi concludere: «Entro il 2030 saremo preparati al meglio per l’adesione all’Unione europea. Ma, comunque, la Georgia è pronta a iniziare le negoziazioni in qualunque momento e a cominciare questo processo».
Ma che il popolo georgiano sia molto più che pronto lo ha dimostrato la notte di capodanno, quando duecentomila persone hanno riempito Rustaveli a Tbilisi per festeggiare e protestare, con danze, canti e brindisi alla Georgia e all’Europa.
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