Mentre il conflitto tra Russia e Ucraina va avanti, tra l’attesa per l’insediamento di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti, prevista per il prossimo 20 gennaio 2025, e le ipotesi negoziati di pace che si rincorrono ormai da settimane sui media di tutto il mondo, il naufragio di due petroliere nel Mar Nero, un evento d’importanza apparentemente secondaria, è degenerato in una situazione estremamente critica, che si delinea sempre più come una catastrofe ambientale senza precedenti.
Catastrofe ambientale e regime d’emergenza nel Mar Nero
Lo scorso 15 dicembre due petroliere russe, la Volgoneft 212 e la Volgoneft 239 sono naufragate nel Mar Nero tra lo stretto di Kerch in Crimea, e la regione russa di Krasnodar, provocando la morte per ipotermia di una persona e il salvataggio, in condizioni critiche, di altri 26 membri dei due rispettivi equipaggi. Le reali cause dell’affondamento delle due imbarcazioni, pur a distanza di giorni, non sono ancora state del tutto chiarite, anche se presumibilmente si tratta di guasti dovuti al forte maltempo, anche considerando che le petroliere, di generazione sovietica, avevano circa 50 anni. Il fatto più grave di questo incidente è però un altro: le due petroliere trasportavano, insieme, circa 3000 tonnellate di petrolio e 9000 tonnellate di ‘mazut’ – ovvero un combustibile derivato del petrolio simile al catrame – che sono stati accidentalmente sversati in mare, provocando danni inimmaginabili.
Da oltre 10 giorni, infatti, le sostanze inquinanti continuano a riemergere sulle coste russe e ucraine della regione – come mostrato in centinaia di video diffusi sul web da persone del posto – tanto che Natalia Gozak, direttrice di Greenpeace Ukraine, ha dichiarato lo stato di “catastrofe ambientale”, indicando che il combustile fuoriuscito starebbe già “compromettendo gravemente l’ecosistema”, con rischio di raggiungere anche il vicinissimo Mar D’Azov. Le autorità russe in un primissimo momento aveva dichiarato che la situazione fosse “sotto controllo”; tuttavia, il governatore della regione russa di Krasnodar, Veniamin Kondratiev, infine, ha ufficialmente dichiarato il “regime di emergenza”, dove a essere colpite sono diverse località di interesse turistico, tra cui soprattutto la città di Anapa, ora sommersa di catrame, con danni su tutto il litorale per circa 55 chilometri di costa.
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Danni incalcolabili per la fauna selvatica, la pesca e il settore turistico
Oltre 7000 persone, tra cui moltissimi volontari, sono all’opera ormai da giorni, a partire soprattutto dal 24 dicembre, in un disperato tentativo di ripulire le spiagge e le acque inquinate, raccogliendo chili e chili di catrame. Anche se a essere maggiormente colpita è stata, purtroppo, la fauna selvatica: migliaia sono infatti i pesci e i delfini riemersi sulle coste senza vita, così come gli uccelli letteralmente inglobati dalla massa nera di catrame. Alcune stime parlano di almeno 1000 uccelli sopravvissuti, ma d’altra parte, altrettanti sono anche quelli che non è stato possibile ripulire e salvare.
Attualmente è molto difficile determinare quanto tempo ci vorrà per ripulire l’intera area, pesantemente inquinata, laddove sullo sfondo del conflitto russo-ucraino, questa catastrofe ambientale sembra tutt’altro che prioritaria, anche se sui social sono già partite diverse campagne e appelli della comunità russa di Krasnodar, che chiedono un intervento diretto della autorità del governo e soprattutto di Vladimir Putin.
Le ragioni sono facilmente intuibili: se alcuni studi – piuttosto ottimistici – affermano che si potrà tornare allo stato “precedente” al naufragio “in tempo per la stagione estiva 2025”, altre stime sono decisamente meno positive, e alcuni esperti sostengono persino che la situazione potrebbe non essere più reversibile per almeno 10 anni, impedendo non solo la balneazione, ma anche qualsiasi attività di pesca, con danni incalcolabili per il settore turistico e soprattutto per l’ambiente del Mar Nero, dove si affacciano non solo Russia e Ucraina, ma anche Romania, Bulgaria, Turchia e Georgia.
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