Dai cambi di poltrone alla crisi del settore, recap della moda nel 2024

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Se dovessimo immaginare il 2024 come una palette cromatica probabilmente sarebbe “verde brat”, bordeaux very demure, very mindful – e celeste carta di zucchero come i mini abiti babydoll di Sabrina Carpenter: un mix di contraddizioni e contrasti irriverenti. In bilico tra sensualità e candore, tra soft power e spirito infantile, tra stile senza tempo e sfacciataggine, più che essere stata sospinta da un’energia creativa dirompente, nel corso dei dodici mesi trascorsi, la moda è stata costantemente scombussolata dai trend virali del momento, sopraffatta dalle mille estetiche generate in reazione all’eccesso raggiunto dalla precedente, fino a sfiorare (forse) un punto di saturazione che sta coincidendo con la disintegrazione del concetto stesso di tendenza – almeno finché non avremo capito come gestire i nuovi ritmi di ascesa e declino dei trend. Mettiamoci anche gli sconvolgimenti economici e gli effetti della crisi che hanno iniziato a colpire anche il settore del lusso, il passo indietro sulla sostenibilità, lo slittamento di dinamiche tra mercati esteri, il gioco delle sedie che ha ridefinito le gerarchie creative nelle grandi maison, e il quadro che ne esce è quello di una nave senza timoniere, trascinata in mille direzioni diverse dalla forza inaffidabile e temporanea dell’hype. Tra ribellioni estetiche, incertezza geopolitica e un panorama creativo in continua evoluzione, ripercorriamo il 2024 per capire cosa ha funzionato e cosa, invece, dovremmo evitare di portare nel nuovo anno.

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Gotham//Getty Images

La ribellione dei trend: un anno di contrasti

Per capire cosa è andato di moda nel 2024 dobbiamo ricordarci che “a ogni tendenza corrisponde una tendenza uguale e contraria”. E così, tantissime aesthetic sono nate proprio in risposta ad altre – come loro “nemesi”, ma anche come diretta evoluzione, per sopperire a una voglia di reinventarsi che si muove fin troppo in fretta, spingendoci a un rebranding senza sosta che coinvolge tanto i nostri armadi quanto la nostra personalità. E così, se il 2023 era stato l’anno dell’ultra-femminile Barbiecore e del rosa shocking come simbolo di empowerment, il 2024 ha invece glorificato la caotica e sfrontata brat come l’anti-eroina di cui abbiamo bisogno per combattere la stucchevole perfezione delle clean girl – che, dalla routine mattutina ai capelli passando per le postazioni di lavoro, promuovono uno stile di vita e un look ordinati all’inverosimile facendoci sentire sbagliati per essere troppo real. Nato dal fenomeno musicale e culturale trainato da Charli XCX con l’album Brat, da una semplice copertina verde con font senza fronzoli stampato sopra, il trend ha dato adito a interpretazioni di ogni tipo, inondando passerelle e social media di colori acidi, stile disordinato e un’irriverenza volta a sfidare i codici tradizionali. Charli XCX stessa lo ha descritto come “una confezione di sigarette, un accendino Bic e un top bianco strappy senza reggiseno”: semplice, senza pretese, ma anche intrinsecamente ribelle. Le nuances di verde brillante, ribattezzate “brat green“, sono diventate il simbolo di questa ribellione, influenzando non solo l’abbigliamento, ma anche il makeup e il design. Parallelamente, a rincarare la dose sul revival di un glamour grezzo e autentico c’è stato anche l’indie sleaze ispirato agli Anni 2000: chioma scarruffata o esagerata, eyeliner nero e l’uso deliberato di tecniche “imperfette” nella fotografia hanno trasformato questa estetica in una risposta diretta all’eccessivo ordine che si vede online.

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Albany Times Union/Hearst Newspapers//Getty Images

Dall’altro lato dello spettro, abbiamo sentito il bisogno di ri-bilanciare i bollenti spiriti con la celebrazione della classe e della discrezione. E allora, in contrapposizione all’entropia brat, è stato ribattezzato lo stile demure: elegante, maturo, intrinsecamente costoso – insomma, un nuovo modo per denominare Old Money e quiet luxury. Come i grandi brand si auspicavano, ha continuato ad affinarsi la narrativa che ha come protagonisti accessori iconici e subito riconoscibili, per dare una nota inconfondibile a look dalle linee sofisticate e dimesse, in toni del grigio, del beige e del marrone profondo, uniti al rosso cherry per un tocco malizioso ma sempre raffinato.

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Vittorio Zunino Celotto//Getty Images

Uno dei momenti più rilevanti è stato poi il ritorno del boho chic, grazie al debutto di Chemena Kamali da Chloé, che ha rilanciato frange, rouches e accessori artigianali, conferendo nuova vita a un’estetica che sembrava ormai superata. Celebrità come Daisy Edgar-Jones e Sydney Sweeney hanno indossato capi di Chloé, spingendo le ricerche online per il termine “boho” dell’82% nel terzo trimestre del 2024. Questo revival non è stato un fenomeno isolato: l’ossessione per i primi Anni 2000 ha influenzato anche altri ambiti, dal ritorno dei jeans a vita bassa ai charm per borse – la cosiddetta “birkinification” promossa da brand come Balenciaga, Miu Miu, Coach. La cultura della personalizzazione ha trovato nuova espressione nei bag charms e nelle sneakers customizzate, dimostrando una rinnovata attenzione per l’individualismo.

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JULIEN DE ROSA//Getty Images

L’influenza della pop culture

Il culto dell’intrattenimento ha raggiunto l’apice: la terza stagione di Bridgerton ha dato adito a feste e occasioni per vestirsi in stile regency; l’uscita di Challengers (unita alla nomina di Jannik Sinner come nuovo volto di Gucci), con look preppy disegnati per l’occasione da J.W.Anderson, ha fatto impazzire il mondo a suon di tenniscore e Zendaya ha portato la t-shirt “I Told Ya”, emblematica del film, fuori dallo schermo e dentro i nostri armadi, facendone il must-have dell’anno; l’epocale Eras Tour di Taylor Swift è giunto al termine, regalandoci nuove prospettive sul possibile impatto della fan culture sullo stile personale e aprendoci a nuovi modi di incorporare richiami e omaggi ai nostri idoli nel guardaroba; il successo di Sabrina Carpenter è letteralmente esploso a ogni angolo del globo, spingendoci tutti a sperimentare con frange scalate e bombate, colori confetto e abitini leziosi; seguendo la scia tracciata da Margot Robbie nel 2023, il method dressing delle celebrities ai press tour ha raggiunto nuove vette inesplorate, tra Zendaya in abiti d’ispirazione cyborg-futurista per il lancio di Dune 2 a Cynthia Erivo e Ariana Grande che hanno chiuso il 2024 con le loro parate in total look rispettivamente verde e rosa (i colori dei loro personaggi) per promuovere Wicked. Dal red carpet, poi, ogni trend si è spostato nei feed dei social, dove per ogni release-evento tutti si sono divertiti a calarsi in modi immaginari, interpretando il tema attraverso look, nail art e make-up.

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Scott Dudelson//Getty Images

La crisi del lusso e la consapevolezza dei consumatori

Le meravigliose ostentazioni e le mille tendenze su cui lanciarsi ogni settimana, però, non sono state distrazioni sufficienti per nascondere la situazione gravosa in cui si trovano la moda e il lusso, che, a livello economico, hanno vissuto un anno decisamente difficile, segnato da una diminuzione della domanda e da scandali che hanno intaccato la reputazione del settore. LVMH e Kering hanno registrato miliardi di euro in inventari invenduti, sottolineando i limiti di un modello di produzione eccessivo. Le nuove normative europee, che vietano la distruzione di beni invenduti per ridurre il mercato grigio, hanno spinto i brand a cercare soluzioni innovative, tra cui il riciclo e il rilancio tramite outlet.

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Se fino a questo momento, la strategia messa in atto dal settore moda lusso di puntare tutto sui clienti altospendenti (più affidabili nonostante i tempi di crisi globale) ha contribuito a rallentare il tracollo del settore rispetto ad altri, il 2024 ha mostrato i primi segni di un cedimento imminente. Le it-bag di lusso fanno sempre meno gola: i consumatori sono sempre più parsimoniosi e i giovani cercano soluzioni alternative tra rivendita vintage e prodotti contraffatti (i dupe, che, peraltro, ostentano con gran soddisfazione). Tutto questo, unito a una maggior consapevolezza e coscienza critica riguardo il reale valore del prodotto e la dissonanza con i prezzi in vertiginoso aumento (su cui perfino il CEO di Prada ha sentito il bisogno di esprimersi), preannuncia una realtà in cui neanche l’oggetto-investimento sarà più abbastanza per salvare il fatturato.

A pagare le conseguenze delle perdite di fatturato è stata (anche) la sostenibilità: mentre i rischi legati al cambiamento climatico diventano sempre più evidenti, nel 2024 molte aziende hanno deciso di mettere in secondo piano le iniziative green, sopraffatte dalle preoccupazioni economiche. La chiusura di brand iconici come Mara Hoffman ha evidenziato le difficoltà di conciliare etica e profitto, mentre scandali legati a produzioni non etiche in Italia hanno ulteriormente eroso la fiducia dei consumatori, perfino in quello che prima era considerato una garanzia di qualità ed equità come il Made in Italy.

Al tempo stesso, sebbene il vintage rimanga un canale di vendita valido (affermato, conveniente e relativamente sostenibile) e nonostante il 70% della Gen Z affermi di acquistare capi usati, la contraddizione tra l’ascesa del second-hand e il continuo successo del fast fashion sulle stesse piattaforme di rivendita è emblematica di tutte le complessità insite in un cambiamento culturale ancora in corso.

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Jeremy Moeller//Getty Images

La mappa globale della moda, tra cambiamenti geopolitici e mercati emergenti

Il 2024 ha anche sottolineato l’importanza di una prospettiva globale nell’industria della moda. La Cina, un tempo pilastro della crescita per il lusso, ha mostrato segnali di rallentamento. In compenso, l’India si è affermata come una delle economie più dinamiche, spingendo i grandi brand a rafforzare la loro presenza nel paese. L’America Latina ha visto l’ascesa di nuovi colossi, mentre in Africa il mercato del lusso ha trovato nuove nicchie, come l’espansione in Angola.

Di contro, le guerre in Ucraina e in Medio Oriente hanno avuto un impatto devastante sulle catene di approvvigionamento. Il nearshoring è diventato prioritario, con Vietnam, Turchia ed Egitto che hanno guadagnato rilevanza come hub produttivi. Questo approccio non è solo una strategia logistica, ma anche una risposta alla crescente domanda di trasparenza e sostenibilità.

Nuova linfa: il valzer dei Direttori Creativi

Infine, ci avventuriamo nel 2025 con una ridisposizione totalmente nuova dei vertici creativi delle maison del lusso. Diversi storici hanno infatti visto significativi avvicendamenti nel corso degli ultimi mesi. L’ultimo a far notizia è stato Matthieu Blazy, passato da Bottega Veneta a Chanel, dove sostituirà Virginie Viard nel ruolo di direttore creativo, segnando una nuova era per il marchio, mentre a prendere il suo posto da Bottega sarà Louise Trotter, forte dell’esperienza da Carven.

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Alessandro Michele, dopo un periodo di pausa dalla sua uscita da Gucci, ha fatto il suo grande (attesissimo) ritorno da Valentino, sostituendo Pierpaolo Piccioli, che ha lasciato il marchio dopo oltre vent’anni. Dries Van Noten ha ceduto il suo ruolo di direttore creativo al collega Julian Klausner, mentre David Koma ha assunto la guida di Blumarine dopo l’abbandono di Walter Chiapponi.

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Stephane Cardinale – Corbis//Getty Images

Poi ancora, Michael Rider ha preso il posto di Hedi Slimane da Celine, mentre Lorenzo Serafini le redini di Alberta Ferretti, integrando la sua linea Philosophy nel marchio principale; Haider Ackermann, noto per il suo stile sofisticato, è stato nominato direttore creativo sia di Tom Ford che di Canada Goose, dimostrando una capacità di adattamento straordinaria tra estetiche diverse; Missoni ha salutato Filippo Grazioli, sostituito dallo storico collaboratore Alberto Caliri, e John Galliano ha chiuso il capitolo Margiela dopo 10 anni di onorato servizio, lasciando un grande vuoto nel panorama moda attuale.

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COURTESY OF MAISON MARGIELA

Margiela Haute Couture PE24

Insomma, se da un lato regnano l’incertezza e l’apparente mancanza di direzione, dall’altra il 2024 potrebbe essere servito come banco di prova per i brand da un punto strategico e creativo: un’opportunità per ripensare il futuro, porre le basi per il cambiamento e, forse, fare qualche passo indietro – si spera, non solo sulle promesse difficili da mantenere, ma anche sui ritmi produttivi che ne stanno minando le fondamenta.



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